Monti fa la squadra (finalmente) ma sull’agenda anche il Colle è impaziente
29 Novembre 2011
Misure e misurino. Monti chiude (finalmente) la partita viceministri-sottosegretari e si concentra sulla road map rigore-equità-crescita, dopochè mercati ed Europa per un verso, Napolitano dall’altro gli chiedono di accelerare il passo. Il misurino è quello che usa per dosare il mix tra tecnici e tecnici di area (politica). Così a Roma. A Milano, invece, Silvio Berlusconi ‘difende’ il Prof di Varese (“lasciamolo lavorare è appena arrivato”) e parla del Pdl: primarie per la scelta del candidato premier. Che nel 2013 non sarà lui.
Nella squadra di governo c’è un ministro in più: Filippo Patroni Griffi, consigliere di Stato e adesso sulla poltrona di Brunetta, del quale è già stato capo di gabinetto. Tre viceministri e 25 sottosegretari, completano il puzzle che ha richiesto più tempo del previsto e la dovuta attenzione ai ‘curricula’ dei supertecnici fatti recapitare a Palazzo Chigi dai partiti come chiesto dal premier. Gli altri nomi di ‘peso’ sono Vittorio Grilli (viceministro) che sarà l’alter ego di Monti a via XX Settembre, Ciaccia in arrivo da Banca Intesa (attraverso la controllata Biis di cui era fino ieri amministratore delegato), voluto dall’ex banchiere Passera e Michel Martone giuslavorista e docente alla Luiss chiamato al Welfare.
E c’è già la prima polemica: sei parlamentari del Pdl e il presidente dei senatori Gasparri puntano il dito contro Giampaolo D’Andrea sollevando il caso del ‘politico’ nominato sottosegretario ai Rapporti col Parlamento. Si contesta non la persona, ovviamente, ma il metodo che a detta degli esponenti del centrodestra violerebbe il patto sulla scelta di tecnici. Con D’Andrea già parlamentare Pd e non ricandidato alle ultime elezioni, finisce nel mirino Gianluigi Magri neo-sottosegretario alla Difesa, ex deputato Udc e membro dell’Agcom, pure lui non ricandidato nel 2008.
La quadratura del cerchio è arrivata nel Cdm cominciato in ritardo proprio perché c’erano gli ultimi nodi da sciogliere e tra questi la scelta di affidare a un ministro la delega della Funzione Pubblica, finora rimasta alla Presidenza del Consiglio. Scelta che sarebbe maturata nel faccia a faccia Monti-Napolitano al Quirinale. Il presidente avrebbe chiesto lumi al Prof sul pacchetto di misure anticrisi e ascoltato le determinazioni del premier sulla squadra di governo. Anche su Grilli c’era qualche perplessità (come, si dice nei rumors di Palazzo, quelle di Catricaltà) ma alla fine il braccio destro di Tremonti è stato promosso al rango di viceministro (come peraltro molti avevano previsto nel toto-nomine). Si è già messo in aspettativa dall’incarico di direttore generale del Tesoro con un taglio allo stipendio pari al 70 per cento. Con lui lavoreranno i sottosegretari Vieri Cerani, già a capo dei servizi fiscali di Bankitalia, e Gianfranco Polillo.
Il primo viene indicato come un tecnico di area vicino al centrosinistra anche se ha già lavorato con Tremonti alla commissione incaricata di preparare la riforma tributaria, il secondo al centrodestra. Fattispecie quest’ultima che si potrebbe applicare anche al sottosegretario alla Giustizia Salvatore Mazzamuto, già consigliere giuridico del ministro Angelino Alfano sulla riforma del codice civile, ma anche a De Vincenti che è stato consigliere giuridico di D’Alema come il sottosegretario al Welfare Cecilia Guerra e lo stesso viceministro Martone che ha collaborato con Maurizio Sacconi. Tutto ciò per dire che la tela tessuta in questi ultimi giorni ha, inevitabilmente, una sottile trama politica anche se il profilo dei neo-sottosegretari resta sostanzialmente tecnico.
Allo Sviluppo economico Passera chiama un ex collega di Banca Intesa San Paolo: Mario Ciaccia, fino a ieri Ad di Biis, società controllata dal gruppo torinese. E’ considerato un supertecnico che si occuperà del capitolo infrastrutture. La sua, come quella di Passera, sarà una prova fondamentale dal momento che su entrambi non si sono risparmiate stoccate nei corridoi dei palazzi della politica a proposito di ‘conflitto di interessi’. Vale per Passera che da banchiere si è occupato di molti dossier legati allo sviluppo, vale oggi per Ciaccia.
Le pressioni su Monti sono trasversali e tutte covergenti su un punto: quali misure e quando. Lo sollecitano i mercati proprio nel giorno in cui l’Ocse ha detto che l’Italia sarà in recessione nel 2012; i partner europei che vogliono capire la road map (tempi soprattutto) italiana e infine le forze politiche (tutte) che siedono in parlamento e che al governo hanno dato il loro sostegno. Una certa impazienza la mostra anche l’inquilino del Colle che proprio a Monti chiede lumi, un segnale. A difenderlo – può sembrare un paradosso – è Silvio Berlusconi che da Milano afferma: “Monti non è in ritardo, è appena arrivato e si deve occupare di cose di enorme complessità, ma lasciatelo lavorare”. Come dire: per misurarlo serve ancora tempo.
A complicare il quadro, ci sono le stime Ocse che potrebbero rendere più difficile l’obiettivo che prima il Cav. poi Monti si sono dati: pareggio di bilancio entro il 2013. E di questo oggi si occuperà l’Aula di Montecitorio votando l’introduzione della ‘regola aurea’ in Costituzione. Ma è chiaro che l’obiettivo deve essere centrato e di come riuscire a farlo si occuperà il premier nel Cdm ad hoc fissato il 5 dicembre, con in mezzo tappe europee importanti quali l’Ecofin e il Consiglio europeo. Per quella data, Monti starebbe lavorando per step con misure correttive in ciascuno dei campi in cui saranno decisi gli interventi accompagnati tuttavia da “spicchi” di riforma, come il chiama il Prof. di Varese, con l’intento di fronteggiare l’emergenza senza penalizzare la crescita. Insomma, il rodaggio sta per scadere e i fatti non hanno la pazienza di aspettare.
Pazienza che invece, dimostra, Silvio Berlusconi, alle prese con le vicende giudiziarie che pure ieri lo hanno impegnato a Milano. Pazienza che impone il ruolo e la consapevolezza di una scelta fatta “con senso di responsabilità e per il bene del Paese”. Stesso approccio di sempre con cronisti, taccuini, microfoni e telecamere, il Cav. tende la mano a Monti ma si concentra sul partito confermando quanto già annunciato il giorno dell’investitura di Alfano a segretario del partito. No, al prossimo giro di giostra elettorale lui non si ricandiderà premier e sarà il Pdl a scegliere il nome attraverso le primarie. Una mossa, due potenziali obiettivi che rientrano perfettamente nella filosofia del ‘capo’: dare un segnale concreto di rinnovamento e in questo senso rilanciare la figura di Alfano; mettere i papabili (e chi si è già auto-candidato, vedi Formigoni) in competizione in vista delle primarie. Della serie: tutti in pista, tutti al lavoro. Senza sconti.