Molti laici attaccano la Chiesa senza sapere quello che la Chiesa dice
28 Aprile 2009
Giuseppe Vacca è il Direttore dell’Istituto Gramsci, la storica istituzione di pensiero e ricerca della Sinistra italiana. Sull’ultimo numero della rivista “Reset” (marzo-aprile 2009), all’interno di una serie di contributi sulla laicità che, diversamente dal suo, ripetono stancamente cose già sentite, Vacca fa una constatazione di notevole interesse: accusa i “laici” (di sinistra) di analfabetismo religioso. La laicità della cultura diffusa la cui stampa di riferimento è il giornale “La Repubblica” – afferma Vacca – consiste esclusivamente nell’accusare il Papa di ingerenza e invadenza, qualsiasi cosa egli dica. Di conseguenza, secondo lui, «La prima cosa su cui varrebbe la pena di lavorare, ammesso che si convincano le leadership in senso ampio, è vedere come ri-alfabetizzare un popolo di cittadini democratici all’ascolto e alla comprensione dei linguaggi specifici delle religioni. Oggi non ci sono i presupposti minimali per capire i discorsi religiosi. Non si è capaci di capire il senso di quello che dice il Papa, il senso è il titolo de “La Repubblica”, e vale anche per le persone di alto livello culturale». Secondo Vacca la cultura progressista si è secolarizzata dall’ideologia approdando al liberalismo, ora deve fare un altro percorso per comprendere il linguaggio religioso.
Quanto Vacca dice giustamente per il popolo del Pd, può essere anche esteso. La laicità è anche un fatto linguistico. Se il vocabolario elimina i significati delle parole religiose, di fatto si chiude alla vera laicità. C’è anche un laicismo delle parole. L’ostracismo della religione passa prima di tutto per l’annullamento del suo vocabolario. Etienne Gilson diceva che Dio sarà veramente morto quando si sarà finito di parlarne. Ma Dio è morto già quando non si sa più il significato di parole come “peccato”, “anima”, “salvezza”, “sacramento”. Passavo giorni fa per una strada della mia città chiamata “Via Redentore”, e mi chiedevo quanti giovani, leggendo la targa di quella via, avrebbero compreso il suo significato e se questa loro ignoranza fosse veramente richiesta dalla laicità o piuttosto il contrario.
Del resto, non c’è da stupirsi. Da molto tempo – qualche secolo ormai – le élites culturali hanno imposto un altro linguaggio. Illuminismo, idealismo, marxismo e positivismo, pur nella grande diversità di pensiero, sono stati unanimi a relegare il linguaggio religioso nell’ambito del mito o del sentimento, destinato ad essere superato dal linguaggio della scienza. Nella scuola di oggi il linguaggio religioso è inesistente, completamente ignorato, oppure adoperato in modo improprio. La scuola oggi, linguisticamente parlando, è irreligiosa. Come la maggior parte della grande stampa.
Se la laicità non è in grado di comprendere più i termini religiosi, attenzione, essa non è in grado forse più di comprendere anche quelli antropologici o morali. Non dimentichiamo che, come sosteneva Del Noce, la fede cristiana presuppone una metafisica. Perdendo il linguaggio religioso del cristianesimo, si rischia di perdere anche la densità del linguaggio antropologico ed etico. Espressioni come “persona” o “bene comune”, nel loro significato metafisico, sono estranee alla cultura della laicità cui si riferiva Vacca. Lo stesso dicasi per le espressioni “famiglia”, “vita”, “natura”.
Dalle osservazioni di Vacca traggo una conclusione: una laicità dovrebbe accogliere il linguaggio religioso senza togliergli la sua specificità religiosa, senza orizzontalizzarlo.
In contemporanea con le osservazioni di Vacca apparse su “Reset”, un’altra rivista della sinistra, “Left”, nel numero del 24 aprile in distribuzione in questi giorni, dedica un articolo alla Santa Sede (“Santa Sede Spa”, di G. Perrotta, pp. 36-38), dando un esempio da manuale di cattivo uso linguistico della laicità. Vi si propone di guardare alla Chiesa con “occhio esclusivamente laico”, vale a dire alla gerarchia come ad una multinazionale e ai fedeli come a dei clienti. Come ogni multinazionale, anche la Chiesa si basa su un prodotto di successo, di cui ha l’esclusiva: la redenzione. E’ uno strumento capace di lavare il peccato originale, inventato anche esso alla bisogna e, soprattutto, dato che si compra da vivi e la si consuma nell’aldilà, evita l’obsolescenza della merce ed anche i reclami dei clienti insoddisfatti.
L’articolo segnala poi inquietanti parallelismi tra le potenti strutture del petrolio, della ristorazione o del turismo e la Chiesa cattolica. Anche la Chiesa si basa su un amministratore delegato, il Papa, e su un consiglio di amministrazione, il collegio cardinalizio. Da loro dipendono le direzioni generali, ossia le Congregazioni e i Consigli, coadiuvati da altre strutture come fondazioni e accademie. Le diocesi sono le filiali e le parrocchie che rappresentano i punti di contatto con i clienti. Come ogni multinazionale, la Chiesa cattolica si avvale di consociate, sia religiose (Benedettini, Domenicani, Francescani) che laiche (Comunione e Liberazione, Opus Dei, Legionari di Cristo). La clientela è segmentata per fasce di bisogni e il prodotto è diversificato. La Chiesa, come ogni multinazionale, è attenta alla concorrenza e attua una politica promozionale utilizzando tutti i media.
I credenti dovrebbero inorridire, i liberi pensatori dovrebbero ribellarsi. Ma se questi sono italiani, possono venire colti dalla sindrome del campanilismo. Come la Coca Cola, pur essendo universale, è americana, così la Chiesa è romana. In questo modo la Chiesa, “che porta con sé i peggiori difetti delle multinazionali, diventa “nostra” quando i grandi vengono a Roma e fanno la fila in piazza San Pietro per baciare l’anello del Papa e il nauseante barocchismo della cerimonia passa in seconda linea.
Ecco un esempio di incapacità laica a capire il linguaggio religioso. Tale capacità non consiste nel depurare il linguaggio religioso dal suo significato verticale, ma di accoglierlo come tale nel dibattito pubblico, nella libertà di non condividerne fino in fondo i contenuti. Ma per non condividere fino in fondo i contenuti, bisogna prima capirli.