Mr. Prodi e i soldi della Goldman Sachs
04 Giugno 2007
Un articolo duro, quello di Ambros Evans-Pritchard sul quotidiano “Daily Telegraph”. Un affondo al premier Romano Prodi, balzato alle cronache britanniche in seguito alla sua “collaborazione” con una delle più importanti banche d’affari del mondo: la Goldman Sachs. Nonostante la consueta attenzione che la stampa italiana riserva alle notizie sul nostro paese provenienti dai giornali anglofoni, non ci sembra che l’articolo Ambros Evans-Prichard riguardo al modo in cui Romano prodi sarebbe legato agli ambienti della Goldman Sachs abbia avuto lo spazio che merita nei mezzi d’informazione italiani. Anzi, anche a cercare bene, non si riesce a scovare nulla che parli delle relazioni pericolose (pagamenti in nero) del nostro attuale Premier se non qualche commento da parte dei soliti attenti bloggers, basato su ciò che la stampa estera ha scritto in merito.
La Goldman Sachs, con sede nella “Downtown” di New York, è una delle più importanti banche d’investimento del mondo e possiede sedi nelle maggiori piazze d’affari, tra cui Milano. Negli uffici della città lombarda devono conoscere bene Romano Prodi che ha fornito in passato delle consulenze in materia economica proprio alla G&S. Secondo Ambrose Evans-Pritchard, autore di un articolo pubblicato sul “Daily Telegraph”, ci sarebbero degli indizi di un probabile coinvolgimento dello stesso Prodi negli utili della banca d’affari statunitense. Ma andiamo con ordine. Evans-Pritchard scrive che nel corso dell’ultimo mese, la gloriosa società d’investimento newyorkese – nata nel 1869 – “è stata risucchiata in una indagine sulla corruzione di vasta scala riguardo la fusione Siemens-Italtel”. Stiamo parlando degli anni ’90. Ma che c’entra con quella fusione Romano Prodi? C’entra perché , secondo lo stesso Evans-Pritchard, l’inchiesta (definita imbarazzante) ha riguardato da vicino proprio il signor Romano Prodi “che era sul libro paga della Goldman Sachs dal 1990 al 1993 e ancora nel 1997, dopo la sua prima volta come Presidente del Consiglio.”
Lo scandalo riguarderebbe una cifra pari a 400 milioni di euro, che sarebbe stata usata dalla Siemens per “oliare gli ingranaggi giusti”. Cifra che però comprenderebbe un giro d’affari europeo e non solo nostrano. Sul fronte italiano invece i magistrati di Bolzano hanno dichiarato di avere scoperto un pagamento di circa 3,2 miliardi di lire in un conto intestato alla Goldman Sachs a Francoforte nel Luglio del 1997. Questi soldi, come ha riportato qualche mese fa anche “Il Sole 24 Ore” avrebbero poi fatto un po’ il giro del mondo per finire di nuovo in terra tedesca sotto forma di Yen giapponesi. Prodi, quindi, nella questione c’entrerebbe eccome, con tutta la bicicletta e le piadine romagnole in tasca. Visto che un impiegato della G&S, rispondendo ai magistrati durante un interrogatorio lo scorso mese, avrebbe riferito che quei soldi erano serviti per pagare una società terza.
In relazione all’affaire-G&S, ci sono insomma dei dettagli scottanti. La Guardia di Finanza ha recentemente (febbraio scorso) condotto un blitz negli uffici milanesi della Goldman Sachs, venendo in possesso, tra le altre cose, di un file nominato “Mtononi/memo-Prodi 02.doc” (quel “MTononi” potrebbe stare per Massimo Tononi, ex-manager di G&S ed ora sottosegretario all’Economia?, si sono chiesti in molti). Ci sarebbe poi una lettera – risalente al 1993 – destinata alla Siemens e proveniente dagli uffici milanesi della G&S in cui si parla dell’affare Italtel, società che allora era in corso di privatizzazione da parte dell’IRI (di cui Prodi è stato presidente dal 1982 fino al ’89). La lettera in questione dice che la “conoscenza da parte della Goldman Sachs degli ambienti dell’IRI e del suo management avrebbe potuto essere estremamente importante in una negoziazione. Dal 1990 il nostro principale consulente in Italia è stato il Professor Romano Prodi.”
Mentre da parte sua la Goldman Sachs risponde di non aver mai agito senza rispettare le regole – “rifiutiamo ogni affermazione secondo cui le nostre azioni sarebbero illegali e stiamo pienamente cooperando con le autorità coinvolte nell’investigazione”, lo staff del Premier, come si legge in un articolo de Il Giornale avrebbe fatto sapere quanto segue: “la valutazione e la decisione in merito (alla vendita della Italtel) rientravano nella esclusiva sfera di competenza della società interessata (Italtel Spa) e della controllante (Stet Spa), in considerazione anche della struttura organizzativa e del sistema dei rapporti esistenti nell’ambito del gruppo IRI”.
In ogni caso, dalle indagini risultata che Romano Prodi avrebbe ricevuto 1,4 miliardi di lire tra il 1990 e il 1993 per mezzo di quella famigerata società terza che si è poi rivelata essere la “Analisi e Studi Economici” di proprietà del Signore e la Signora Prodi. Questi soldi, (o almeno larga parte di tale somma) secondo la segretaria della suddetta società, provenivano in effetti dalla Goldman Sachs. Sempre secondo l’inchiesta di Pritchard, lo stesso Premier sarebbe stato raggiunto da accuse secondo le quali avrebbe usufruito della sua posizione per vendere sottoprezzo proprietà dello Stato Italiano ad amici e alleati politici: il gruppo “Cirio-Bertolli-Rica”, ad esempio, venduto prima alla Fi.Svi, sarebbe stato poi ceduto alla Unilever (Prodi era stato un consulente di questa ditta fino a qualche settimana prima della vendita) per la somma di 310 miliardi di lire. Peccato che il Credito Italiano avesse valutato lo stesso pacchetto azionario dai 600 ai 900 miliardi di lire.
C’è poi la vicenda di Giuseppa Geremia, giudice romano che aveva deciso di avere prove sufficienti a condannare Prodi (all’epoca Presidente del Consiglio) per conflitto d’interessi. L’ufficio della Geremia venne messo sottosopra dai “soliti ignoti” (secondo quanto riferito dalla stessa Geremia al Daily Telegraph) e, nel giro di pochi giorni, il magistrato in questione venne “mandato in vacanza” (confinato) in Sardegna. Quando si dice “Chi ha orecchie per intendere…”
Andrea Holzer