Monti sta ai contribuenti come Filippo il Bello ai templari

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Monti sta ai contribuenti come Filippo il Bello ai templari

25 Maggio 2012

Giovanbattista Vico sarà contento di sapere che la sua geniale intuizione sui corsi e ricorsi storici trova continua conferma. Confrontiamo le vicende politiche italo-europee odierne con quelle di sette secoli fa e troveremo più di una analogia.

Le finanze dello stato a ramengo. Filippo il Bello, re di Francia nel 1312, si ritrovò con le casse dello stato vuote a causa dei conflitti sostenuti e della cattiva gestione finanziaria. Pur di fare cassa pensò bene di tassare anche la Chiesa, iniziando un contenzioso con il Papa di allora, Bonifacio VIII (il cui vero nome, guarda caso, era Benedetto). Siccome la Chiesa era restia a farsi depredare, l’ingordo sovrano puntò gli occhi sull’ordine monastico-cavalleresco più importante e facoltoso: i Templari, la cui vera denominazione era “Pauperes commilitones Christi” ma in realtà in possesso di ingenti ricchezze mobili e immobili. Ebbe così inizio la persecuzione contro i Templari, esattamente sette secoli prima di quella del 2012 nei confronti dei “pauperes” di oggi, ovvero i contribuenti italiani. La ragione per cui oggi si prende ai poveri è semplice: i poveri hanno poco, ma sono moltissimi. Allora era il tempo della Cavalleria, oggi di Equitalia.

Le accuse. Infamanti furono le accuse rivolte agli adepti di quell’Ordine, poche vere, molte inventate: sodomia, eresia, bestemmia, idolatria. Tutte accuse per le quali era previsto l’arresto immediato e, cosa più importante e concreta, la confisca dei beni. L’operazione scattò fulmineamente e in gran segreto un Venerdì 13, data che ancora oggi suscita sentimenti inquietanti e induce la gente ad effettuare scaramantici gesti apotropaici. Oggi le accuse verso i semplici contribuenti e i loro capi (capi partito, di solito) cambiano: evasione fiscale, frode, peculato, malversazione, falso in bilancio, tutti reati da perseguire non solo di Venerdì 13 ma in qualsiasi data.

I processi. I Templari vennero accusati, fra l’altro, di adorare la statuetta di una strana divinità chiamata Bafometto, probabile storpiatura di Maometto, cosa che sottintendeva un’inquietante intelligenza col nemico. “Non è vero: era solo un burlesque!” dichiaravano i Templari per difendersi. Oggi le intercettazioni, le confessioni, i verbali di certe inchieste parlano di donnine in atteggiamenti equivoci mentre praticano sesso orale con una statuetta di Priapo. “Non è vero: era solo un burlesque!” esclamano, sempre per difendersi, gli accusati di oggi. Settecento anni fa gli accusati vennero torturati finché non ammisero le proprie responsabilità, oggi vengono “presi di mira” in altri modi e da altri soggetti. Anche da Equitalia, finché non sganciano l’ultimo centesimo.

La spalla. Siccome quando si ha un sostegno ci si sostiene meglio, Filippo il Bello aveva bisogno di una spalla e la trovò nel successore di Bonifacio VIII: l’accondiscendente Papa Clemente V. Costui emanò la bolla “Pastoralis praeminentiae” con cui ordinò l’arresto dei Templari in tutta la cristianità.

Oggi il presidente del consiglio Monti trova una robusta spalla nel capo dello stato, che sostiene il premier, lo nomina preventivamente senatore a vita e, dopo il primo turno delle elezioni amministrative, emana davanti alle telecamere la bolla verbale “Non audivi fragorem!” (non ho sentito nessun boom!) per minimizzare i dirompenti risultati elettorali dei movimenti di protesta nei confronti dell’insopportabile italico andazzo.

I capi. In entrambi i casi i capi dovevano essere messi fuori combattimento. Ieri Jacques De Molay, gran maestro dei Templari, venne torturato e condannato al rogo. Oggi, che la tortura e la pena di morte sono passate di moda, Berlusconi, Bossi, Formigoni, Vendola, i tesorieri Lusi e Belsito e tanti altri personaggi pittoreschi vengono indagati, avvisati, perseguiti. Il risultato è che i partiti si sfaldano, i capi vengono delegittimati e gli elettori non eleggono più: o si astengono o votano per le liste civiche e i movimenti protestatari.

La fuga. Un altro elemento in comune fra le due vicende è la fuga, attività tipica di ogni ribaltone che si rispetti. I Templari fuggirono ovunque in Europa e taluni, si dice, riuscirono addirittura a rifugiarsi oltreoceano, in America, scoprendola ben prima di Cristoforo Colombo. Oggi la Tunisia non va più di moda (i ribaltoni accadono anche là) ma l’America attrae sempre, chiedete a Lavitola. Qualche leghista riesce anche a fare ardite e imprevedibili puntate oltre Adriatico, laureandosi in Albania.

La delazione. Ecco un altro penoso dato che accomuna il Medioevo con la realtà d’oggi: la delazione. Ieri avveniva contro i Cavalieri del Tempio, oggi viene inventata la delazione a fini fiscali. Nel 1314 a Filippo il Bello andò bene, tant’è vero che riuscì a rimpinguare le casse dello stato e a raggiungere un obiettivo da tempo agognato: il mitico pareggio di bilancio.

Il perdono. Con l’andar del tempo i Templari non vennero più criminalizzati e su di loro scese una sorta di vago perdono, più di fatto che di diritto. Oggi Monti (evidentemente anche lui ha un cuore) dichiara che i terremotati emiliani del maggio 2012 che hanno avuto la casa distrutta non dovranno pagare l’IMU su quelle macerie. Bontà sua.

Ovviamente queste due storie non hanno solo analogie ma anche differenze. Ad esempio Filippo era bello, Mario no.