Migranti: «Nessuno ci ha detto che non potevamo più venire». Intanto l’UE: i migranti bloccati a Idomeni non saranno respinti
21 Marzo 2016
di redazione
Il piano-Merkel di usare la Nato nell’Egeo per fermare i viaggi dei migranti si sta rivelando un flop: nonostante il pattugliamento pubblicizzato come la panacea, ecco che i numeri stroncano Berlino. Gli arrivi non diminuiscono e proprio a Lesbo ieri ce n’erano ancora 6.000. Nella prima settimana dopo l’inizio del pattugliamento al largo della costa della Turchia, sono arrivati ben 9.515 profughi sulle isole greche, esattamente quanti ne sono arrivati senza il controllo della Nato. I numeri spiegano la situazione meglio di analisi e ipotesi. Ieri al porto di Eleusi un catamarano da Chios ha sbarcato 1.169 tra immigrati e rifugiati: tutti destinati ai nuovi hotspot. E nel porto del Pireo ne sono arrivati altri 446, destinati alla struttura di Larissa. Secondo la Guardia Costiera nel Pireo solo ieri c’erano 4.458 migranti stivati in quattro gate passeggeri e in un hangar ed è stato stimato che in Grecia serviranno 4.000 professionisti, per gestire i rimpatri e organizzare il sistema di drenaggio dei nuovi arrivi, ma da Bruxelles nessun dettaglio sui tempi di arrivo.
Li scoprono, li interrogano, li rinchiudono: sono i primi arrestati dell’operazione ‘Tutti a casa’.
E così a Chios, a Samos, a Kos, a Leros. 7.316 in attesa d’un via libera o d’un via di qua. S’arriva, s’aspetta, si spera. Il governo Tsipras vuole svuotare le isole e fare il censimento dei diritti d’asilo sulla terraferma: i primi traghetti salpano per l’Attica di Skaramangas, per la Grecia centrale di Volos, per il Nordest di Kavala, ovunque meno che per il congestionato Pireo. I greci non devono ancora respingere, ma non devono più accogliere.
E nel frattempo incalza il malcontento di gente disperata a cui hanno raccontato una terra promessa, che non c’è. Li hanno illusi e adesso li compatiscono.
Incitati a partire, ora si scontrano con la realtà.
«A me non l’ha detto nessuno che non si poteva più venire in Europa», si fa tradurre Hamza Sheabaz, 16 anni, pachistano di Lahore. Uno scafista gli ha preso i mille dollari e gli ha consigliato di dichiarare che è solo: per i minorenni senza famiglia c’è qualche speranza, anche se non vengono da una guerra. «A casa mia abbiamo venduto tutte le mucche, per trovare i cinquemila dollari di questo viaggio. Siamo pieni di debiti con la banca. Chi glielo dice a mio padre, adesso, che mi rimandano indietro?».
Il grido di protesta arriva da Lesbo, isola dell’Egeo orientale a una manciata di miglia da quella costa turca che continua a vomitare braccia e occhi in quantità industriale in Grecia (solo ieri giunti in 800). E dopo che lo stesso coordinatore del governo greco per le politiche migratorie, Giorgos Kyritsis, aveva alzato bandiera bianca («Ci vogliono più di 24 ore», ha detto ieri). Da Lesbo è transitata la stragrande maggioranza dei 48mila profughi attualmente su territorio greco. Da Lesbo sono iniziate le prime proteste di albergatori e cittadini che, osservando la costruzione degli hostpot, vedevano andare in fumo gli affari turistici del 2016.
Intanto fonti della Commissione europea hanno indicato che nessuno dei migranti bloccati a a Idomeni sarà rispedito in Turchia. Specificando che i richiedenti aventi diritto all’asilo già presenti in Grecia rientreranno nel piano di ricollocazione, mentre i migranti economici – essendo già scaduti i 14 giorni dall’ingresso nel paese previsti per l’espulsione dall’accordo bilaterale Grecia-Turchia – dovranno restare in Grecia con la prospettiva di un rientro nei paesi di origine laddove e quando ci saranno accordi bilaterali.