Mugabe, il padre-padrone che terrorizza lo Zimbabwe
03 Ottobre 2007
Dalle pagine della stampa di regime il ministro dell’Informazione dello Zimbabwe accusa i media occidentali di non aver coperto con obiettività il discorso del presidente Robert Mugabe davanti all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite della scorsa settimana. Sikhanyso Ndlovu ha rimproverato aspramente CNN e BBC – “che si auto-definiscono campioni della libertà di stampa”- di aver trasmesso integralmente l’intervento di Bush e non quello di Mugabe per demonizzare il presidente dello Zimbabwe e il suo Paese, già annoverato dall’amministrazione americana tra gli «avamposti della tirannia». In realtà le due emittenti non hanno mancato di riferire pedissequamente i passaggi cruciali del discorso di Mugabe. Più che sufficienti a garantire al presidente africano il suo diritto d’espressione e a permettere all’audience televisivo europeo e americano di afferrare il concetto.
“La sue mani gocciolano del sangue innocente di molte nazionalità. Uccide in Iraq, Uccide in Afghanistan. E questo dovrebbe essere il nostro maestro di diritti umani?”. No, non è la storia di un mostruoso tiranno dei fumetti. È la definizione di George W. Bush data da Robert Mugabe, padre-padrone dello Zimbabwe da oltre 27 anni, davanti ai rappresentanti dell’ONU riuniti a New York. Non è passato solo Ahmadinejad dall’ultima assemblea, ma anche un presidente che ha rovinato economicamente la sua nazione mantenendo il potere con la forza e a suon di elezioni dallo svolgimento incerto. Mercoledì, nel suo discorso, il presidente americano aveva definito “tirannico” il governo dello Zimbabwe. “Quale ipocrisia”, gli ha risposto il giorno seguente con fierezza Mugabe dallo stesso palco, “l’onnipotente Bush ora torna alle Nazioni Unite a chiedere un rescue package perché il suo naso sanguina, e ancora si permette di darci lezioni su cosa sia la tirannia”. E se questo non bastasse ha paragonato Abu Graib e Guantanamo a campi di concentramento.
Non li ascolti, Mr. Ban Ki-moon – si era raccomandato Mugabe con il segretario dell’ONU prima del suo intervento – i Paesi occidentali vogliono farle credere che lo Zimbabwe sia nel bel mezzo di una disperata crisi umanitaria, ma non è affatto vero. Sono i media dei sistemi “capitalisti ed imperialisti” ad aver ribattezzato lo Zimbabwe «ex granaio d’Africa», in effetti. Il Paese che prima dell’avvento del suo attuale presidente, nel 1980, sfamava le nazioni limitrofe e dove ora gli abitanti assalgono le giraffe per non morire di fame. Dove l’inflazione è al 6.600 per cento, la più alta al mondo. E l’opposizione denuncia continue violenze e pressioni. Nel 2005 Mugabe rase al suolo gli slums, ovvero i sobborghi popolari urbani, lasciando senza casa oltre 700 mila persone, dichiarando che si trattava di un tentativo di ristabilire l’ordine in risposta a chi lo accusava di aver distrutto le abitazioni dei suoi oppositori. La politica che ha causato l’attuale rovina dello Zimbabwe è quella che il governo definisce di “indigenizzazione e rafforzamento”. Misure governative obbligarono i fattori bianchi a cedere le loro proprietà a contadini neri, spesso inesperti. E sulla stessa linea si pone una legge, appena presentata al Parlamento, che obbligherà le aziende straniere operanti nel Paese ad assegnare il 51 per cento del capitale azionario a soci locali. Le società, oltre 300, stanno valutando gli effetti della normativa sul loro giro d’affari. Il provvedimento, secondo gli esperti, peggiorerà ulteriormente gli investimenti. Il Movement for Democratic Change (MDC) all’opposizione denuncia che la legge è stata creata ad hoc per arricchire i sostenitori di Robert Mugabe in vista delle elezioni del prossimo anno. Ma il presidente ha messo in chiaro che nessun dissenso sarà tollerato.
Dopo la confisca delle fattorie e la discussa rielezione di Mugabe nel 2002, l’Ue applicò delle sanzioni allo Zimbabwe, tra cui il divieto di volo e il congelamento delle risorse per il presidente e altri 100 alti ufficiali. Eppure dopo anni una di queste sanzioni potrebbe essere sospesa per volere della maggior parte degli Stati membri, per permettere lo svolgimento, così a lungo rimandato, del summit Europa-Africa. La possibile estensione dell’invito a Mugabe aveva intralciato i piani di organizzazione dell’evento: la Gran Bretagna per prima si era opposta ed i leader africani, al contrario, che considerano Mugabe un eroe della liberazione dal colonialismo inglese, avevano rifiutato di partecipare se non fosse stato invitato. Nessun cambio di giudizio, assicura l’Ue, ma per dicembre Mugabe potrà volare in Europa. Il Portogallo ha infatti assicurato che procederà con la pianificazione dell’assemblea. L’ammorbidimento delle vedute di molti Stati europei arriva proprio dopo l’annuncio della Cina di aver ulteriormente accresciuto i suoi investimenti in Africa. Con i suoi 27 Stati membri, l’Europa è il maggior partner commerciale del continente africano, con oltre 43 miliardi di investimenti nello scorso anno. Ma la Cina, con i suoi 28 miliardi, si avvicina pericolosamente. Dove non arriva la difesa dei diritti umani arriva l’economia. E probabilmente Mugabe, tra l’8 e il 9 dicembre prossimi, lascerà il suo Paese allo stremo per recarsi, dietro ufficiale invito, a discutere con le nazioni occidentali “capitaliste e neo-colonialiste” che hanno “destabilizzato lo Zimbabwe”.