Midterm, il GOP si prenderà la Camera. Ma cerca ancora un vero leader
26 Ottobre 2010
Meno otto. Otto giorni alle apertura delle urne. Le elezioni di Midterm negli Stati Uniti si annunciano deflagranti e dal risultato incerto. Un dato però sembra certo: i Democrats di Obama perderanno la maggioranza in almeno un ramo del Congresso. Il Senato potrebbe con buona probabilità rimanere in mano democratiche e la Camera dei Rappresentanti passerà quasi certamente ai Repubblicani. Previsioni a parte, tutto è ovviamente ancora nelle mani degli elettori. A poco meno di due anni dall’acclamazione di Barack Obama, gli statunitensi sembrano intenzionati a mandare un avvertimento all’inquilino di Pennsylvania Av. in vista delle presidenziali del 2012. Almeno da ciò che si può desumere dai dibattiti televisivi e dai sondaggi che impazzano da un sito all’altro, da un network all’altro, l’aria che tira è poco rassicurante per i Democratici, e più in generale per i cosiddetti “eletti uscenti” che cercano la rielezione.
Questo sentimento anti-incumbency, appunto, è un fenomeno che a dire il vero tocca non solo i Democratici ma anche i Repubblicani. E’ questa simmetria che permette a molti di affermare che tra la maggioranza degli elettori c’è voglia di novità. In un editoriale sul Wall Street Journal, il noto editorialista Gerald Seib, citando i risultati di un sondaggio Wall Street Journal/NBC News, fa notare che “il 48% degli elettori statunitensi si dichiara oggi più incline ad eleggere un candidato senza esperienza piuttosto che uno con dieci anni di esperienza”. Effetto Tea Party? Chissà. Probabile. Sicuramente voglia di cambiamento. Quello stesso “change” obamiano che lo ha condotto a vertice della nazione. L’esperienza non è più un requisito indispensabile. Anzi l’essere politico di lungo corso è diventato quasi una iattura per gli incumbents, gli eletti uscenti. Generale banco di prova per qualsiasi amministrazione risieda alla Casa Bianca, l’esito delle elezioni di Midterm del 2 Novembre sarà segnato da temi legati alla politica nazionale, e in particolare, come spesso accade, dal dibattito attorno allo stato dell’economia statunitense.
L’adagio clintoniano “it’s the economy, stupid!” calza anche stavolta a pennello. L’economia non va, la disoccupazione è ancora alta, soprattutto nell’industrial heartland statunitense (Michigan, Pennsylvania, Ohio, Indiana, Illinois, Wisconsin), il piano di stimolo da un trilione di dollari non ha prodotto la ripresa sperata dai suoi fautori Summers e Geithner (il primo partito, il secondo in partenza?), né creato nuovi posti di lavoro. E poi c’è l’health care bill, ovvero la legge sulla riforma del sistema sanitario statunitense, voluta con forza dai Democratici di Obama, che non piace all’elettorato moderato, senza peraltro appassionare un bel pezzo della base liberal del paese, il nocciolo duro dell’elettorato obamiano. Sarà un caso, ma tutti gli eletti democratici che cercano la rielezione e che possano esibire un voto d’opposizione al progetto di riforma sanitaria del presidente USA, oggi sono quasi certi di essere rieletti. Una tornata elettorale che si annuncia terribilmente aleatoria per Obama dunque.
Cosa accadrà il 2 Novembre prossimo? Reggeranno i Democratici che ne controllano oggi entrambi i rami? Oppure i Repubblicani, anche grazie alla spinte anti-establishment del Tea Party, riusciranno a strapparne il controllo ai Dems? Non ci sono certezze ovviamente e, com’è naturale che sia in fase di pre-elezioni, ci si muove sempre nel solco del possibile, dello costruzione di scenari fondati su sondaggi, opinioni autorevoli e tanta partigianeria mediatica. Nulla di male. That’s politics! Lo scenario futuribile che prende sempre più piede nella comunità di analisti comunque è che vi possa essere un divisione, uno split, nel controllo sul Congresso. Una situazione di cui per rintracciare memoria si deve tornare indietro alle elezioni del Congresso del 1930. Ottant’anni, signori!
Insomma i sondaggi descrivono un Partito Repubblicano in grado di riprendersi la maggioranza dei seggi alla Camera dei Rappresentanti, la camera bassa del Congresso USA, presieduta oggi dallo spauracchio dei Tea Partiers, la democratica Nancy Pelosi. I Repubblicani avrebbero bisogno di accaparrarsi 39 seggi tra quelli contendibili ai Democratici per prendere controllo della camera. C’è unanimità tra analisti e pundits sul fatto che alla fine della giornata del 2 Novembre, i Repubblicani potrebbero strappare almeno 55 seggi, abbastanza per mettere in condizione il GOP di esprimere la maggioranza e di prenderne il controllo. La musica però cambia al Senato. Per strappare il ramo alto del Congresso ai democratici, i repubblicani dovranno conquistare almeno dieci seggi dei 37 contendibili durante queste elezioni. Sei sono abbastanza certi: Nord Dakota, Pennsylvania, Arkansas, Colorado, Indiana e Wisconsin. Non abbastanza per dare ai Repubblicani qualche chance di controllare tutto il Congresso.
