Militari ed energia: gli USA verso forze armate ecologiche
22 Maggio 2010
“Quando ce ne andremo dall’Iraq, assisteremo al più massiccio trasferimento di condizionatori d’aria della storia dell’umanità”, parola di Dan Nolan, consulente energetico dell’Esercito degli Stati Uniti d’America.
Proprio così. Proviamo infatti a fare mente locale a cosa significhi per gli USA, dal punto di vista logistico, un’operazione come quella in Iraq (ma quella in Afghanistan non differisce di molto). Significa decine e decine di basi militari di vario livello e differenti dimensioni “in the middle of nowhere”, isolate dall’ambiente civile, superprotette da incursioni esterne, organizzate con shelters prefabbricati e tende per i comandi, i dormitori, gli uffici, i locali dei servizi principali e accessori come refettori, chiese, palestre, negozi, infermerie, sale da parrucchiere e così via. La temperatura esterna può arrivare a 50°C e pertanto il tutto va climatizzato, e per far funzionare i condizionatori ci vuole l’elettricità. Ma non ci si può appoggiare alla rete elettrica del posto, non solo perché è poco affidabile e molto soggetta a sabotaggi, ma soprattutto perché sarebbe immorale sottrarre una fetta di energia alla popolazione locale. Quindi ci vuole una gran quantità di generatori di corrente che funzionano a gasolio. Ma il carburante non è fornito dall’Iraq perché quello che viene estratto in Mesopotamia basta a malapena per le esigenze interne del paese. Pertanto il carburante deve provenire da fuori, dal Kuwait o da più lontano ancora, e va trasportato alle basi militari -fino agli avamposti più sperduti- per mezzo di autocisterne. E siccome le autocisterne americane sono i bersagli preferiti dalla guerriglia, devono essere difese con poderose scorte, che non sempre riescono ad impedire lo scoppio degli “ordigni esplosivi improvvisati”.
Il risultato è che il 75% del budget per l’energia delle forze armate statunitensi in Iraq viene assorbito dallo spostamento del carburante da una base all’altra. Una base di piccole dimensioni ha bisogno di circa 40.000 litri di gasolio al giorno, solo 5.000 dei quali servono per la mobilità, mentre la grandissima parte, 35.000 litri, serve ai generatori che funzionano 24 ore al giorno per climatizzare i locali.
Tutto ciò configura un doppio paradosso: da una parte non può essere utilizzato il petrolio locale, pur essendo il sottosuolo irakeno fornito a dismisura di “oro nero”, dall’altra ci si affida al gasolio (e perdipiù d’importazione) anziché sfruttare fonti di energia di cui il Medio Oriente è ancor più ricco: il vento e, soprattutto, il sole.
Oggigiorno le forze armate statunitensi bruciano 330.000 barili di petrolio al giorno e, in quanto all’elettricità, sommando tutte le loro esigenze in tutto il globo, ogni anno il fabbisogno ammonta a qualcosa come 3,8 miliardi di kilowattore. I costi sono esorbitanti, se si pensa che un gallone di benzina utilizzato da un reparto di Marines in Afghanistan viene a costare circa 400 dollari, dato che deve essere trasportato attraverso il Pacifico e poi via terra attraverso Pakistan e Afghanistan. I costi, poi, aumentano quando certi quantitativi di carburante vanno perduti a causa di attacchi della guerriglia. Nel solo mese di giugno 2008, tanto per fare un esempio, 44 veicoli e 220.000 galloni di carburante sono andati perduti in attacchi e sabotaggi.
Ma la consapevolezza del fatto che le fonti di energia alternative potrebbero salvare molte vite umane ha fatto cambiare idea ai vertici militari americani. E’ stata una “rivoluzione dal basso”, partita da coloro che, rischiando continuamente la pelle in quanto incaricati di trasportare carburante sul territorio irakeno, sono diventati per forza di cose convinti sostenitori dell’energia solare. I livelli di comando intermedi hanno poi realizzato che affidarsi di più all’energia solare, oltre a diminuire il prezzo del carburante, limita il numero dei convogli sulle strade e riduce la perdita di vite umane. Non solo, ma regalando un po’ dell’energia in eccesso alle comunità locali, la popolazione diventa più incline a lanciare ai soldati fiori anziché bombe.
Tale “rivoluzione verde” negli affari militari ha poi coinvolto le alte sfere che si sono fatte promotrici di concrete misure per ridurre la dipendenza dalle fonti di energia fossili da parte di tutte le forze armate. Oggi i Marines utilizzano sostanze isolanti spray per le tende in modo da ottimizzarne la resa in termini di climatizzazione. L’Esercito, che pensa di sbarazzarsi, entro il 2013, di 4.000 veicoli alimentati a benzina e gasolio sostituendoli con altrettanti a trazione elettrica, sta progettando la costruzione di impianti ad energia geotermica, la conversione di biomasse in carburante e il miglioramento dell’efficienza energetica.
Il costo dell’energia necessaria all’Aeronautica è di 10 milioni di dollari al giorno, e l’84% del totale è dovuto al carburante, che ovviamente risente dell’aumento del prezzo del greggio. Ecco perché l’Aeronautica USA sta sperimentando biocarburanti per far volare i caccia e progetta di far salire, entro il 2016, la percentuale di simili carburanti alternativi fino al 50% del totale.
La Marina, dal canto suo, entro il 2016 si doterà della “Great Green Fleet”, una task force di portaerei alimentate ad energia nucleare e a carburanti alternativi e pianifica di ricavare il 50% dell’energia necessaria da fonti non fossili. Per quanto riguarda i 50.000 veicoli logistici che la Marina utilizza nelle basi navali, entro un lustro saranno tutti convertiti in modo da non dipendere dal petrolio. E carburanti biologici faranno volare anche gli aerei imbarcati.
L’obiettivo per le quattro forze armate è quello di arrivare, entro il 2025, ad ottenere il 25% dell’energia “militare” da fonti non esauribili. Non si tratta di essere ecologisti per partito preso, si tratta piuttosto di salvare vite umane e di risparmiare denaro.
Siccome i cambiamenti più efficaci cominciano da casa propria, l’Esercito americano sta convertendo Fort Irwin in California in una base autosufficiente dal punto di vista energetico grazie ad un proprio impianto ad energia solare da 500 megawatt. In tale modo la base non soltanto non sarà più dipendente dagli impianti locali -vulnerabili alle interruzioni a causa della sismicità dell’area- ma venderà il surplus di energia alle autorità civili locali.
Finora il “falco” americano, contrapposto alla “colomba”, era inteso come un tizio volitivo, guerrafondaio, muscolare, tipo Rambo o alla John Wayne. D’ora in poi sarà bene che ci abituiamo ad una figura nuova: il “falco verde”. Non sarebbe male vederne alcuni anche nelle forze armate italiane.