Migliorare la Costituzione? Si può fare.
04 Luglio 2008
Fare le riforme costituzionali ma tenendo un occhio attento alle dinamiche politiche. Questo in sintesi l’indicazione giunta ieri alla fine dell’incontro organizzato dalla Fondazione Magna Carta con i presidenti delle Commissioni Affari costituzionali di Camera e Senato, Donato Bruno e Carlo Vizzini, ai quali è stato sottoposto un documento redatto dai professori Giuseppe de Vergottini, Tommaso Edoardo Frosini, Giovanni Pitruzzella e Nicolò Zanon. Un incontro cui hanno partecipato anche i parlamentari componenti delle due commissioni e tutti i giuristi che collaborano con la Fondazione.
Ritorna così ad incombere nel dibattito politico il tema delle riforme costituzionali e su questo fronte Magna Carta è pronta ad essere protagonista come motore ma anche, precisa il suo stesso presidente, Gaetano Quagliariello, vicepresidente vicario del gruppo al Senato del Pdl, come “camera di compensazione tra l’opposizione e la maggioranza”. Da qui la decisione di redigere un testo che “non si presenta come rivoluzionario ma semplice, nel quale sono messe in fila le questioni su cui si ritiene di dover intervenire e sulle quali ragionare insieme”, ha spiegato de Vergottini: in sostanza una “bozza di partenza che dimostri anche che esiste l’impegno dei costituzionalisti sul tema delle riforme”. Ma l’intento è anche un altro, ripensando al progetto di modifica approvato nella XIV legislatura e poi affondato dal referendum di due estati fa. Quella riforma infatti “aveva dei punti difficili da digerire e poco ortodossi, ecco allora la necessità di partire d’anticipo con il contributo degli esperti”, precisa sempre de Vergottini. Si tratta quindi di un documento che vuole porsi come elemento di discussione da offrire alla politica, aprendo il dibattito prima che i politici stessi abbiano fatto delle scelte.
Nello specifico l’attenzione del testo elaborato dai costituzionalisti si sofferma sulla modifica della seconda parte della Costituzione anche se, come è precisato nel documento, “si è consapevoli della esigenza di interventi estesi anche alla prima parte”. “Un aggiornamento profondo” che per i giuristi “può essere attuato senza compromettere i principi fondamentali dell’attuale Costituzione”. Operazione che però gli stessi costituzionalisti giudicano difficile da attuare a causa “delle vestali della purezza costituzionale che hanno inculcato nella cultura giuridica e politica un vero e proprio tabù secondo cui il solo parlare di revisione della prima parte significherebbe attentare alla Costituzione”. “Secondo costoro – continua il documento – cambiare il testo costituzionale sarebbe come tradire il proposito del costituente e sostanzialmente violare i principi informatori della Costituzione quali configurati dall’originario patto di fondazione dell’attuale ordinamento”. Quindi per ora nessun cambiamento della prima parte della Costituzione, ma solo interventi sulla seconda e cioè quella riguardante la forma e l’ordinamento dello Stato.
E così il documento prospetta il superamento del bicameralismo paritario, con l’attribuzione alla Camera dei Deputati di un ruolo preminente nel procedimento legislativo, fatta eccezione per le leggi che riguardano l’articolo 117 della Costituzione, per cui si ipotizza la prevalenza del Senato, per le leggi costituzionali e quelle relative all’organizzazione dello Stato e la disciplina delle autonomie territoriali, per cui rimarrebbe il procedimento paritario. Inoltre spazio alla riduzione del numero dei parlamentari con la ridefinizione del procedimento legislativo. Non manca nemmeno l’ipotesi di una commissione di conciliazione tra le due assemblee, al fine di dirimere possibili contrasti tra Camera e Senato. Per quanto concerne i rapporti governo-Parlamento, il documento prevede il rafforzamento dei poteri del premier in tema di nomina e revoca dei ministri, e la possibilità in capo al governo di controllare l’ordine del giorno della Camera e chiedere la priorità per i disegni di legge che caratterizzano la propria politica. Cambiamenti anche riguardo la mozione di sfiducia con inoltre la formalizzazione di uno statuto dell’opposizione, mentre sul fronte delle autorità di garanzia è prevista la loro costituzionalizzazione. Infine attenzione anche all’articolo 117, quello che per intenderci disciplina le materie di competenza dello Stato centrale e delle Regioni, oltre ad una riconsiderazione delle norme che regolano la revisione della stessa Carta costituzionale. Questo dunque è il contributo al processo di riforma delle Istituzioni offerto dalla Fondazione Magna Carta.
