Modello Roma, la città “riqualificata” senza identità

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Modello Roma, la città “riqualificata” senza identità

02 Settembre 2007

Dio ci salvi dalla “riqualificazione”. Roma negli ultimi quindici anni ha visto mutare la sua immagine, nei rioni del centro storico, nei quartieri più pregiati attorno alle Mura Aureliane e nelle periferie. Negli spazi pubblici moltissimi interventi di vario tipo sono stati compiuti in nome di questo concetto. Dal momento in cui ha cominciato a diffondersi, all’inizio degli anni Novanta, si è espanso come una gramigna infestante su tutto il territorio cittadino compromettendo in modo a volte irreparabile l’identità urbana. La Capitale, nonostante la mancanza di un disegno urbanistico organico – come si rintraccia in altre città: Londra, Parigi, o Barcellona -, ha conservato negli anni un’identità ben riconoscibile, nelle strade, nei vicoli, nelle piazze, nei parchi ma anche nel paesaggio dell’agro circostante, composto da ruderi, torrette medievali, caotico sviluppo edilizio e improvvise e raffinate eccellenze. Da quando il potere amministrativo della città ha deciso di “riqualificare”, quest’identità si sta sempre più perdendo. Si è circondati ogni giorno di più da sfoghi creativi di varia natura, messi in opera da architetti scoordinati tra loro, ognuno dei quali esibisce e giustifica il proprio progetto e le proprie scelte con fantasiose argomentazioni, strampalate citazioni e confusi richiami storici. Ogni volta che un’area pubblica viene “riqualificata”, quasi sempre e sottolineaiamo il quasi, la sensazione è a dir poco avvilente. Qualità progettuale, cura dell’esecuzione del lavoro, scelta dei materiali, attività di manutenzione e durata, sono nella maggior parte dei casi assolutamente insufficienti. Il risultato è un accentuato squallore e una perdita, appunto, di identità, con l’aggravante del cospicuo dispendio di preziose risorse economiche.

Viceversa i risultati di quest’azione “riqualificante” sono esibiti con vanto da tutti gli amministratori a tutti i livelli e, ovviamente, dal primo cittadino, Walter Veltroni. Come in altri settori per il Sindaco l’importante è poter dire: “Abbiamo fatto questo, abbiamo portato a termine quest’altro, sono stati stanziati tot milioni di euro”. Secondo la logica invalsa negli ultimi anni tutto ciò dovrebbe essere un merito di per sé. Chiunque osi eccepire sulla qualità di quanto è stato fatto viene considerato un guastafeste. Ma, evidentemente, non basta spendere soldi e “fare” per dirsi bravi amministratori. Ciò di cui si fan forti il Sindaco e i suoi assessori è il confronto con l’epoca dell’incuria e dell’abbandono, l’era dei vituperati governi democristiani. E’ utile ricordare che ben ventitre degli ultimi quarant’anni sono stati gestiti da giunte comunali di sinistra e centrosinistra. Dunque, se ancora oggi Roma ha ritardi strutturali ed è priva di una sana cultura amministrativa, che è prima di tutto manutenzione dell’ordinario e dell’esistente, ciò si deve ormai soprattutto alle amministrazioni di centrosinistra. Con questo non si vuol giustificare o difendere l’operato delle giunte democristiane o di pentapartito, ma limitarsi a osservare come l’identità urbana di cui si parlava all’inizio, in quei periodi era sopravvissuta. Era insomma scampata all’incuria, e al degrado. Panchine, “nasoni” (le celeberrime fontanelle), cestini, fermate dell’Atac, gli autobus stessi, le aiuole, i sampietrini, i paracarri, erano tutti elementi che concorrevano a riconoscere di primo acchito lo stare a Roma. Erano manufatti semplici e sobri che, essendo adottati in quasi tutto il territorio cittadino, contribuivano tuttavia a definire un’identità, accompagnando in modo discreto gli elementi storici del paesaggio urbano. Oggi tutto ciò è messo in pericolo proprio dalle “riqualificazioni” e rischia, andando avanti di questo passo, di essere definitivamente compromesso.

Gli esempi potrebbero essere moltissimi, dal centro alla periferia: tuttavia ci concentreremo solo su alcuni che riteniamo emblematici.

