Mosca non sarà una democrazia finché i russi avranno paura del potere

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Mosca non sarà una democrazia finché i russi avranno paura del potere

03 Gennaio 2012

Mosca – Il sistema politico russo rispecchia il monopolio della classe dirigente. La mancanza di competizione alimenta il ristagno intellettuale della societá civile. Il parlamento, per esempio, è dominato dal partito di Putin, Russia Unita, e non riveste un ruolo rilevante nelle decisioni politiche del paese, che spettano, secondo la Costituzione quasi interamente al Presidente. Spesso a nuovi partiti, come Solidarnost e Parnas, viene negata la registrazione. Secondo un sondaggio di Russia Unita tra coloro che vogliono far parte del partito, oltre il 60% dichiara di essere motivato dal desiderio di risolvere problemi personali, e quasi la metá da opportunitá di guadagno. Nell’ottobre del 2010, Medvedev ha dichiarato che un trilione di rubli (33 bilioni di dollari) scompare ogni anno dai contratti governativi. Questa somma equivale al 3% dell’ intero Prodotto Interno Lordo della Russia. Medvedev ha dichiarato guerra alla corruzione nel tentativo di attrarre nuovi investimenti stranieri. Ciononostante, il Dipartimento di Sicurezza Economica del Ministero degli Interni, ha calcolato che in media la somma di una tangente ha quadruplicata da quando Medvedev siede al Cremlino.

L’inefficienza del sistema ha ripercussioni anche nel settore economico: lo Stato spende troppo. L’ex-Ministro delle finanze, Alexei Kudrin, ha dipinto cupe prospettative. Dalla seconda metà del 2011, il GDP si aggira intorno al 4%-4.1%, secondo dati ufficiali, rispetto ai 7-8% dal 2000 al 2007. Il volume di investimenti stranieri diminuisce pericolosamente, ma il problema principale rimane la dipendenza dell’economia dagli alti prezzi del petrolio. Le riserve del paese nel 2008 ammontavano a $600 bilioni, mentre ora $513, che, possono bastare solo per un anno in caso di una nuova crisi come quella del 2008. Putin e Medvedev, sempre secondo Kudrin, stanno adottando una politica finanziaria sbagliata, dettata dal populismo. E’ stato, infatti, assegnato alla riforma dell’esercito un badget equivalente alla spesa complessiva per il 2011 dell’intera istruzione del paese, università incluse. Queste valutazioni critiche sono constate a Kudrin la poltrona di Ministro.

A livello sociale, i dati sono ugualmente allarmanti in quanto la popolazione continua a ridursi. Secondo i risultati dell’ultimo censimento condotto l’ ottobre scorso, in otto anni dal 2002 al 2010, la Russia ha perso 2.2 milioni di abitanti, scendendo sotto i 143. Questo numero sorprende soprattutto se si considera che negli anni precedenti, dal 1989 al 2002, aveva perso 1.8 milioni di abitanti nostante le precarie condizioni di vita dopo il crollo dell’USSR. Il declino demografico è accompagnato da altri gravi problemi sociali, come tensioni etniche e abuso di droghe. Ogni anno, in Russia muoiono 75.000 persone per overdose di eroina mentre tra 2 e 6 millioni di persone risultano HIV positive – pari al 5% della popolazione attiva. Una nuova droga, il “krokodil”, sta divendando una vera piaga in villaggi e cittá di provincia.

Il collasso dell’Unione Sovitica ha portato inevitabilmente alla creazione di crepe nella struttura sociale, ma soprattutto ad una crisi dell’ identità nazionale. La Russia non è una complessa federazione di stati (tra cui le Repubbliche caucasiche), regioni e province. L’homo Sovieticus che simboleggiava il trionfo di un’ideologia comune su differenze etnico-religiose è svanito con la caduta dell’USSR. Negli anni ’90, il governo ha cercato di prevenire un’ulteriore frammentazione della federazione “incerottando” le ferite del tessuto sociale. La violenza etnica a Manezhe Ploshad l’11 dicembre 2010 è solo una delle tante prove dell’esistenza di tensioni latenti irrisolte. I leader attuali hanno fallito nel tentativo di forgiare una comune identità capace di armonizzare le differenze esistenti nel paese.

