Migranti, è una sanatoria. E sarà un flop
23 Maggio 2020
Tratto dal sito del centro Studi Livatino
Non dubito della volontà, espressa con passione dalla ministra Teresa Bellanova, di dare dignità ai lavoratori sfruttati al di fuori di qualunque regola, facendoli fuoriuscire dal “sommerso”: la storia personale della titolare dell’Agricoltura e l’impegno, prima sindacale poi politico, da lei sempre profuso in tale direzione hanno motivato, insieme con l’obiettiva gravità del fenomeno, l’inserimento del provvedimento di regolarizzazione all’interno del d.l. c.d. “rilancio”. A tale primario obiettivo si è aggiunto quello di permettere che la raccolta dei prodotti agricoli e l’offerta di lavoro domestico in questo periodo non conosca rallentamenti. Le intenzioni tuttavia sono importanti per dare impulso a un testo di legge: poi i conti vanno fatti col tenore letterale dello stesso.
Le prime considerazioni che seguono (cui domani farà seguito qualche indicazione di prospettiva) non sono il frutto di una opposizione aprioristica allo strumento: si collocano, al contrario, nella linea dell’effettivo perseguimento dello scopo che esso si propone. Non rappresentano quindi una critica “a prescindere”, ma un insieme di perplessità che sorgono dalla lettura dell’art. 103 del decreto legge n. 34/2020 – del quale fornirò una rapida sintesi -, accompagnate da qualche proposta migliorativa, se mai taluno volesse prenderla in considerazione in sede di conversione; e sempre che quest’ultima non arrivi a sistema già avviato, quando sarà tardi.
Ho atteso il testo ufficiale della disposizione: nella bozza fatta circolare dopo la conferenza stampa del pres. Consiglio la norma era quella dell’art. 110 bis, ma nella versione definitiva vi è qualche leggera variazione.
1. Che cosa prevede il D.L. I soggetti richiedenti sono datori di lavoro o lavoratori. I datori di lavoro – cittadini italiani, o di altro Paese europeo, o stranieri in possesso di titolo di soggiorno –, dal 1° giugno al 15 luglio 2020, purché titolari di un reddito congruo (secondo parametri da fissare con un decreto interministeriale che andrà varato 10 giorni dopo la pubblicazione del d.l.), possono proporre istanza per concludere un contratto di lavoro subordinato con lo straniero presente sul territorio italiano da prima dell’8 marzo 2020, ovvero per portare alla regolarità un rapporto di lavoro già esistente: in tal caso anche se il lavoratore è un italiano o un comunitario. In entrambe le ipotesi il contratto sarà redatto in conformità ai contratti collettivi del settore, e il datore di lavoro dovrà versare per ogni lavoratore che mette in regola un importo fisso di 500 euro, e un forfait a titolo di contributi, differenze retributive e fiscali non versate per il passato, la cui entità verrà stabilita da un ulteriore decreto interministeriale. L’istanza va proposta all’Inps se il lavoratore da regolarizzare è un italiano o un cittadino di altri Paesi UE; allo sportello unico per l’immigrazione se si tratta di uno straniero.
Il richiedente può anche essere un lavoratore straniero, purché però con permesso di soggiorno scaduto prima del 31 ottobre 2019. In tal caso l’emersione non è immediatamente correlata alla stesura di un contratto di lavoro: all’istanza, che va presentata in Questura pur essa dal 1° giugno al 15 luglio 2020, accompagnata dal pagamento della somma di 130 euro, segue il mero rilascio di un permesso di soggiorno della durata di 6 mesi, durante i quali se lo straniero trova lavoro potrà ottenere un ulteriore permesso di soggiorno a tale titolo. La cessazione del rapporto di lavoro istituito col contratto stipulato in base a queste norme non comporta la perdita del permesso di soggiorno, che continua ad avere validità per almeno un anno, salve ulteriori dilatazioni a seguito di cassa integrazione.