Nel centro storico il segno che ha caratterizzato gli interventi di questi ultimi anni sono le palle di ferro. Basta fare una passeggiata tra Piazza della Pilotta, Piazza Capranica, il Pantheon, Piazza della Minerva e Piazza Mattei per imbattersi in questo elemento d’arredo urbano, piuttosto insolito e ingombrante, adottato come distintivo da coloro che si sono occupati della “riqualificazione” di questi spazi. Chi oggi arrivasse per la prima volta a Roma potrebbe andarsene con l’idea di esser stato nella “città delle palle di ferro”.

Partiamo da Piazza della Pilotta. Lo spazio è stato ridefinito con uno slargo, leggermente sopraelevato con due gradini, pavimentato a sampietrini rigorosamente cementati, come ormai d’abitudine, e con i due lati ortogonali al palazzo dell’Università Gregoriana definiti dalle palle di ferro.

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Piazza della Pilotta “riqualificata”

Inizialmente si era annunciata una fontana centrale e un’aiuola con sedute, sparite nel prospetto definitivo. L’unica presenza verde superstite sono gli alberelli di magnolie, interrati in tristi vasi di latta, più adatti alla serra di un vivaio che non ad una piazza storica di Roma. Delle annunciate panchine, certamente gradite agli studenti della Gregoriana, neanche l’ombra. Risultato: la piazza è quanto mai anonima. Le uniche cifre architettoniche rimangono le palle di ferro e le colonnine con le catene, oggi definite nel gergo degli addetti ai lavori dell’arredo urbano “dissuasori”. Le colonnine sono fuori scala, troppo tozze (una colonnina preesistente poteva essere utilmente presa a modello) e per di più tagliate in modo inadeguato. In realtà anche le palle sono “dissuasori” che, evidentemente, nelle intenzioni degli architetti dovrebbero nobilitare la piazza più delle tradizionali colonnine. Purtroppo la soluzione adottata produce nel viandante solamente un effetto lassativo. Sinceramente è inspiegabile perché non si sia alleggerito lo sguardo con del verde, visto che le povere magnolie certamente non servono allo scopo e fanno solo tenerezza.

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Una colonnina preesistente più snella e aggraziata di quelle recentemente istallate

Proseguendo il cammino, passata Via del Corso, si entra nel percorso che collega Fontana di Trevi al Pantheon, lungo il quale si arriva in Piazza di Pietra. L’intervento di pedonalizzazione è talmente riuscito che, in qualunque giorno si capiti nella piazza, il panorama è quello visibile nella foto, se non peggio. Se questa è un’area pedonale…

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Piazza di Pietra “pedonalizzata” dalle macchine

La scelta dei materiali per i “dissuasori” (che palesemente non dissuadono nessuno) è stata anche in questo caso sbagliata: già sono in condizioni pietose, ma anche la forma è a dir poco discutibile.

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I “dissuasori” di Piazza di Pietra piuttosto malconci dopo poco tempo

Girando verso il Parlamento, si arriva di fronte a Montecitorio la cui piazza è stata oggetto dieci anni fa di un intervento che ne ha sconvolto l’orografia, firmato da Franco Zagari. Rivedere il prospetto berniniano del palazzo della Camera dei Deputati affogato nel cemento, seppur ricoperto di sampietrini, produce ancora oggi un effetto estetico e ottico al quale è impossibile abituarsi. La prospettiva che consentiva allo sguardo di aprirsi verso piazza Colonna e via degli Uffici del Vicario è stata inspiegabilmente chiusa da questo montarozzo a dorso di balena. In questo decennio la piazza è stata oggetto di numerosi interventi, più o meno discutibili. Un’azione meritoria è stata la rimozione delle assurde e costose catenelle in titanio, scelte all’epoca da Zagari, rottesi dopo pochi mesi e totalmente avulse dal contesto. Opera inutile e soldi buttati, ma tanto paghiamo noi, non l’architetto.

