Mike Bloomberg si è già preso New York. Adesso vuole Washington DC

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Mike Bloomberg si è già preso New York. Adesso vuole Washington DC

24 Novembre 2011

La Cina starà pure emergendo, però l’America è sempre l’America: la prima economia del mondo, il primo esercito del mondo. La frontiera tecnologica è ancora lì. Una tra le economie globali dove si fa meglio impresa. E poi che belle le sue storie, o come dicono gli americani, le sue success stories.

La vita di Michael Bloomberg è una di quelle belle storie, fatta di volontà e potere. L’attuale primo cittadino di New York però non è mica un servitore pubblico tradizionale, come altri in circolazione nel panorama americano.

Tanto per fare nomi, non è certo un avvocato moralizzatore alla Rudy Giuliani che da District Attorney nella Grande Mela si era fatto una nomea di uomo ‘legge e ordine’ e che lo ha condotto alla New York City Hall. La vicenda umana, professionale, politica di Michael Bloomberg segue tutt’altro spartito.

E’ un uomo d’impresa Mike. Tutto inizia nel 1966. Il giovane Michael Bloomberg ha solo 24 anni. Ha appena terminato il suo MBA ad Harvard. Entra alla Salomon Brothers, all’epoca una nota banca di Wall Street. In soli sei anni ne diventa partner. Nel 1981 la banca è acquisita, Mike viene licenziato con un buono uscita da dieci milioni di dollari.

Decide allora di mettersi in proprio. Ha trentanove anni, la gavetta è finita da un pezzo, conosce bene Wall Street ormai. C’è domanda per la fornitura di servizi finanziari innovativi alla comunità borsistica e affaristica e piazzare sul mercato il Bloomberg terminal (oggi è quella schermatona a sfondo nero che aggiorna in tempo reale la valanga d’informazioni finanziare in circolazione in questo pianeta).

Oggi Bloomberg, in tutte le sue declinazioni, dà lavoro a 2700 persone tra giornalisti (alcuni addiruttura ‘pulitzerati’), analisti, impiegati e dirigenti d’impresa. Opera in 72 paesi con 150 uffici. Un’impresa che fattura 7 miliardi di dollari e di cui la rivista Fortune ha valutato il margine operativo nel 30% del fatturato su base annua.

La ‘rete Bloomberg’, come l’ha rinominata il collaboratore del Daily Beast lo sbarbato Nick Summers, spazia dai servizi di gestione dei dati finanziari – ancora oggi a distanza core biz di tutto il colosso mediatico – alla finanza e ancora dall’editoria, passando per la stampa pura, fino all’industria.

Solo per elencare un gioiellino appartenente al suo gruppo, Bloomberg edita la testata Businessweek e si dice che voglia mettere le mani – a Londra per il momento si tace – niente meno che sul Financial Times, il miglior quotidiano economico-finanziario europeo, dopo il Sole24Ore ovviamente.

Di questa operazione l’attuale sindaco non deve sapere niente. D’altronde formalmente dal 2002, anno della sua elezione a sindaco come successore del Mayor of America Rudy Giuliani, Mike Bloomberg non assume più decisioni aziendali – su tutta la vicenda aleggia un salvifico blind trust a soluzione del conflitto d’interessi ma c’è da scommettere che mike non si sia scordato di esserne il proprietario.

Se il gruppo Bloomberg, oggi guidato da Don Doctoroff, ha il suo epicentro nella finanza, sono sempre di più però gli ambiti d’azione che tende a conquistare. Recentemente l’azienda ha lanciato un servizio informativo di supporto legale e un altro sulle politiche pubbliche. Si chiamano rispettivamente BLaw e BGov (B ovviamente sta per Bloomberg).

Della serie: come mettere un piede guadagnando influenza anche a Washington DC? Il tutto senza però rinunciare a tutto quello che il suo gruppo rappresenta per le maggiori piazze borsistiche mondiali, partendo dall’alma mater New York.

Fino al 2001 Michael Bloomberg si posizionava in campo Democratico. Il cambio di casacca arriva quando i Repubblicani cercano un degno rimpiazzo a Giuliani. Lo candidano e vince.

Dal 1 Gennaio 2002 Mike è il sindaco dei tre mandati newyorkesi (durante l’ultima crisi finanziaria ha emendato la legge della città che imponeva un massimo di due mandati e va dritto al 2014). Un anno, il 2014, che sarà decisivo visto che Bloomberg non ha mai fatto segreto di aver fatto un pensierino niente di meno che sulla corsa per la Casa Bianca.

Già nel 2008, quando in campo Repubblicano certa era la sconfitta, Mike Bloomberg pensò di lanciarsi, magari da indipendente, alla conquista di Washington. Le cose sono andate diversamente. Lui non ci si è messo contro Obama; McCain ha preso la nomination e l’America sta di nuovo in recessione.

Cosa riservi il futuro non è dato sapere. Quando Michael Bloomberg avrà terminato il terzo mandato da sindaco, le successive elezioni presidenziali si terranno due anni dopo, nel 2016. A quel punto avrà 74 anni, l’età di Silvio Berlusconi oggi. Troppo in là con gli anni. Il treno se mai è passato, lo ha fatto nel 2008.

Cio non toglie che comunque solo il futuro ci dirà se questo uomo che volle essere tutto – la pagina wikipedia dedicatagli recita un trittico quasi messianico “uomo d’affari, politico, filantropo” – otterrà quello che vuole. 

Il suo impero, quello che lo aspetta quando uscirà da privato cittadino dalla New York City Hall, le sue ramificazioni e la capacità d’influenzare il mondo della finanza, delle professioni, delle lobby e della politica, può lasciargli ampi margini di scelta, anche se un po’ troppo canuto.

Ciò che conta è detenere potere di influenzare. Mike Bloomberg ne ha e ne arà sempre di più, in barba ai suoi mille conflitti d’interesse di cui nessuno parla.