In Nevada, il Senate Majority leader, il democratico Harry Reid, dovrà sudarsi la rielezione contro la candidata repubblicana Sharon Angle che lo tallona a tre soli punti percentuali di distacco, secondo gli ultimi sondaggi. Proprio in Nevada tanto la leader dei Tea partiers, Sarah Palin, quanto il presidente Obama faranno campagna per i rispettivi candidati. In Illinois, nello Stato di Obama, il candidato repubblicano Mark Kirk potrebbe strappare il seggio al democratico Alexi Giannoulias. E in West Virginia, i giochi per il candidato democratico Joe Manchin sono tutt’altro che chiusi, visto che il repubblicano John Raese si trova a soli 2 punti percentuali.
Per i repubblicani c’è dunque il rischio di una vittoria mutilata. Se anche riuscissero, infatti, ad aggiudicarsi i tre seggi senatoriali in bilico (Nevada, Illinois, W.Virginia), ciò non assicurerebbe loro il controllo del Senato. Il GOP dovrebbe vincere anche in almeno uno di questi tre Stati: in California, nello Stato di Washington e nel Connecticut. Ed è per questo che Obama e la first lady Michelle hanno effettuato una viaggio elettorale proprio nel West del paese. In primis in California, in aiuto dei candidati democratici Jerry Brown, candidato democratico a governatore dello Stato, e a Barbara Boxer, candidata democratica favorita per la conquista del seggio senatoriale californiano. Anche nello Stato di Washington, la coppia presidenziale è corsa in aiuto della candidata uscente democratica, Patty Murray, in testa nei sondaggi di soli tre punti percentuali rispetto a Dino Rossi, candidato repubblicano d’origini italo-americane.
Sembra dunque profondamente improbabile che i repubblicani possano conquistare i dieci seggi necessari per conquistare il Senato e con esso il Congresso. C’è chi pensa che vi possano essere ancora delle possibilità: dall’osservatorio dell’American Enterprise Institute sulle elezioni di midterm, si parla del cosiddetto “effetto onda”, in base al quale la spinta elettorale derivante dall’attesa vittoria repubblicana alla camera bassa potrebbe travolgere elettoralmente anche le corse per i seggi senatoriali, portando in dote una maggioranza repubblicana al Senato. Sembra uno scenario poco verosimile, soprattutto per il fattore temporale. Rimane infatti troppo poco tempo perché i repubblicani possano rosicchiare i seggi senatoriali necessari alla conquista del Congresso.
Il paradosso di queste elezioni di midterm, in fondo, è che il tempo gioca proprio a favore dei Democratici, i quali hanno un presidente che può ancora vendere (vedremo con quali risultati) una qualche forma di ‘narrazione politica’, che invece sembra mancare ai repubblicani, certo attraversati da spinte politiche nuove, come quella del Tea Party, ma privi ancora di una leadership nazionale e omogeneizzante che possa plasmare un progetto politico organico, di alternativa chiara e coerente alle politiche dell’amministrazione Obama. Per quanto i volti nuovi del mondo conservator-repubblicano, Sarah Palin, Marc Rubio (quest’ultimo emergente stella del Tea Party e candidato repubblicano ad un seggio senatoriale in Florida), siano in ascesa, manca la percezione di una leadership duratura.
Queste elezioni potranno sicuramente rilanciare i repubblicani. Chi se ne avvantaggerà nel GOP è la domanda a cui tutti vorrebbero rispondere. L’emergente leadership del Tea Party e la vecchia guardia del GOP arriveranno prima o poi ad un accordo. Perché in fin dei conti, come ha mostrato un sondaggio Gallup del Luglio scorso, vero è che il 42% degli elettori statunitensi si definiscono conservatori e che il 20% si definisce liberal, ma è ancor più vero che l’ago della bilancia sta in quel 35% di elettori che si definisce moderati. Conquistare questa fetta dell’elettorato rappresenta la vera sfida. Obama riceverà i loro malumori il prossimo 2 Novembre, e questo sembra l’unica cosa certa. Il GOP ne riceverà i favori. Ma per convincerli alle presidenziali del 2012, i Repubblicani dovranno dotarsi di un leader vero. Mitt Romney? Sarah Palin? O magari l’astro nascente di origini cubane Marc Rubio? God knows!