2. Perché è una sanatoria; e perché sarà un flop. Il sistema per un verso è farraginoso, per altro verso è facilmente aggirabile per le ragioni che seguono:
a. per l’inoltro delle domande la norma non prevede al momento un sistema uniforme, unico e informatizzato, come era avvenuto con successo con la regolarizzazione del 2002: per la quale il punto di partenza del sistema era Poste Italiane, cui istanze e versamenti erano centralizzati. L’informatizzazione sarà prevista dal decreto interministeriale di attuazione, o torneremo a rivedere le code interminabili davanti a Inps, Prefetture o Questure, a seconda degli enti destinatari, con l’esame di documentazione in forma cartacea? L’apparente rinuncia al mezzo informatico stride per un verso con la smania di introdurre app e “da remoto” ovunque, a cominciare dalle aule di giustizia, per altro verso con l’esigenza di limitare contatti e assembramenti, che invece queste modalità renderanno certe. Più in generale, una vera regolarizzazione è una realtà complessa: far emergere un lavoratore in nero comporta, oltre alla stesura di un contratto di lavoro, anche la definizione della sua posizione contributiva, fiscale, sanitaria e, se straniero, di titolo di soggiorno. Come si garantiranno questi adempimenti senza un dialogo informatico in tempo reale fra i vari soggetti interessati, che si muova su una piattaforma omogenea?
b. sono stati diversificati i tempi di presentazione e i destinatari delle domande: il risultato sicuro sarà che Inps, Prefetture e Questure procederanno ciascuna per conto proprio e coi propri tempi, senza che si capisca in che modo avverrà il coordinamento con gli altri soggetti parte della vicenda, dall’Inail al sistema sanitario;
c. la gestione della regolarizzazione con numeri prevedibilmente elevati, e con le caratteristiche appena descritte, rischia di andare avanti per anni. Col risultato che, poiché all’atto della richiesta lo straniero otterrà comunque il rilascio di un titolo provvisorio che gli permetterà di soggiornare regolarmente, questa “provvisorietà” potrà protrarsi per qualche anno; a tale periodo si aggiungerà, quando sarà rilasciato, il permesso semestrale. Nel frattempo, quali saranno le sue fonti di sostegno se manca un contratto di lavoro? La cosa più probabile è che lavori in nero, ma con un titolo di soggiorno “provvisoriamente” regolare;
d. se l’intento è la regolarizzazione e non una semplice sanatoria, il soggetto attivo deve essere esclusivamente il datore di lavoro, perché solo costui è in grado di assumere la responsabilità di un contratto di lavoro, che è il fulcro della emersione, con gli annessi contributivi e assistenziali. Consentire l’iniziativa al lavoratore straniero con permesso scaduto al 31/10/2019 significa che per questa tipologia di dipendenti il datore di lavoro che oggi impiega in nero persone extraUe farà promuovere da loro la richiesta di permesso di soggiorno temporaneo, e solo dopo concluderà il contratto di lavoro come se fosse nuovo. I vantaggi per lui sono evidenti: invece di pagare 500 euro più un forfait – ancora da determinare – per lavoratore, il datore di lavoro passerà a ciascun dipendente 130 euro. Chi controlla il pregresso, soprattutto in questa fase emergenziale? Oppure opterà per la soluzione di cui alla lettera precedente: continuerà a occuparlo in nero, ma il suo dipendente avrà un regolare, pur se “provvisorio”, titolo di soggiorno;
e. restando alla richiesta avanzata dallo straniero, che significa “permesso scaduto al 31/10/2019”? Scaduto da quando? La norma non lo precisa: essa consente a una persona extraUe, il cui titolo di soggiorno sia scaduto anche da 5- 10 anni, di ottenere un permesso di soggiorno di sei mesi, e se il nuovo contratto di lavoro dura anche pochi giorni, di poter restare per almeno un anno in modo regolare (art. 22 testo unico immigrazione), in attesa di un nuovo lavoro. Non solo è una sanatoria, ma con maglie estese oltre ogni misura.
Identico discorso vale per la prova della presenza in Italia alla data dell’8 marzo 2020 quando il richiedente è il datore di lavoro: ai fini della redazione del contratto di lavoro, la presenza dello straniero sul territorio nazionale alla data dell’8 marzo 2020 deve essere documentata dall’avere costui entro tale effettuati i rilievi fotodattiloscopici – e questa era la sola ipotesi prevista dalla bozza originaria –, ovvero dall’essere entrato in Italia con un visto qualsiasi, anche per periodi inferiori a tre mesi, ovvero dall’essere in possesso di documentazione di organismi pubblici. Fra i documenti di “organismi pubblici” ci sono ancora i biglietti ferroviari non nominativi utilizzati in precedenti sanatorie, grazie a generose circolari interpretative ministeriali? Il riferimento documentale a un semplice visto turistico è una ulteriore chiave di decriptazione del provvedimento: l’unico elemento che conta è essere presente in Italia in modo non regolare. Il resto, per usare un eufemismo, è una fictio.
