Morire a vent’anni buttandosi da un balcone solo per il gusto di apparire
19 Settembre 2010
Morti acrobatiche. Si vola dai balconi per finire in una piscina o su un altro balcone. Purtroppo spesso non si approda nel modo giusto. Si muore o si rimane rovinati per sempre. Il” balconing” così viene chiamato sembra essere la nuova sfida, la nuova prova che un adolescente deve affrontare. Per fortuna una minoranza di adolescenti.
Quest’estate le morti e gli incidenti sono stati molti ed in particolare in Spagna. Pochi giorni fa purtroppo anche un ragazzo italiano è morto ad Ibiza, caduto da un terrazzo al settimo piano di un albergo, in circostanze non chiare. In totale dal 2008 ad oggi i morti sono stati undici, sei dei quali nell’estate 2010. Spesso sono ubriachi o strafatti di droghe. Lo ammettono molti di loro che si sono buttati dopo aver consumato droga o aver bevuto alcol.
Molte sono le domande che potremmo farci. Azzardare delle risposte non è facile. Gli adolescenti da sempre hanno giocato con la morte, rischiando e sentendosi invulnerabili. Hanno sfidato le circostanze per affogare spesso paure legate alla trasformazione del corpo e della mente. Però viene da pensare a qualche differenza. Intanto i numeri, la frequenza, i filmati in rete. Questo fa pensare più ad una moda, quasi ad una pratica che per alcuni vuole sembrare assurdamente sportiva. Alcuni appassionati di balconing riferiscono che ha senso solo se effettuato almeno dal quarto piano! Non sembra esserci una ricerca di senso, un nichilismo doloroso che porta ad autodistruggersi- non che sia auspicabile- ma sembra piuttosto la ricerca di stupire, di avere consenso.
Darsi fuoco, attraversare i binari, fare surf sulle auto in corsa, ubriacarsi fino ad essere in coma etilico, ed ora buttarsi dal balcone. Sempre ripresi e messi in rete. Far parlare di sé sembra l’elemento dominante. Essere sul palco. Apparire. Se non sei guardato non esisti. Lo sguardo di questi giovani è sempre rivolto ad assicurarsi che ci sia qualcuno ad applaudirli, guardarli, ammirarli. Ma questo sguardo è intrappolato tra il guardarsi e l’assicurarsi di essere guardati.
Questo gioco di sguardi rimanda all’immagine di narciso che interroga la propria immagine che guarda all’infinito. Una schiera di narcisi prigionieri della propria immagine. Prigionieri dello specchio dei filmati. Vogliono vedersi sempre belli, forti, singolari, imbattibili.
Poveri ragazzi non sanno fare i conti con emozioni e pensieri che non li riguardano. Prigionieri di un unico pensiero, se stessi. E dunque ben vengano tutte le possibili performance del corpo e della mente fino al delirio di non capire il limite, di non trovare il paletto che fermi l’autodistruzione.
Cosa può fare un genitore? Forse, poco. Ma certamente ancora molto se ci tiene davvero a ritornare sulla scena,che non si capisce perché arrivati all’adolescenza abbandona. Può certamente impedire, spiegare, ascoltare, aiutare; ma sappiamo anche che quell’età è l’età del segreto, della distanza dal genitore. L’adolescente può in mille modi sfuggire all’amore, ai discorsi, ai controlli. Forse è molto prima che bisogna rivedere il rapporto con i figli e la loro educazione.
Oggi sin da piccoli i bambini sono guardati non solo o per nulla con quel giusto innamoramento, accoglienza, ascolto, che è ovvio debba avere un bambino. No, si guarda a lui già come ad un progetto che deve essere il più possibile performante. La vita di questi bambini, poi ragazzi, e poi adolescenti diviene un circo. I genitori spronano i propri figli a “fare” e a “divertirsi” a stare nel gruppo, ad avere amici, contatti, insomma sempre connessi con qualcosa. Se c’è un vuoto, una pausa, vanno subito riempiti, con un gioco, un regalo, un amico.
Quando sono più grandi si passa agli sport e se i ragazzi hanno difficoltà vengono incitati a fare meglio e di più. Ancora meglio se si fa agonismo. Poi i vari giochi elettronici: stimolano l’intelligenza, poi c’è internet, i social network e poi ancora e ancora…
La preoccupazione maggiore di un genitore è che ci sia un vuoto, una pausa nella vita del proprio figlio/a. In quello spazio in cui si può ascoltare se stessi è meglio non addentrarsi? Meglio stonarsi? Stressarsi? Non fermarsi? E’ la stessa paura che vive il genitore?
Forse possiamo immaginare che i ragazzi continuano a fare quello che gli abbiamo insegnato. Continuano a cercare distrazione, divertimento, tensione, sguardo, attenzione, stress, sballo.
Del resto narciso ha richiesto molta attenzione è stato molto guardato, trastullato, servito, adulato, ammirato, intrattenuto, stressato, controllato, manipolato.
Ora lui è pronto. Vuole essere guardato e vuole guardarsi ed essere fiero delle sue performance che però non possono essere sempre le stesse. Ci deve stupire e sembra proprio che ci stia riuscendo.