Monti dica no alla “tassa sulle frequenze”

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Monti dica no alla “tassa sulle frequenze”

09 Dicembre 2011

Si dice che gli italiani in cuor loro si sentono tutti allenatori della Nazionale. Questa tendenza si sta pericolosamente espandendo anche alla politica economica. Fioccano spunti e suggerimenti al governo Monti per evitare lacrime sulle pensioni, provenienti soprattutto dal Fatto, dai grillini e dal Popolo Viola.  Tra i bersagli polemici ci sono vecchi cavalli di battaglia come il taglio delle spese militari e nuovi moloch come l’attribuzione delle frequenze per il digitale terrestre, la linea Maginot di chi ha fatto bussiness con l’antiberlusconismo e la battaglia sul conflitto di interessi.

Il Cav., dicono gli appelli fatti girare su Internet, si è inventato il "beauty contest" (cioè a dire una gara per l’attribuzione gratuita delle frequenze organizzata su base meritocratica) solo per favorire il duopolio Mediaset-Rai, anzi, il suo monopolio, essendo la RAI ancora "minzolinizzata". SuperMario, chiedono i Travaglios, deve sospendere la procedura e indire un’asta per vendere le frequenze: il governo italiano ricaverebbe non si sa quanto, 3, 4, 5 miliardi di euro che andrebbero ad attenuare l’esosità della manovra nel capitolo pensioni di anzianità.  

Dimenticando, primo, che non è stato Berlusconi a indire la "gara di bellezza" ma la Commissione Europea ad avercela imposta dopo la procedura di infrazione determinata dal caso Europa 7. Lo sfondo storico era il passaggio dall’analogico al digitale e in questa rivoluzione (mancata?) gli eurocrati sapevano di giocare una partita difficile, che richiede alti investimenti da parte dei player interessati e un costo per gli utenti nell’acquisto dei nuovi decoder.

Così, Bruxelles ha deciso di concedere le frequenze gratis, in modo da non incidere negativamente sul passaggio al digitale. Ebbene, chiedere di indire un’asta sulle frequenze vuol dire tassarle e quindi rompere la procedura che stiamo seguendo con Bruxelles. Significherebbe buttare all’aria delle trattative che, a sentire i tecnici, finiranno con l’attribuire solo 2 "lotti" previsti agli incumbent (Rai e Mediaset), a fronte degli altri 5 lotti per i nuovi arrivati, una suddivisione fatta proprio per alimentare la concorrenza.

Se decidesse di indire l’asta, il ministro Passera dovrebbe annullare i lavori della commissione che sta lavorando sulla gara in corso (e di cui si aspetta a breve il responso), trovare un nuovo accordo con l’AGCOM e poi con la Commissione Europea, e fronteggiare lo tsunami dei ricorsi al TAR che cadrebbe  sulla testa del governo. Alla Ue servono risposte subito, non lunghi e complicati processi dall’oscuro risvolto economico; i Travaglios invece ragionano su cifre gonfiate, viziate dai ricavi della telefonia, mentre il giro di ricavi prodotto da un’asta sul digitale oscillerebbe all’incirca intorno a un decimo dei proclami che sentiamo in giro (400/500 milioni, altro che miliardi di euro), di conseguenza non servirebbe molto a salvare i pensionati.

Più in generale, il bussiness televisivo è in sofferenza, ha perso parte del suo smalto, è nella fase (calante) della sua maturità: i grandi player del settore sono fermi, "plafonati",  e vedono i ricavi, il pubblico più giovane e la pubblicità sfuggire verso nuove piattaforme, risucchiati da Internet e dai colossi del web come Google. A spiare dal buco della serratura nei bussiness plan delle aziende che gestiscono questo genere di reti chissà quali scoperte si farebbero sulla portata degli investimenti e dei ritorni previsti dal "contest", una scoperta che potrebbe rivelarsi dolorosa.

Il che spiega perché Sky si è tirata fuori dal gioco. Sky ha ottenuto il suo vantaggio politico fino a quando le è convenuto stare sul mercato italiano per infastidire Mediaset (e il governo Berlusconi), ma ora che il discorso si riduce a conquistare un multiplex per trasmettere in chiaro, come dire, il boccone per la pay-tv diventa meno ghiotto. 

Il governo Monti non deve sottoscrivere l’appello che gli è stato rivolto affinché indica un’asta sulle frequenze per il digitale terrestre. Per una ragione di opportunità politica, l’Europa ci osserva èd è inutile aggiungere nuove complicazioni alla procedura di infrazione già aperta nei nostri riguardi, e per una ragione di natura economica, visto che non c’è un chiaro vantaggio economico nel "tassare" l’etere. Non è detto che le frequenze non siano un valore, e sarebbe interessante sentire cosa ne pensano gli esperti di elettronica industriale, per esempio sulle compravendite che ci sono state e continueranno ad esserci sul mercato dell’etere italiano. Di quali costi, prezzi, ricavi, stiamo parlando esattamente?