Monti ha la fissa dei conti pubblici. Ma a quelli privati quando penserà?

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Monti ha la fissa dei conti pubblici. Ma a quelli privati quando penserà?

06 Giugno 2012

I conti pubblici non tornano. Ieri la corte dei conti ha rilanciato l’allarme sulle casse dello Stato che, secondo le stime dei magistrati contabili, nel primo quadrimestre viaggerebbero con 3,5 miliardi di euro sotto le previsioni. E non è tutto. Facendo eco alla Banca d’Italia, i giudici contabili hanno aggiunto che i consumi frenano e che l’aumento della pressione fiscale sta provocando "impulsi recessivi" sull’economia reale, innescando un "rischio di avvitamento".

La notizia appare uno sberleffo, arrivando a ridosso della scadenza per il pagamento delle tasse e della nuova Imu. Sarà pure vero che i conti pubblici non tornano (anzi è certamente vero se a dirlo è la Corte dei conti); ma quelli “privati” non godono certo di miglior salute. Fino a quando i cittadini resisteranno a questa impavida quanto dispotica tassazione senza freni, tra patrimoniali (Imu) e nuove tasse e balzelli?

Prendiamo un professionista che riesca a guadagnarsi 110 mila euro in un anno. Nel momento in cui incassa questo suo compenso, dovrà aumentarlo del 21% (l’Iva) che poi riverserà tutto nelle casse dello Stato. Dunque, il professionista incasserà dai clienti 133.100 euro: 110 mila euro per il suo lavoro e 23.100 come ‘provvigione’ per lo Stato. La Costituzione prevede che la “pensione” sia competenza esclusiva dello Stato, che ne prende cura attraverso specifici istituti ed enti preposti al compito (articolo 38).

Il nostro ipotetico professionista, perciò, è obbligato a pagarsi i contributi per la pensione alla propria cassa previdenziale di appartenenza, che, poniamo, prevede un versamento di 10 mila euro all’anno. Pertanto, quei 133.100 euro si riducono a 100 mila euro: 23.100 di Iva allo Stato e 10 mila per la pensione. Arriviamo così alla tassazione vera e propria. Con 110 mila euro, il professionista non ha diritto ad alcuna detrazione fiscale per ‘produzione lavoro’ e, tolti i 10 mila euro pagati alla cassa (oneri deducibili), risulterà un bel conticino da pagare all’erario, di 38.500 euro così composto: a) euro 36.170 di Irpef principale; b) euro 2.030 di addizionale Irpef regionale; c) euro 300 di addizionale Irpef comunale (aliquota 0,30%).

Riassumiamo: il professionista ha lavorato un anno intero guadagnandosi 110 mila euro; ne ha incassati 133.100, per via della provvigione statale del 21% (Iva); poi ha versato 10 mila euro alla cassa di previdenza per la pensione; infine, ha pagato 38.500 euro di tassazione Irpef. Alla fine, dunque, gli restano solo 61.500 euro di reddito spendibile: gli altri 71.600 sono andati nelle casse dello stato.

Andiamo avanti ché non è finita. Infatti nel momento in cui il professionista decide di spendere quel reddito netto che gli è rimasto, continuano gli incassi per lo Stato. Per essere precisi occorrerebbe conoscere esattamente in quali acquisti vengono spesi i 61.500 euro disponibili del professionista; poniamo che per l’80% si tratti di acquisti vari (con Iva al 21%) e per il restante di acquisti di prima necessità (con Iva al 4%).

Dunque i consumi (gli acquisti) del professionista produrranno una nuova ‘provvigione’ per lo Stato (Iva) di 9.012 euro, ossia 8.539 euro su 49.200 euro di acquisti di beni vari (Iva al 21%) e 473 euro su 12.300 euro di acquisti di generi di prima necessità (Iva al 4%). Ci fermiamo qui, consapevoli che quei 61.500 euro spesi dal professionista, al netto di 8.539 euro di Iva, costituiranno un nuovo ‘reddito’ per i commercianti, sui cui ricomincerà il circolo di tassazione e imposizione dello Stato.

In conclusione, sui 110 mila euro di compensi scaturiti dal ‘lavoro’ del professionista: a) lo Stato prende 80.612 euro (il 73,28% su 110 mila euro, cioè sul lavoro del professionista); b) il lavoratore 52.488 euro (il 47,72% dei 110 mila euro, cioè del suo lavoro). L’esempio è vero, per niente lontano dalla realtà. Forse troppo ottimistico, per l’importo di reddito considerato. Comunque sia, il messaggio è chiaro: si torni pure a lanciare allarmi su conti pubblici che non quadrano; ma diteci, per l’amor del Cielo: quando cominceremo a preoccuparci dei conti ‘privati’, dei cittadini, che non tornano?