Arriviamo in Piazza Capranica. Il lato che corre lungo Palazzo Capranica è stato ben risolto, scandito da colonnine in travertino dalle quali partono le tradizionali catene. Ma sul lato che porta verso il Pantheon ecco di nuovo le palle di ferro. I turisti che passano ne saggiano perplessi la consistenza con i piedi e non avendo di meglio su cui sedersi, come nel caso della Pilotta, scelgono le palle per riprender fiato nel loro cammino. Non si fa in tempo a far poche decine di metri e le palle si ripresentano: stavolta direttamente sulla piazza del Pantheon. Per fortuna in questo caso, la maestosa Rotonda, come i romani chiamano il celeberrimo monumento, e l’equilibrio della piazza, seppur ridefinito nelle quote, non sono stati troppo alterati dalla “riqualificazione”.

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Le palle di Piazza Capranica e quelle di fronte al Pantheon

Proseguendo il cammino verso Piazza della Minerva s’incontra un’altra fila di palle. Nonostante sembrino intruse, in questo caso il carattere della piazza è tale da renderne quasi innocua la presenza.

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Le palle di Piazza dela Minerva

Continuando il nostro giro dopo poche centinaia di metri scopriamo un altro “giacimento” di palle di ferro. E’ in Piazza Mattei e delimita l’area pedonale nella quale è inserita l’elegante Fontana delle Tartarughe, una delle più belle di Roma. Qui le palle non hanno la base mozza come nei siti precedenti e sono completamente sferiche. La loro invadenza prospettica è palese. Da segnalare la ricomparsa dei vasi in cemento, immessi con molte polemiche negli anni Novanta, per fortuna quasi scomparsi dal centro storico, ma in questo caso inspiegabilmente recuperati. La rimozione di vasi e palle restituirebbe a questo incantevole angolo di Roma il fascino che ha sempre avuto.

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La fontana delle Tartarughe in Piazza Mattei. Le palle intralciano la prospettiva
Foto: Danilo Nuccetelli

Insomma, nessuno degli spazi presi in esame trae qualche beneficio dalla presenza delle palle, talmente avulse da sembrare quasi inserite con un ritocco. Basta l’aiuto di un programma come Photoshop per provare a toglierle restituendo un colpo d’occhio e un’identità certamente più consone ai luoghi. E allora perché sono state messe? Semplice: per puro narcisismo di chi ha curato la cosiddetta “riqualificazione”. Sarebbe stato troppo sobrio, discreto e anonimo provvedere al semplice restauro dei luoghi, senza lasciare tracce del proprio “genio” progettuale? Sarebbe troppo chiedere che la Capitale di un Paese come l’Italia, famoso nel mondo, almeno storicamente, per saper progettare spazi verdi, ne abbia qualche testimonianza contemporanea nel centro storico? Forse a questi amministratori, sì, è chiedere troppo.

A questo proposito la “riqualificazione” dell’area basilicale di Santa Maria Maggiore è illuminante: il narcisismo dell’architetto è assente, ma manca un minimo slancio progettuale. Vista la totale mancanza di verde, l’intervento poteva essere l’occasione per inserire alcuni discreti elementi di vegetazione. Al contrario si è preferito lasciare un triste e vasto selciato a gradoni, con due filari di alberi troppo isolati e quasi spauriti sui lati.

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L’area di Santa Maria Maggiore. Né verde o né panchine: non resta che sedersi per terra
Foto: Andrea Jemolo

L’immagine di Andrea Jemolo che pubblichiamo (tratta dalla monografia “Roma, la nuova architettura, volume già citato in un precedente puntata della nostra inchiesta), oltre a chiarire l’isolamento del povero alberello sulla sinistra, ci offre lo spunto per rimarcare un’altra inspiegabile tendenza di tutti gli interventi degli ultimi anni: mancano completamente degli elementi per sedersi. Tant’è che le persone, come si può notare, sono tutte accovacciate per terra. Al di là delle possibili nostalgie da sit in stile Seventies, sinceramente stentiamo a capire perché ci sia questa idiosincrasia. Forse progettare una panca di marmo, peraltro componente storico tipico di molte piazze di Roma, è troppo difficile?

In conclusione analizziamo brevemente alcuni interventi in spazi periferici o decentrati.

