Michigan: ecco le vere ragioni delle cosiddette “rivolte armate”

LOCCIDENTALE_800x1600
LOCCIDENTALE_800x1600
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

Michigan: ecco le vere ragioni delle cosiddette “rivolte armate”

Michigan: ecco le vere ragioni delle cosiddette “rivolte armate”

23 Aprile 2020

La cosa peggiore che si possa fare è guardare agli Stati Uniti con uno sguardo europeo. Troppo spesso si cade in un errore all’apparenza innocuo, ma che all’atto di valutare con oggettività e scavando a fondo i fatti e gli eventi conduce inevitabilmente ad errori fatali. Molti incappano in quest’errore: si tratta di un fosso altamente popolato, di grandi firme e storici, che dovrebbero conoscere a fondo la realtà americana, invece spesso si limitano a calcarne esclusivamente la superficie. Potremmo citare decine di casi solo negli ultimi anni, dalle elezioni Presidenziali del 2000 a quelle del 2004, passando per la nascita del Tea Party e il fenomeno Donald Trump e alla sua vittoria spettacolare – in termini di imprevedibilità – alle presidenziali del 2016. Si potrebbe, ancora, andare molto più indietro tanto da riscrivere l’opinione diffusa su molti accadimenti avvenuti in quel Paese unico al mondo ed incomprensibile per chi non è disposto a calarsi a fondo in una società particolare e figlia della propria incredibile storia.

Per molti gli Stati Uniti sono New York, Los Angeles, la Silicon Valley, le Università della East Cost e credono che basti fare una vacanza studio nella Grande Mela e leggere il New York Times, per sapere cosa pensano gli americani. Tuttavia, oltre quella striscia di terra che si affaccia sull’Oceano Atlantico c’è tutto un mondo, che è quello che nell’epopea e nella geografia del luogo si chiama West: quello dei pionieri, delle lunghe carovane e degli indiani in lotta con i pionieri, delle scorrerie messicane lungo il Rio Grande, quello della guerra civile; tutte peculiarità che allo sguardo europeo appaiono lontane, sconosciute o racchiuse nella mitologia del cinema hollywoodiano dei tempi d’oro e – giusto per più intraprendenti – nelle pagine della letteratura americana, da Jack London a Mark Twain, da Conrad a Henry E. Maule fino ad Ernest Hemingway. Al contrario, per gli abitanti di quei territori si tratta della propria storia, delle proprio origini, della fatica, del sudore e del sangue che per decenni hanno rappresentato la conquista di quello che oggi è il cuore pulsante degli Stati Uniti d’America. Senza dimenticare le ferite ancora aperte dalla guerra civile, mai totalmente guarite al Sud, ma che scompaiono davanti al profondo patriottismo degli americani.

Per questo ha destato sgomento in un mondo alle prese con la più grande pandemia del secolo la vista delle immagini di quanto avvenuto in Michigan, così come già prima che la pandemia scoppiasse negli USA avevano sorpreso le file davanti alle armerie. A ciò deve aggiungersi per tutta la questione legata al diritto “costituzionalmente” garantito di poter possedere un’arma. Nei giorni scorsi proprio nella Capitale dello Stato del Michigan, Lansing, davanti al parlamento dello Stato, migliaia di cittadini hanno protestato armati, contro la governatrice democratica Gretchen Whitmer – una tra i probabili candidati alla vice presidenza per i democratici – la quale ha esteso il lockdown fino al 30 aprile. I manifestanti che le hanno dedicato un coro che recita “Lock Her Up, Lock Her Up”: si tratta di quel “chiudetela in prigione” a cui inneggiavano anche i sostenitori di Trump contro Hillary Clinton nel 2016. I manifestanti sostengono che, a causa della proroga del lockdown, la Whitmer stia conducendo lo Stato alla bancarotta.

L’evento, però, ha assunto sulla stampa mondiale, anche nostrana, fattezze assai diverse: oltre ad accusare Trump di simpatizzare con i manifestanti – anche se le proteste esplose a macchia d’olio coinvolgono anche governatori repubblicani – si è spostata nuovamente l’attenzione sulla battaglia contro l’uso delle armi. Si tratta di una lotta che appartiene ad una parte marginale dell’elettorato democratico e ad un gruppo di millenials probabilmente cresciuti a pane e Beyonce: questi vengono così utilizzati e sponsorizzati dalle élite liberal, che persino su Netflix ci docufilm del solito Michael Moore su questo tema.

La questione del diritto al possesso delle armi, e alla difesa personale garantiti dal secondo emendamento della Costituzione Statunitense, risiede proprio in quella cultura, in quella lotta per conquistare e mantenere quei territori che ancora nel 1860 e fino al primo decennio del ‘900 erano pressoché selvaggi. I cittadini di quelle pittoresche cittadine in mattoncini rossi, con il tribunale e il municipio in stile neoclassico, i grandi ranch che dal Texas arrivano fino al Montana, sono l’esempio lampante di quel mondo che non può essere capito con quell’occhio che pensa agli Stati Uniti solo in termini di Iphone, Facebook e Wifi. Ed è proprio per questa ragione che la maggioranza degli osservatori – giornalisti esperti che vivono e lavorano in America e persino americani europeizzati della East Cost – non hanno capito nulla degli avvenimenti americani degli ultimi anni.

La nostra epoca ha una colpa tutta liberal, quella di non amare la storia, e quando non si ama la storia si finisce per non capire il mondo che ci circonda.