Sul fronte del dibattito, apprezzamento per il lavoro svolto è giunto dal presidente Bruno il quale però non ha mancato di far notare quanta confusione ci sia ancora nel PdL in tema di riforme costituzionali: “Da un lato c’è Mauro Cutrufo che ha presentato una proposta di legge per l’elezione di un’Assemblea costituente; dall’altro Italo Bocchino che ha in pratica ripresentato il testo preparato nella scorsa legislatura da Luciano Violante. Divergenze che credo debbano essere superate attraverso un maggiore coordinamento nel PdL e facendo chiarezza al proprio interno”. Ma a preoccupare l’ex forzista, che si confessa “non ottimista”, è in particolare l’atteggiamento e le scelte della Lega “alla quale sono state di fatto appaltate le riforme”. In particolare Bruno fa riferimento alla presenza nel governo con ruoli chiave sul fronte delle riforme istituzionali di Umberto Bossi e Roberto Calderoli. E proprio quest’ultimo “starebbe lavorando ad una bozza di riforma che per gran parte ricalcherebbe la legge approvata nella XIV legislatura, addirittura con qualche peggioramento. Progetto di riforme che a giorni, se non ad ore, dovrebbe essere presentato ufficialmente”. Ipotesi che spingono allora lo stesso Bruno ad invitare i costituzionalisti a “fare presto”, ad evitare di chiudersi in discussioni solitarie e ad “aprire un confronto con la Lega” con la quale il presidente della Commissione si dice convinto che “sia possibile intavolare una discussione per scongiurare così il rischio di preparare un ottimo documento ma che non avrà alcuno sbocco”. Modus operandi questo che vuole impedire alla Lega di andare avanti da sola e di confezionare in completa autonomia un progetto di riforma di cui poi “sarà difficile in seguito farne capire i limiti”.
Un punto che trova concorde anche l’altro presidente della Commissione Affari Costituzionali ma del Senato, Carlo Vizzini, che punta l’attenzione anche sulla necessità di “una riforma condivisa con l’opposizione”. In questo senso “è indispensabile convincersi che il progetto approvato non potrà essere il migliore possibile ma quello più adatto alle condizioni politiche”. Parole che quindi suonano come un “niente sogni” e lavorare tenendo ben presente quali sono i presupposti politici. Sul lato tecnico, Vizzini invita soprattutto a fare molta attenzione alla questione dell’iter legislativo che proprio “nella scorsa riforma era un’autentica vergogna perché aumentava il tempo di approvazione delle leggi”.
Convinto che sarà necessario essere realisti e concreti nell’affrontare la questione riforme istituzionali è pure il vicepresidente del gruppo Quagliariello che invita ad avere “grande prudenza”. A preoccupare sono i cambiamenti degli scenari nel campo dell’opposizione: “All’inizio c’era un interlocutore ma adesso non c’è più – spiega Quagliariello – e si sta lavorando per formalizzare un altro scenario”. Da qui la presenza di operazioni interne al Pd che spingerebbero per la creazione di una nuova maggioranza, vicina a D’Alema, che vedrebbe in modo positivo l’affermazione di un sistema costituzionale di tipo tedesco rispetto a quello bipolare di ispirazione veltroniana. Una situazione che quindi va mutando ma non per questo la stessa strategia del PdL dovrà cambiare. Anzi per il presidente di Magna Carta “il Popolo della Libertà deve rimanere seduto al tavolo, evitando che così ci si sieda solo la Lega”. Ecco allora la “grande prudenza” e soprattutto una strategia che porti a fare nell’ambito delle riforme costituzionali delle “scelte che siano compatibili con quelle dell’opposizione per evitare che la sinistra scappi dal dialogo”. Una partita che avrà nella nuova legge elettorale europea il suo primo banco di prova. Scelte di compatibilità che in questo senso significheranno in primo luogo “abbandonare l’idea di uno sbarramento al 5 per cento e scendere verso il 3 o al massimo il 4 per cento con in tutto dieci collegi e liste bloccate”. Il tutto per impedire, appunto, che il dialogo si spezzi. Ed anche sul fronte delle riforme istituzionali “lo schema Violante sarà la base da cui partire aggiungendovi al massimo qualche modifica sul premierato e sulle funzioni del Senato ma sempre purché questo non faccia fuggire la sinistra”.
In definitiva, dall’incontro di ieri quindi esce un “sì” convinto alla riforma ed al cambiamento dell’architettura del nostro Stato senza dimenticare il contesto politico. Messaggio che suona quasi come “prima la politica e poi le soluzioni tecnico-costituzionali” e che si rivolge a tutti coloro vorranno intraprendere la strada delle riforme. Un’indicazione utile che dovrà tenere ben presente soprattutto la Fondazione Magna Carta che si è posta l’obiettivo di svolgere un ruolo attivo in questa lunga e complessa partita per la modifica del nostro impianto istituzionale.