
Myanmar, contro il regime militare il mondo si veste di rosso

29 Settembre 2007
Il mondo si veste di rosso, un segno di solidarietà nei
confronti dei monaci del Myanmar in piazza contro il regime. Tutto è nato da un sms: “In support of our
incredibly brave friends in Burma: may all people around the world wear red
shirt on friday 28. Please forward!”. Dai cellulari il messaggio è
passato alla grande rete: blog, email e siti di social network, come “Facebook”
e “Myspace”, invitano a vestirsi di rosso per supportare la protesta dei
religiosi nell’ex- Birmania. Obiettivo raggiunto: molti siti internet, tra cui
“Corriere.it”, raccolgono le fotografie di cittadini comuni che hanno risposto
all’appello. Chi non può permettersi di indossare una maglietta rossa, punta
sulla cravatta o un semplice nastrino. Sono giovani e anziani, nessuna
distinzione di sesso o colore politico:
tutti insieme, per un semplice gesto a favore della libertà.
L’indignazione mondiale, intanto, ha invaso le strade delle
grandi città. In Giappone molti hanno protestato davanti all’ambasciata del
Myanmar, mentre il governo chiede conto del fotografo nipponico ucciso ieri nel
mezzo degli scontri. Accese proteste anche in Australia: a Camberra si sono
registrati scontri con le forze dell’ordine, in seguito al tentativo da parte
di alcuni manifestanti di assaltare l’ambasciata dell’ex-Birmania. Grandi
manifestazioni hanno colorato poi le principali capitali asiatiche: Seul,
Bangkok, Giacarta, Manila. E l’Europa non è da meno: ai cortei parigini e
londinesi, si sono aggiunte le iniziative italiane. Roma, nella cornice del
Campidoglio e alla presenza del sindaco Walter Veroni, ha organizzato un
incontro bipartisan per esprimere sostegno ai manifestanti birmani: fuori,
intanto, campeggiava una gigantografia del premio Nobel per la Pace Aung San
Suu Kyi, leader dell’opposizione non violenta al regime. Altri appuntamenti,
organizzati da Amnesty International, sono previsti per oggi e domani. Questo
pomeriggio l’appuntamento è a Roma, di fronte all’ambasciata del Myanmar in via
Camilluccia 551. Domani sarà invece la volta di Milano, con un assembramento in
piazza della Scala alle 16.30.
Qualche passo avanti anche sul fronte della diplomazia mondiale.
Molto apprezzata da Condoleeza Rice è stata la condanna al regime birmano da
parte dell’Asean (Associazione delle Nazioni dell’Asia Sud-Orientale). La
stessa Rice, dopo un colloquio con il ministro degli esteri italiano Massimo
D’Alema, ha poi espresso “forte preoccupazione” per la situazione birmana.
L’Australia, inoltre, ha deciso di seguire gli Stati Uniti sulla via
dell’inasprimento delle sanzioni. Ma il maggior ostacolo diplomatico, come era
lecito aspettarsi, è venuto dalla Cina, che ha forti interessi commerciali
nell’ex-Birmania: la condanna del gigante asiatico non è andata oltre un
“appello alla moderazione”, mentre l’inviato cinese all’Onu Wang Guangya ha
definito “inutili” le sanzioni contro la giunta birmana. Il Consiglio di
Sicurezza dell’Onu ha comunque deliberato l’invio di un osservatore
internazionale: il visto è giunto questa mattina.
Sul fronte della società civile, continuano a crescere le
adesioni agli appelli lanciati contro il regime militare e a supporto dei
monaci. Avaaz ha già superato le 180.000 firme: è possibile aderire alla
petizione, indirizzata al presidente cinese Hu Jintao e al Consiglio di
Sicurezza dell’Onu, collegandosi al sito internet
http://www.avaaz.org/en/stand_with_burma/. Amnesty International, con una raccolta
di firme on-line da ieri, punta invece l’attenzione sull’arresto indiscriminato
di trecento manifestanti: l’appello è leggibile e firmabile all’indirizzo
http://www.amnesty.it/appelli/azioni_urgenti/Myanmar?page=azioni_urgenti.
Internet, centro nevralgico della protesta mondiale, è
intanto il nuovo obiettivo dei militari del Myanmar. La dittatura ha da poco
bloccato gli accessi alla rete da tutta l’ex-Birmania: chiusi gli internet
cafè, impossibile collegarsi da casa. La giustificazione ha dell’incredibile:
un portavoce dell’impresa di telecomunicazioni di Stato, la Myanmar Post and
Telecoms, ha affermato che “internet non funziona a causa di un cavo
sottomarino danneggiato”. L’obiettivo del governo è chiaro: bloccare
l’indiscriminata fuoriuscita d’informazioni dale città birmane, che nei giorni
passati hanno invaso il web di video, fotografie e testimonianze della
repressione in corso. Ma nel resto del mondo, il popolo di internet cresce e
cammina di fianco ai monaci: molti blog, tra cui l’italiano “Blogosfere”, si
sono vestiti di arancione. Su “Youtube”, l’orrore del regime militare viene
proiettato senza sosta, “on demand”.
I monaci, insieme a migliaia di concittadini laici,
continuano intanto a sfilare per le strade, incuranti della repressione
violenta. Dalle agenzie, un filo di speranza: si parla di divisioni all’interno
della giunta governativa. Secondo “Mizzima News”, sito di esuli birmani, vi
sarebbero poi alcune agitazioni all’interno dell’esercito. Le prime crepe in un
castello che tutti vogliono veder crollare. E i monaci, intanto, continuano il
loro cammino.