“Modello Roma”, alle origini  del mito di Veltronia

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“Modello Roma”, alle origini del mito di Veltronia

30 Maggio 2007

In un recente sondaggio tra i cittadini è emerso che il problema più sentito è di gran lunga il traffico, ma subito dopo arriva il decoro. Walter Veltroni alla domanda su quale sia il problema della città che sente di più risponde: “Ho un’ossessione di tipo civile: il decoro urbano. A chi non ne capisce l’importanza chiedo: come mai se ti rigano la macchina sono problemi seri per il responsabile e se invece trovi una scritta sul muro della tua città non te ne frega nulla? La mia speranza è che un giorno si riesca a mettere le due cose sullo stesso piano di civiltà”.

Magari il problema del decoro a Roma si potesse ridurre al pur grave problema dei writers. Nonostante il Sindaco si dichiari un ossesso del decoro, nel girare per le strade non pare sia una priorità assoluta dell’Amministrazione. Per rimanere alla definizione letterale: dignità nell’aspetto, nel comportamento, nei modi, immaginare che questa parola possa riferirsi a Roma sembra quasi un paradosso.

Il Sindaco, com’è nel suo stile, ha istituito alla fine del 2002 un ufficio ad hoc, l’Ufficio decoro. Nello scorrere il bilancio del solo 2006, esibito in una conferenza stampa da Veltroni, dal vicecapo di Gabinetto Luca Odevaine, suo braccio destro operativo, e dal responsabile dell’Ufficio, Mario Schina, i numeri fanno impressione: centomila metri quadri di scritte cancellate, oltre un milione e 38 mila fogli (tra manifesti, locandine e adesivi) staccati dai muri (viene da chiedersi: ma gli addetti staccandoli hanno perso tempo a contarli? A quale scopo? Forse solo per poterne citare la roboante cifra in conferenza stampa?), 4.329 cassonetti e cestini puliti e lavati (ma non dovrebbe essere normale?), 3.144 tra paline segnaletiche e transenne rimosse, 942 elementi di arredo urbano (panchine, staccionate, recinzioni) sistemati, 4.544 interventi di pulizia e lavaggio strade (anche questa non è ordinaria amministrazione?), 1.237 di sistemazione di cigli e buche (compresi sottopassi e caditoie), 2.040 aree verdi bonificate. Ma, stando a dati più “empirici” – come può essere la vita reale di chi Roma la percorre tutti i giorni e non si accontenta delle cifre – il consuntivo di quasi cinque anni di attività dell’Ufficio decoro è assolutamente inadeguato. Se lo scopo della sua istituzione doveva essere il coordinamento di tutti i settori preposti alla manutenzione della città, si può dire senza tema di smentita che l’obiettivo è stato evidentemente mancato.

Un semaforo distrutto a Piazza Sisto V. Rimarrà così per settimane.

Al di là della questione dei writers – con i quali è stato fatto un “patto” con il recente progetto Roma magistra artis, assegnando loro 19 muri dedicati (metodo del quale ci permettiamo di diffidare: come istituzionalizzare la “sega” a scuola!) – il problema non è istituire, come si è fatto, un Ufficio ad hoc, ma far funzionare le strutture preposte. Lavare i cassonetti non dovrebbe essere un normale compito dell’Ama? O aggiornare e rimuovere la segnaletica stradale non toccherebbe alla Polizia Municipale? Purtroppo, tutti gli organismi che dovrebbero occuparsi del decoro urbano sono latitanti e si risvegliano dal loro tradizionale e indolente torpore solo per interventi speciali fatti ad uso e consumo della stampa. Un caso emblematico: l’Ama, la società della nettezza urbana. In un periodo drammatico durante il quale si registravano cumuli di immondizia ai quattro angoli della città, la pronta risposta del Campidoglio qual è stata? Annuncio, con conferenza stampa in pompa magna, del nuovo logo con simpatica manina e acquisto di nuovi e moderni macchinari. Ma di far funzionare l’azienda ed evitare che la scarico dei rifiuti avvenga in pieno giorno, come chiunque potrà aver visto almeno una volta, neanche a parlarne.

O ancora, l’annosa ed eclatante questione delle buche. Di fronte alle crescenti proteste dei cittadini per l’indecente e pericoloso stato in cui versa il manto delle strade di Roma, dal centro alla periferia, Veltroni come risponde? Prima accusa l’esecutivo Berlusconi di non dare i fondi necessari al Comune per intervenire. Poi prosegue accusando i sampietrini e annunciandone la dismissione nella maggior parte delle strade. Poi ancora, non avendo più dove scaricare il barile, annuncia interventi per 800 km di strade e 40 milioni di euro. Si badi bene, annuncia.

Allora, andiamo con ordine. Primo: i tagli contro i quali si scagliò il Sindaco non riguardavano il bilancio ordinario. Forse Veltroni, abituato ad azioni straordinarie, non ha realizzato che la manutenzione delle strade fa parte dell’ordinaria amministrazione delle città?

Secondo: i sampietrini hanno reso Roma famosa nel mondo e sono la più classica pavimentazione capitolina, però, è qui il punto, bisogna saperli mettere in opera.


