Mises ci spiega perché abbiamo bisogno del capitalismo
20 Aprile 2008
“L’economia di mercato non è uno dei tanti sistemi
possibili per realizzare la cooperazione economica fra gli esseri umani. Essa
costituisce il solo strumento che permetta agli uomini di stabilire un sistema
sociale di produzione a cui sia intimamente connessa la costante tendenza a
servire nel migliore dei modi e al più basso costo i consumatori.” Parole
e musica sono di Ludwig von Mises, lo spartito è Libertà e proprietà (Rubbettino/Facco), piccolo ma prezioso volume
che condensa la relazione tenuta dall’economista austriaco in occasione della
nona riunione della Mont Pèlerin Society ed altri quattro suoi brillanti saggi.
Incorniciato dalle pagine intense di The essential von Mises di Rothbard, il libro è un’anatomia di
quelle due concezioni della libertà che si sono affrontate in passato e che ancora
oggi incrociano le loro strade: la libertà dei liberali e la libertà dei
socialisti. Sono due libertà incompatibili, ma solo la prima – quella dell’individuo
nel mercato – è tangibile, mentre la seconda, quella preferita dai socialisti
di tutti i partiti, è la strada dell’onnipotenza statale e dire questo non
implica alcun giudizio di valore. Von Mises mette in luce la stella polare che
guida il capitalismo e che tutti gli avversari del mercato sottovalutano o
negano: la sovranità del consumatore. Quando scegliamo di comprare un libro di
Goethe invece di un cd di Mozart, diamo agli imprenditori un indizio, una
traccia che sta a loro seguire: “i socialisti vedono solo l’organizzazione
gerarchica delle varie imprese e impianti e non riescono a rendersi conto che
la ricerca del profitto costringe gli imprenditori a servire i
consumatori.” Quella lunga teoria di critici del capitalismo che hanno
fatto staffetta negli ultimi due secoli non si sono resi conti che la libertà
economica è la condizione necessaria della libertà politica; viceversa, nel
socialismo ( di ogni colore e grado) “inevitabilmente, insieme alla
sovranità economica dei cittadini scompare anche quella politica. Al piano
unico di produzione, che elimina qualsiasi scelta da parte dei consumatori,
corrisponde, nella sfera costituzionale, il principio del partito unico.”
Tuttavia, se il socialismo reale sembra avere attualmente
poche possibilità di essere rianimato, l’interventismo statale è ancora ben
presente. Si tinge, anzi, di una veste scientifica e morale. Lo stato
servirebbe per tutelare i cittadini dagli abusi di coloro che detengono il
“potere economico”
Questa, però, è una visione fumettistica e riduttiva del
mercato. Sono proprio le grandi imprese, le famigerate multinazionali – ci
ricorda Mises – ad avere più bisogno del consenso dei consumatori, perchè la
loro posizione è più rischiosa. Esse crescono a causa dell’interesse dei singoli
individui nei confronti dei loro prodotti ma, se non ripensano costantemente il
loro operato per soddisfare la domanda, rischiano di essere messe alla porta.
Nemmeno le richieste di “giustizia sociale” sono
innocenti. Il sistema del profitto indirizza la produzione verso quegli
imprenditori che sono maggiormente efficienti. Le politiche redistributive non fanno altro
che ridurre l’efficienza del sistema economico, bloccando la creazione di
quella ricchezza che finirebbe anche alle classi meno abbienti. Per quanto
possa suonare paradossale, è proprio la disuguaglianza, e non la carità di
stato, a tendere di più la mano ai poveri.
Ecco perchè, in sintesi, del capitalismo abbiamo bisogno.
Non ci è servito solo per aumentare in modo straordinario la produttività e il
benessere. Non lo abbiamo adottato solo perché ha abbattuto i privilegi e le
caste del passato. L’economia di mercato si è radicata perchè ci ha consegnato maggiore
libertà. Impossibile non essergliene grati.