3. Perché pone a rischio la sicurezza. La norma stabilisce le ragioni di inammissibilità delle richieste del datore di lavoro e del lavoratore straniero, e quando vanno rigettate, ma anche qui qualcosa non quadra. Il profilo più carente è quello dei pregiudizi penali: il datore di lavoro non può procedere alla regolarizzazione se condannato negli ultimi 5 anni, pur con sentenza non definitiva, per delitti di immigrazione clandestina o di “caporalato” o di sfruttamento del lavoro. Lo straniero non può ricevere il permesso se destinatario di una espulsione per motivi di sicurezza nazionale, o per ragioni di terrorismo, o se condannato – anche in via non definitiva – per i reati più gravi, cioè quelli che obbligano all’arresto in flagranza (art. 380 cod. proc. pen.).
Restano scoperte le ipotesi in cui il richiedente non sia stato condannato neanche in primo grado, ma per i reati ritenuti ostativi ha un procedimento penale a carico, e magari è stato anche destinatario di una ordinanza di custodia cautelare. Non si tratta di derogare alla presunzione di non colpevolezza – deroga che peraltro, se fosse tale, sarebbe già avvenuta col riferimento ostativo alla condanna non irrevocabile -, bensì dal lato dello straniero di precludere un valido titolo di soggiorno a chi si sia mostrato pericoloso, soprattutto se la sua condotta ha già conosciuto il vaglio di un giudice, se pure in fase cautelare.
Quel che impedisce al datore di lavoro di avanzare la richiesta di regolarizzare lavoratori suoi dipendenti, pur non mancando di giustificazioni di principio, ha del paradossale: se infatti il provvedimento punta a riportare alla luce e al rispetto delle regole la condizioni di lavoratori, italiani, comunitari e stranieri, oggetto di “caporalato”, cioè di intermediazione illecita, e poi di sfruttamento, l’obiettivo viene precluso proprio in favore di quei lavoratori che potrebbero beneficiarne, poiché non si ammette il loro datore di lavoro/sfruttatore. Col risultato di rendere l’emersione impossibile. Va trovato un sistema che non penalizzi ulteriormente costoro, senza premiare chi li ha sfruttati.
Manca infine nella disposizione qualsiasi riferimento alla ragione di essa, riportata in esplicito all’inizio del co. 1: l’emergenza Covid-19. Interessano le condizioni di salute dei lavoratori in nero, finora rimasti ai margini del servizio sanitario? E perché allora fra i requisiti della richiesta di emersione non si esige pure la documentata effettuazione di un test per verificare se il lavoratore è stato o meno contagiato dal virus? La mera presentazione della domanda del datore di lavoro lo abilita a proseguire nel prestare l’opera alle sue dipendenze: non dovrebbe avvenire con le garanzie sanitarie del caso?
4. Per concludere. Come per altre voci dell’emergenza – per es. la app –, il Governo ha il dovere di affermare il vero. Il suo intento è la sanatoria più larga possibile per non escludere nessuno (o quasi) dalla necessaria prevenzione dal contagio? Discutibile o meno, lo si dica. Se non cambia nulla, il bilancio di questa vicenda sarà fra qualche anno la moltiplicazione dei permessi di soggiorno, non l’emersione del sommerso.
Alle esigenze agricole, e a eventuali offerte di lavoro nel settore, si sarebbe potuto provvedere organizzando in sicurezza voli charter di lavoratori agricoli stagionali provenienti dai Paesi dell’Est Ue, già impiegati negli anni passati, in primis la Romania: certo, al loro arrivo sarebbe stato necessario verificare la loro condizione di salute, e comunque porli in quarantena, come hanno fatto altri Paesi, per es. la Germania. Ma 15 giorni di isolamento costituiscono un periodo inferiore rispetto ai mesi e agli anni di prevedibile espletamento delle pratiche disegnate da questo D.L.
Se l’obiettivo è invece realmente far emergere il lavoro nero, le rettifiche in sede di conversione in legge del decreto sono indispensabili. E anche urgenti, visti i pochi giorni che mancano alla data di presentazione delle istanze.