A Roma da almeno dieci anni quasi nessuna ditta che esegue lavori con sampietrini li monta a regola d’arte. D’altra parte con il sistema degli appalti e subappalti, i lavori spesso sono eseguiti da poveri malcapitati che, arrivando da paesi nei quali non esistono proprio, i sampietrini non li hanno mai visti in vita loro. E dunque li montano come fossero un pavimento di un condominio di Bucarest. Come sa chiunque abbia un po’ di memoria storica, il sampietrino va messo in opera con la sabbia e non con il cemento, come per lo più si fa oggi a Roma.

Raro esempio di sampietrini messi in opera con la sabbia. L’erba ne è la prova.
Foto Valentina Cinelli

Tipico esempio di sampietrini “affogati” nel cemento, destinato a spaccarsi.
Foto Fabio Prati

A volte capita di vedere – è il caso di Via Nazionale – il manto stradale preparato con un massetto in cemento, come se si dovesse poi montarvi delle piastrelle; a seguire si montano i sampietrini, cementati e ripassati con il bitume! Una delle virtù dei sampietrini sarebbe quella di assicurare un ottimo drenaggio alle strade e di assorbire molto bene le sollecitazioni delle automobili. Sarebbe, appunto, perché per far sì che questo avvenga il selciato deve poggiare sulla sabbia e non già sul cemento, il quale spaccandosi crea le famigerate buche. E allora che si fa? Via con l’asfalto a colmarle! Insomma un vero disastro.

Buca coperta con una colata di asfalto. Prima o poi si sgretolerà peggiornando la situazione.

Via Nazionale. Rifatta completamente solo sei anni fa è oggi un “campo minato” di buche.

Terzo: come mai bastano due ore di acquazzone per allagare vaste aree della città. La risposta non potrebbe essere più semplice: l’acqua si accumula perché non ci sono le caditoie o fognoli aperti. Una volta era normale vedere gli addetti della nettezza urbana pulire caditoie e fognoli, ora la manutenzione è nulla, o addirittura vengono chiusi dalle nuove asfaltature!

Una strada completamente allagata. I fognoli otturati impediscono all’acqua di defluire.

Ma anche i lavori di riqualificazione delle piazze, come per esempio l’intervento compiuto a Piazza Risorgimento, gridano vendetta.

Lo zoccolo dell’aiuola di Piazza Risorgimento: completato da poco è già distrutto.

Tratto ancora in piedi, ma destinato a cadere per la scarsa qualità della messa in opera.

Come si può notare dalle immagini, un lavoro finito di recente è già distrutto! Perché? Vandalismo, verrebbe da dire. Certo, anche quello è un problema, ma la questione vera è la qualità dei lavori, quasi mai passati al vaglio di adeguati collaudi.

Purtroppo gli esempi di incuria e di pessima manutenzione potrebbero continuare a lungo, molto a lungo.

Immondizia varia accumulata a Piazza Risorgimento.

Governare Roma è difficile, da sempre. Un enorme territorio comunale, con 129mila ettari il più grande d’Europa, uno sconsiderato sviluppo urbanistico postbellico, un ritardo infrastrutturale indegno per una capitale europea, rendono la gestione della città un’impresa ardua, per chiunque. Ma la difficoltà del governo non può essere un alibi, per nessuno. Walter Veltroni – a giudicare dalla maggior parte dei giornali e delle televisioni – parrebbe, in questi sei anni, essere riuscito nel difficile compito. Ma come si è visto purtroppo non è così. La fama acquisita e l’immagine del “Modello Roma”, si scontrano con i dati reali più profondi delle belle tabelle esibite negli incontri con la stampa. Il metodo è sempre lo stesso: si annuncia, si aggiorna sui grandi progressi raggiunti, si esprime, sempre “pacatamente”, grande soddisfazione per gli “eccezionali” risultati ottenuti, si tagliano nastri e si incassa il ritorno mediatico di una stampa un po’ farlocca.

Ma, in realtà, i problemi più gravi, come sa bene chi abita a Roma, rimangono irrisolti e anzi si vanno cronicizzando.

Certamente occuparsi di lavori pubblici, di tecniche costruttive, dell’ esecuzione a regola d’arte degli interventi edilizi, di come rendere le strade più pulite, è meno affascinante della fondazione delle tante Case del cinema, del Jazz, dell’Architettura o della Letteratura, o dell’organizzazione della Festa del Cinema. Ma amministrare una città è soprattutto buona manutenzione delle strade, della segnaletica, salvaguardia dell’igiene, cura dell’arredo urbano, o non già organizzazione di eventi. Altre capitali europee hanno guadagnato la propria fama proprio mantenendo alti standard di manutenzione ordinaria, almeno delle zone centrali. La Capitale d’Italia pare ancora lontana da quegli standard europei, e anzi, pare aver fatto negli ultimi anni dei passi indietro rispetto alla fine degli anni Novanta. Eppure il refrain che il Sindaco recita continuamente è sempre lo stesso: “ormai Roma non ha nulla da invidiare alle altre capitali d’Europa”. Se questo può essere tutto sommato sostenibile nell’offerta di eventi culturali (e di questo parleremo in una successiva puntata della nostra inchiesta), per l’ordinaria amministrazione tutto ciò rimane una pura aspirazione, tratta dal libro dei sogni.

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