Partiamo da un intervento che durante la sua inaugurazione, nel 2002, vide insieme Silvio Berlusconi e Walter Veltroni. Il primo come ministro degli Esteri ad interim e il secondo come Sindaco al quale far risalire la paternità dell’opera. E’ anch’esso inserito nel volume già citato con foto di Andrea Jemolo. Abbiamo voluto aggiungere alcune foto di oggi per rimarcare il confronto, per così dire, tra sogno e realtà, pur consapevoli che già l’immagine di Jemolo seppur eccellente evidenzi l’assurdità dell’intervento. E’ un viale che dovrebbe condurre al Ministero degli Esteri le delegazioni in visita, ma sarebbe molto meglio nasconderlo alla vista dei nostri ospiti stranieri.

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Il viale che conduce al Mnistero degli Affari Esteri. Foto: Andrea Jemolo

Confessiamo la nostra ignoranza: non riusciamo a comprendere quale fosse l’intenzione degli architetti nel lanciare l’idea di questi enormi lampioni e capiamo ancora meno come possano aver vinto un concorso progettuale. Oltretutto oggi i megalomaniacali lampioni sono diventati oggetto dell’attenzione dei simpatici ragazzi armati di bombolette spray e a giudicare dalle scritte (l'”Italia Caput Mundi” risale certamente alla vittoria dei Mondiali un anno fa) non pare esserci una solerte azione di ripulitura. Neppure i “dissuasori mobili” sembrano esser durati molto, sostituiti dal nastro biancorosso messo alla meno peggio.

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La manutenzione dei lampioni non eccelle e i dissuasori mobili hanno lasciato il posto al nastro di plastica

Andando più in periferia, dove l’azione di “riqualificazione” viene presentata da Veltroni come il proprio fiore all’occhiello, la situazione non migliora, anzi. Qui i margini di sperimentazione aumentano e dunque le elucubrazioni architettoniche hanno prodotto opere di rara bizzaria. Cosa pensare di questa fontana a Labaro composta da due pareti di cemento nelle quali è definita per sottrazione la sagoma della fontana di S.Andrea della Valle? Possiamo dire che sarebbe stato meglio se fosse rimasto in forma di progetto per un esame di progettazione urbana all’università.

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La fontana a Labaro che ricalca la forma in negativo della fontana di S.Andrea della Valle.
Foto: Andrea Jemolo

E che dire di Largo Pettazzoni a Tor Pignattara? La landa desolata alla fine della quale s’intravese mesto l’Acquedotto Alessandrino, nonostante il tentativo di Jemolo di restituircela con fascino metafisico, è di raro squallore. Il confronto con la parte a prato che costeggia l’Acquedotto, preesistente alla “riqualificazione”, rende evidente quanto fosse opportuno limitarsi soltanto a far proseguire il verde, evitando di aggiungere altro cemento in una zona già abbastanza satura.

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Largo Pettazzoni a Tor Pignattara. A destra la zona “riqualificata”, a sinistra quella preesistente.
Foto: Andrea Jemolo

Stesso discorso si potrebbe fare per piazza Castano a Tor Bella Monaca. Sarebbe stato meglio concentrare l’attenzione sulla buona manutenzione dell’area verde non sprecando soldi per una fontana di dubbio gusto.E’ più importante che il prato non si secchi o vedere quattro tristi zampilli che escono da una malinconica pozza d’acqua?

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Piazza Castano a Tor Bella Monaca Foto: Andrea Jemolo

Insomma, la politica di “riqualificazione” seguita in questi anni ha prodotto solo perdita di identità e, in alcuni casi, ulteriore incuria e abbandono, con l’aggravante della rimozione di elementi storici. Certamente se si fosse proceduto senza stanziamenti milionari, ma perseguendo principi di buona amministrazione e manutenzione costante, ci sarebbe poco materiale per fare conferenze stampa, per annunciare programmi dai nomi fantasiosi e coniare neologismi fascinosi e acronimi accattivanti, come tanto piace al Sindaco. Ma la vera rivoluzione, il vero cambiamento per Roma sarebbe vedere un giardino ben tenuto per più di due anni, una strada senza rifiuti, un lavoro stradale ben eseguito, la segnaletica in ordine e così via. Tutte cose che dopo sei anni il cosiddetto “Modello Roma” è ben lontano dall’aver raggiunto.