Mubarak se ne andrà presto ma gli Usa restano a Suez

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Mubarak se ne andrà presto ma gli Usa restano a Suez

10 Febbraio 2011

Per capire che fine farà l’Egitto teniamo d’occhio il Canale di Suez, dove passano milioni di barili di petrolio al giorno. Se venisse chiuso provocherebbe il crollo della disastrata economia egiziana, l’aumento del greggio, un nuovo sgambetto alla ripresa mondiale. Le autorità egiziane affermano che la situazione è sotto controllo ma gli operai hanno incrociato le braccia chiedendo le dimissioni delle autorità portuali. La gente è allo stremo, nei giorni scorsi la repressione è stata violenta.

Ieri nel suo discorso Mubarak ha fatto sapere che resterà al potere fino alla fine del suo mandato e che l’Egitto non tollera l’ingerenza di potenze straniere. Obama saltella amleticamente fra richiami ideali e transizioni ordinate, il senatore McCain ha sentenziato che il Faraone avrebbe fatto meglio ad andarsene. Nessuna gratitudine verso chi ha sostenuto la sicurezza, l’economia, l’esercito egiziano negli ultimi trent’anni, con decine di miliardi di dollari: l’antiamericanismo è l’ultima faccia del regime. Perso l’appoggio degli Usa, restano i sauditi per continuare a sfamare i militari del Cairo e reggere il triplice urto della Fratellanza Musulmana, di Hamas ed Hezbollah (c’erano gli uomini del partito di dio fra gli evasi dalle prigioni egiziane nei giorni scorsi. Terroristi che hanno per obiettivo Israele).

Seguiamo la rotta della Uss Kearsarge e della Uss Ponce, le navi da guerra americane che sorvegliano la zona dello Stretto pronte a un’azione di salvataggio del personale diplomatico e dei civili americani. Un contingente di duemila marines aspetta il da farsi. Barack Obama vuole Suez, centro nevralgico dei traffici marittici internazionali. Non più di questo. Mentre si rivolge idealmente ai giovani egiziani, pensa prosaicamente alle "transizioni" sullo stretto.