Micron, la sinistra non spaventi gli investitori
29 Gennaio 2013
Circa 600 lavoratori dello stabilimento della Micron di Avezzano, in provincia dell’Aquila, rischiano di rimanere per strada. Un terzo della forza lavoro, molti già in cassa integrazione. Tutti in attesa che l’azienda scopra le carte sul nuovo piano industriale. Micron Tecnology Italia è la controllata italiana dell’omonima multinazionale americana leader nella produzione di memorie volatili, componentistica elettronica all’avanguardia che ci accompagna nella vita di tutti i giorni, dal pc alla telefonia. 1.800 dipendenti ad Avezzano, l’obiettivo di insediarsi e interagire con la comunità locale, un innovativo centro di ricerca applicata. E un problema da risolvere: l’occupazione.
Politica e parti sociali si stanno muovendo per evitare l’irreparabile in un territorio, quello aquilano, messo in ginocchio dal terremoto del 2009 e dove già altre aziende hanno chiuso i battenti. Il sindaco di Avezzano, Gianni Di Pangrazio (Pd), ha portato la questione Micron fino a Roma, coinvolgendo il governo, il viceministro Martone e il sottosegretario all’economia De Vincenti, in un tavolo tecnico sul rilancio della “industria delle memorie” da far partire a breve. Il governo si è impegnato a verificare la situazione economica della Micron e a cercare nuovi investitori stranieri. Ha promesso che non ci saranno licenziamenti, solo “ammortizzatori sociali conservativi”.
Il sindaco Di Pangrazio, che marcia deciso al fianco dei sindacati, li definisce “piccoli passi avanti” in attesa di avere notizie certe sullo stato di salute della Micron. Su un dato però il sito del Comune di Avezzano sbaglia: la micro-elettronica non è tra i “pochi settori a non essere stato travolto dalla crisi mondiale”. I drammatici cambiamenti tecnologici del comparto, i picchi e le cadute della domanda, i bailout statali, le bancarotte, hanno caratterizzato gli anni della “Grande Crisi” dell’industria americana. I big player dei semiconduttori hanno investito milioni di dollari per le ristrutturazioni, spolpando all’osso costi e prezzi ma questo, più che a nuovi profitti, ha condotto a periodiche crisi di sovrapproduzione, i classici contorcimenti del capitalismo in un girone di crisi.
Se analizziamo il comparto sul medio e lungo periodo, il declino dell’industria delle memorie è iniziato negli anni Novanta, con la crisi dei colossi come Intel e delle concentrazioni giapponesi. Gli ultimi 4 anni sono stati brutali. Attualmente, le contrazioni si alternano a discontinui dividendi in borsa. In Europa, più che in Asia e nel Pacifico, i bassi consumi impediscono piani di rilancio. In Israele, Paese chiave per questo settore, le previsioni sulle esportazioni sono notevolmente al ribasso e Micron deve difendersi: “Non abbiamo intenzione di licenziare nessuno, esamineremo le opzioni sul tavolo”. Non si tratta di una crisi occupazionale – sostengono i manager – è una crisi di “skill” per un settore high tech che ha continuamente bisogno di evolvere. Dai desktop al mobile, dal laptop agli smartphones. Lo "tsunami dei Pc", secondo gli analisti, potrebbe bruciare qualcosa come 160 miliardi di dollari.
Serve la massima accortezza per evitare che Micron stacchi la spina in Italia prima del previsto. Circolano alcuni nomi che potrebbero arrivare in soccorso, qualche alternativa che il governo è pronto a tirare fuori dal cilindro, si parla di una “azienda europea” disposta ad acquisire la proprietà dello stabilimento in partnership con il nuovo management italiano. Secondo FIOM, se il fantomas fosse la LFoundry è bene sapere che questa azienda versa in “difficoltà finanziarie”, che ha chiuso uno stabilimento in Germania, che “a subappaltatori e fornitori non vengono pagate le fatture” con ricadute sulla produzione.
Il senatore Filippo Piccone (Pdl), anche lui convinto che la priorità sia salvare i posti di lavoro, ha indicato un altro soggetto che per dimensione, competenza e valore, sarebbe in grado di realizzare una produzione compatibile a quella della Micron di Avezzano: STMicroelectronis, vecchia costola dell’IRI oggi attore globale della microelettronica (dal Telepass ai sensori di movimento per Wii, iPad e iPhone) con una quota azionaria di partecipazione pubblica e una grande sensibilità alla sostenibilità ambientale. Quasi 50.000 dipendenti nel mondo, un quinto in Italia, 2,3 miliardi di euro investiti in ricerca e sviluppo nel 2011 a fronte di un patrimonio di quasi otto miliardi di euro.
Qualcuno, insomma, ha già messo o potrebbe mettere gli occhi sul sito di Avezzano e questa è una buona notizia ma quanto saranno disposti a negoziare la sinistra che governa Avezzano e i sindacati con eventuali nuovi soggetti imprenditoriali? Posto che la difesa dell’occupazione è nell’interesse di tutti è davvero necessario sbandierare slogan come “il posto di lavoro garantito per tutti” in un contesto come quello che abbiamo appena descritto? La crisi mondiale, la contrazione dell’industria delle memorie e la profonda ristrutturazione in corso, l’alta qualificazione della forza lavoro in un contesto agguerrito di concorrenza internazionale richiede intelligenza creativa e una classe lavoratrice altamente professionalizzata per affrontare il cambiamento in atto e trasformare la crisi in opportunità. Siamo davanti a una situazione complessa che non ammette passi falsi.
E’ bene fare un bagno di realismo prima di aprire i lavori del tavolo tecnico tra governo, amministratori, aziende e sindacato. Non esageriamo rischiando di mettere in fuga chi ha il coraggio e l’interesse ad investire ancora. In Italia, in questo momento.