Monti usa le forbici (statali) ma la ‘strana’ maggioranza è tiepida
02 Luglio 2012
Dopo Bruxelles, Monti prende le forbici. Obiettivo: spending review. Il decreto sarà presentato oggi alle parti sociali ed entro la settimana dovrebbe uscire dal Consiglio dei ministri. Il premier è un treno, non vuole continuare con l’italico esercizio del ‘tirare a campare’ e soprattutto vuole capitalizzare (politicamente) il risultato del vertice europeo: al di là delle misure decise e ora da mettere in pratica, è un fatto che l’asse con Rajoy e Hollande sia riuscito a scardinare schemi iper-rigoristi cristallizzati nel ‘nein’ della Merkel.
Ma come spesso accade in politica, non è detto che le intenzioni della partenza corrispondano al risultato finale. Non solo perché i sindacati – Cisl in testa – sono già alla minaccia della mobilitazione, ma anche perché dalla strana maggioranza arrivano segnali di insofferenza. Prima vedere i numeri dei tagli, dove e come, poi discutere è la linea del Pdl, mentre quella del Pd si traduce in un altolà sul fronte del sociale. Bersani ha già bollato come ‘inaccettabili’ i tagli sulla spesa sociale, mentre sulla robusta cura dimagrante prevista per la spesa pubblica, statali compresi, Bonanni e Angeletti non escludono il ricorso allo sciopero generale.
A Palazzo Chigi, ieri il Prof. ha messo insieme dati e dettagli della bozza da limare in vista del faccia a faccia con le parti sociali. I numeri veri si conosceranno solo oggi ma si parla di tagli per circa sette miliardi che eviteranno l’aumento dell’Iva a ottobre, e consentiranno tra l’altro di reperire risorse per i terremotati dell’Emilia Romagna. Quello che è certo sono i richiami che Monti non ha fatto mancare all’indirizzo della sua ‘strana maggioranza’.
Come a dire: occorre ragionare in un’ottica di medio-lungo termine altrimenti non ne usciamo. E’ una risposta ai mercati che nonostante l’indicatore dello spread in discesa (tuttavia fermo al dato di venerdì) non mostrano per ora reazioni manifestatamente ottimiste; è una risposta alla politica che vorrebbe ‘condizionare’ la road map di Palazzo Chigi.
Per questo il messaggio del premier è chiaro: “Se per decenni si indulge ad assecondare un superficiale ‘tiriamo a campare’ e a iniettare nella mente dei cittadini la sensazione che un Paese con mille risorse, compreso l’estro, possa non affrontare i seri problemi che altre nazioni hanno preso di petto, forse deve venire il momento in cui si affrontano i problemi”. Non affrontarli sarebbe un danno l’economia e per la stessa democrazia parlamentare che darebbe l’impressione di non riuscire “a prendere decisioni di lungo periodo” finendo per “alimentare lo scetticismo dei cittadini verso quello che resta il miglior sistema politico del mondo”.
Le reazioni dei partiti sono tiepide. E il rischio vero è che si ripeta il meccanismo dei veti incrociati già visto per la riforma del lavoro. Non c’è dubbio che Pd e Pdl non siano disposti a firmare cambiali in bianco e non è un caso se da entrambi gli schieramenti arriva una disponibilità di fondo a ragionare sul da farsi, a patto però che non si debba rischiare di perdere ulteriore consenso di fronte alla mannaia di ulteriori tagli, visto che il Paese sta già facendo i conti con la recessione. Per questo se Bersani dice no alle forbici sul sociale (uno dei settori dove dovrebbe incidere la cura dimagrante è quello della sanità), Cicchitto dal Pdl ribadisce la necessità di andare a guardare bene e prima la “quantità e la qualità dell’intervento”. Diverso l’atteggiamento di Udc e Fli che, invece, chiedono al premier di non farsi condizionare da veti e controveti.
Oggi dunque il primo faccia a faccia coi sindacati, poi con gli enti locali indisponibili a subire la mannaia su sanità e trasporti. Insomma, va bene ridurre la spesa pubblica ma non con tagli lineari e indiscriminati, avverte Bonanni. Per il vicepresidente dei senatori Pdl Gaetano Quagliariello ridurre la spesa pubblica è positivo e necessario ma a fronte di ulteriori riduzioni ci deve essere un impegno preciso del governo ad abbassare la pressione fiscale.
Una mano a Monti la dà il presidente del Senato Schifani quando invita la maggioranza a far prevalere il senso della responsabilità e della concordia su misure che dovranno essere l’eccezione e non la regola e che adesso sono necessarie. Parole che sintetizzano la posizione delle ‘colombe’ pidielline convinte del sostegno a Monti fino alla scadenza naturale della legislatura e, dopo l’esito del vertice europeo intenzionate a rivendicarne la validità in contrapposizione ai ‘falchi’ pronti a staccare la spina. Ipotesi adesso molto più debole rispetto a qualche giorno fa, anche perché il capo dello Stato ha fatto intendere chiaramente che sull’idea di un voto anticipato si metterebbe di traverso esercitando le prerogative che la Costituzione gli assegna. Monti, del resto, è tornato a Roma più forte e non ha intenzione di impantanarsi nei tatticismi della politica. E’ probabile che lo faccia capire oggi quando in Parlamento relazionerà sul Consiglio europeo e alla vigilia della mozione di sfiducia al ministro Fornero. Passaggio che gli anti-montiani interpretavano come l’incidente per far saltare il banco. Ma in tre giorni lo scenario è già mutato.