Infine, la black list di esponenti della societá civile deceduti in circostanze misteriose e gli attacchi terroristici dove centinaia di Russi hanno perso la vita accompagna come una lugubre ombra il potere di Putin. L’affondamento del Kursk (2001), gli ostaggi di Dubrovka (2002) e Beslan (2004), l’arresto del magnate Khodorkhovsky (2003), l’assassinio di Anna Politkovskaya (2006), l’avvocato anti-corruzione Alexei Magnitsky morto in prigione in circostanze misteriose (2009), l’omicidio di Natalia Estimirova in Cecenia (2009), la morte del partner di Khodorkovsky, Vasily Alexanyan (2011) rappresentano solo alcuni esempi dell’ambiguo e criticabile ruolo del governo. Il 20 dicembre 2011, la Corte Europea dei Diritti Umani (ECHR) ha emesso una sentenza riguardo la morte degli ostaggi al teatro Nord-Ost (Dubrovka). Il governo é stato dichiarato colpevole e dovrá pagare un risarcimento (da 9,000 a 66,000 euro) alle famiglie delle vittime.

L’evidenza di brogli elettorali durante le ultime elezioni é stata solo l’ultima umiliazione per coloro che assistono quotidiamente al degrado dei valori morali e politici del Paese. Una rivoluzione ha cosí avuto luogo nella coscienza di migliaia di cittadini russi, tra cui esponenti dell’elite intellettuale e della classe media. Dalla sua cella di detenzione, Alexei Navalny ha inviato un appello ai manifestati del 10 dicembre presenti a Bolotnaya Ploshad: “La nostra arma vincente è  la dignitá e stima per noi stessi. (…) Vogliono farci credere che la falsificazione di voti sia una condizione necessaria per l’esistenza di acqua calda e mutui a buon mercato.”

Il futuro della Russia è incerto e secondo Lilia Shevstova, un pilastro dell’intellighentia liberale russa, due sono le possibili alternative: evoluzione o implosione. Secondo la prima teoria, Putin dovrebbe lentamente assecondare le richieste dei manifestanti per rinnovare il sistema “dall’interno”: la Russia necessita, prima di tutto, una nuova Costituzione che garantisca una netta separazione dei poteri. Il governo deve affrontare la crisi di legittimitá attraverso riforme di sostanza e non solo di facciata. La seconda consiste invece in un’ implosione del sistema sotto il peso di inefficienza e corruzione. In mancanza di valide alternative politiche quest’ultimo scenario non è oggi auspicabile in Russia. Quando, infatti, l’implosione del vecchio sistema non è sincronizzata con la nascita di uno nuovo, qualunque paese rischia di scivolare in una condizione di precarietá e instabilitá ancor piú grave.

Crisi economica, disparitá e malessere sociale nonché le anomalie di un sistema politico imperfetto alimentano da tempo un diffuso malcontento sfociato il 4 e il 10 dicembre nelle proteste popolari piú importanti dalla caduta dell’Unione Sovietica. E’ ancora presto per stabilire quando e come un cambiamento tanto atteso verrá attuato, ma la coscienza politica di migliaia di russi si è giá risvegliata da un lungo torpore. I recenti eventi costituiscono solo il primo passo di un lungo processo con il quale prima o poi Putin e il suo governo dovrá confrontarsi. A questo proposito, le parole di Vaclav Havel durante la sua ultima intervista su Novaya Gazeta tuonano come un pressante monito per il Cremlino: “Non puó esserci democrazia fino quando il potere offende la dignitá dei suoi cittadini, controlla il potere giudiziario e manipola i risultati delle elezioni.” (Seconda puntata, fine)