Mumbai onora i suoi morti e l’India prepara la resa dei conti col Pakistan
01 Dicembre 2008
Domenica è stato il giorno del dolore e del ricordo. Centinaia di candele si sono accese in una sorta di protesta silenziosa contro gli attacchi che nei giorni scorsi hanno ucciso oltre 180 persone, tra indiani e occidentali. Il cimitero musulmano di Badakabrastan ha rifiutato di seppellire le spoglie dei terroristi uccisi perché “gente che ha commesso degli atti tanto abominevoli non può essere definita musulmana, l’Islam non deve permettere questo genere di atti barbarici e criminali”.
L’India, che è una grande e giovane democrazia, nonostante gli errori e il rimpianto di non aver saputo prevedere gli attacchi, si sta mostrando capace di riprendersi dal trauma: le scuole e gli uffici hanno riaperto, i treni carichi di pendolari sono tornati a viaggiare, la Borsa ha salutato con un’impennata del 2 per cento la fine degli scontri e il ritorno alla normalità.
Nel frattempo cadono le prime teste, quella del ministro dell’interno Patil e quella del capo del governo del Maharastra, la regione in cui si trova Mumbai. Negli ultimi anni l’India si era abituata agli attacchi terroristi un po’ come ha fatto con i monsoni, con la differenza che i primi sono imprevedibili, gli altri arrivano a scadenza regolare. Ma il blitz del 26 novembre, con i giovani terroristi in maglietta di Versace, è stato un messaggio ben preciso rivolto agli stranieri: state lontani dall’India. E agli ebrei: non siete al sicuro da nessuna parte al mondo.
Il primo ministro indiano Singh ha promesso di rinforzare la sicurezza aerea e marittima nel Paese, creando una nuova agenzia investigativa per la sicurezza, ma resta aperta la discussione sulle responsabilità del governo indiano. Sebastian D’Souza, uno dei reporter che passeranno alla storia per aver immortalato i terroristi che facevano strage alla stazione, ha raccontato al Belfast Telegraph: “la massa di poliziotti che si nascondeva nell’area si è semplicemente rifiutata di sparare. C’erano decine di poliziotti armati attorno alla stazione ma nessuno ha mosso un dito. A un certo punto mi sono messo a correre verso di loro gridando di usare le armi, ‘Sparategli’ gli ho detto ‘potete colpirli facilmente’ ma loro non hanno risposto al fuoco”.
L’interrogatorio di Azam Amir Kasav, l’unico sopravvissuto del commando terrorista, sta dando i suoi frutti. Il 21enne Kasav ha confessato di essersi “formato” in Pakistan e di aver raggiunto Mumbai a bordo di una nave pachistana. Ormai è certo che dietro gli attacchi c’è il gruppo Lashkar-e-Taiba, accusato di aver preso d’assalto il parlamento indiano nel 2001 e che avrebbe inquietanti legami con lo spionaggio pakistano. Ufficiali dell’intelligence Usa parlano anche di un altro gruppo che opera in Kashmir, Jaish-e-Mohammed. Entrambi sarebbero legati ad Al Qaeda.
Intanto il governo indiano si prepara alla resa dei conti col Pakistan. L’ambasciatore di Islamabad a Delhi è stato richiamato dal ministero degli esteri indiano, mentre il presidente pakistano Zardari – evidentemente preoccupato – ha chiesto al suo omologo indiano di “non far precipitare la regione in una guerra”. L’Europa e la Turchia sembrano muoversi nella stessa direzione, auspicando che i rapporti tra le due potenze nucleari non peggiorino più di quanto non lo siano attualmente.
Ma tutto questo non soddisfa gli Usa. George W. Bush ha telefonato a Singh spiegando che “da questa tragedia può venire un’opportunità per unire il mondo contro il terrorismo”. Il segretario di stato Rice, che sarà a Delhi la prossima settimana, è stata ancora più chiara: “Penso che sia giunto il momento di una trasparenza e di una cooperazione totale, assoluta e completa ed è quello che ci aspettiamo dal Pakistan”. Come a dire che se il problema dell’India è il Pakistan, anche il problema di Obama si chiama Islamabad. Secondo lo scrittore Ahmed Rashid: “L’attacco di Mumbai è destinato a creare un altissimo livello di tensione tra India e Pakistan, per favorire gli interessi di Al Qaeda e dei Talebani”. Funzionari pakistani hanno già minacciato di sottrarre parte delle truppe che combattono i Taliban al confine con l’Afghanistan per spostarle verso l’India in previsione di una escalation militare.
Gli attentati di Mumbai potrebbero far aprire gli occhi a quei relativisti sempre pronti a equiparare moralmente l’11/9 e il terrorismo islamista alle malefatte dell’Occidente capitalista, all’imperialismo americano e al ‘sionismo’. Stavolta ad essere colpita è stata una potenza emergente, uno di quei Paesi a lungo vagheggiati come un’alternativa terzomondista al Primo Mondo. Mumbai, la metropoli dell’integrazione e la capitale del cinema. Espressione di quel miracolo economico indiano che fa paura ai fondamentalisti di mezzo mondo. Non sarà più possibile esercitarsi in facili e annichilenti equivalenze morali. E chi era scettico sulla guerra scatenata da Bush contro il Terrore ora dovrà ricredersi. A meno che non consideri anche l’India una potenza imperiale.