Mosebach torna a difendere Benedetto XVI e la storia cristiana dell’Europa

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Mosebach torna a difendere Benedetto XVI e la storia cristiana dell’Europa

02 Maggio 2010

Martin Mosebach, noto in Italia per il suo saggio sulla liturgia cattolica (L’eresia dell’informe, Cantagalli) ma non ancora per le sue qualità di grande narratore, è uno dei pochi laici cattolici tedeschi ad intervenire con coraggio e cognizione nei dibattiti pubblici sollevati ad arte per screditare l’autorità di Benedetto XVI. Lo aveva fatto in occasione della revoca della scomunica ai vescovi della Fraternità sacerdotale San Pio X e della riammissione del rito Tridentino, lo fa oggi nel momento in cui gli attacchi al pontefice prendono spunto dagli abusi su bambini compiuti da sacerdoti cattolici. In Germania si è scatenata un’orchestrata campagna di discredito contro la Chiesa di Roma.

Prima “Der Spiegel” ha provato ad invocare le dimissioni di Benedetto XVI, poi “Die Zeit”, a guida Di Lorenzo, s’inventa una nuovo inserto intitolato “Credere e dubitare”, dove, guarda caso, le pagine più importanti sono riservate ad un sacerdote cattolico che racconta la propria rinuncia al celibato, si rilancia la figura vecchia degli anni Settanta di Giuda “usato” come “utile traditore”, e infine si esalta la scelta atea compiuta da Thomas Hürlimann, recentemente premiato da Hans Küng per la sua “contesa radicale nei confronti del cattolicesimo”. Ecco allora Mosebach in una recente lunga intervista a “The European” riassumere tutta la propria stima ed il proprio apprezzamento per l’opera avviata da papa Ratzinger: “Guardando a questi suoi cinque di pontificato, noto che Benedetto XVI si è posto l’obiettivo più difficile: sanare in maniera non rivoluzionaria le cattive conseguenze della rivoluzione sessantottina avvenuta all’interno della Chiesa.”

Dal momento del suo incontro con i benedettini dell’abbazia di Fontgombault, da lui definiti l’"avanguardia della tradizione", Mosebach ha iniziato a guardare con severità all’epoca postconciliare, tanto da paragonarla alla guerra iconoclasta consumatasi a Bisanzio nei primi secoli del cristianesimo. Anche oggi, nel giudicare gli abusi su minori avvenuti in contesti educativi cattolici, lo scrittore torna su quello spartiacque che è stato il Concilio Vaticano II: “Dobbiamo chiederci come mai nei collegi cattolici siano avvenuti reati sessuali ad opera di sacerdoti proprio negli anni immediatamente successivi al Concilio Vaticano II. Non si può allora non giungere all’amara conclusione che l’esperimento di “aggiornamento”, di adeguamento della Chiesa al mondo è clamorosamente fallito.

Dopo quel Concilio la maggior parte dei preti si tolse l’abito sacerdotale, smise di celebrare quotidianamente la Messa e di leggere il breviario. La teologia post-conciliare fece di tutto per dimenticare l’immagine del sacerdote trasmessa dalla tradizione”. Ed è a quella tradizione che Mosebach suggerisce di tornare: “È cosa buona che oggi i responsabili della Chiesa chiedano perdono alle vittime per gli atti di violenza subiti, ma sarà ancor più importante tornare a serrare le redini della disciplina per i sacerdoti secondo le indicazioni del Concilio di Trento e ricondurre il sacerdozio nell’alveo della tradizione cattolica”.

Un nostalgico? Non proprio. Piuttosto lo scrittore giudica il 1968 “un fenomeno ancora non sufficientemente noto”. “In Germania”, prosegue nell’intervista, “lo si lega ancora a fenomeni come le “comuni” o alle dispute sulla corretta lettura di Marx. In realtà è stato un anno perno della storia. durante il quale si sono manifestati in tutto il mondo movimenti anti-tradizione totalmente indipendenti l’uno dall’altro”. Ma la provocazione più acuta deve ancora venire: “Sono convinto che quando ci sarà la giusta distanza si potrà cogliere la stretta relazione esistente tra la rivoluzione culturale cinese e la riforma liturgica cattolica”. Il resto dell’intervista è un crescendo contro chi ha accusato Ratzinger di antisemitismo (“dopo aver letto il suo libro su Gesù, si pensa che se Benedetto non fosse cristiano sarebbe un ebreo”), in difesa dell’Europa cristiana (“Tutte le correnti di pensiero della modernità, anche quando combattono il cristianesimo, debbono la loro origine ad esso ed anche l’arte e la filosofia antiche le abbiamo ricevute dalle mani del cristianesimo”), fino all’avversità per l’ingresso della Turchia nella Comunità Europea (“Noto che la Turchia nel XX secolo, quella anti-islamica e tesa verso la modernizzazione, ha avuto enormi difficoltà con le sue minoranze cristiane. Ora si nota un avvicinamento all’Europa mosso da motivi economici, senza però che vi sia una revisione della battaglia interna che si continua a combattere contro i cristiani”). Un Mosebach a tutto campo dunque, coraggioso paladino innamorato di Cristo, del suo Vicario, e della Chiesa petrina.