Myanmar, sciopero generale contro il regime

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Myanmar, sciopero generale contro il regime

01 Ottobre 2007

Alla fine Gambari ce l’ha fatta. Il regime del Myanmar ha
permesso all’inviato delle Nazioni Unite di incontrare Aung San Suu Kyi, premio
Nobel per la pace e leader della dissidenza birmana. Ieri la donna ha potuto
lasciare la propria casa, dove si trova rinchiusa agli arresti domiciliari, per
un breve incontro con l’uomo che rappresenta il mondo nelle trattative con la
dittatura militare. I due si sono incontrati vicino alla casa del premio Nobel,
nella residenza statale per stranieri in University Avenue. L’Onu non ha reso
noto il contenuto dell’incontro, durato circa un’ora e mezza: facile immaginare
che Gambari abbia cercato di confortare la donna, simbolo della protesta tanto
quanto il rosso dei monaci. Secondo alcuni, Aung San Suu Kyi potrebbe aver scritto
un messaggio destinato alla giunta militare: l’inviato dell’Onu ricoprirebbe in
questo caso un ruolo da mediatore.

Non è facile la missione di Gambari. L’ex ministro degli Esteri
nigeriano non è ancora riuscito ad incontrare tutti i militari al potere, un
obiettivo fondamentale per venire a conoscenza delle diverse posizioni.
Fondamentale, poi, sarà un incontro diretto con il leader della giunta al
potere: le stesse Nazioni Unite hanno apertamente dichiarato che il proprio
inviato “aspetta di incontrare l’alto generale Than Shwe, presidente del
Consiglio della pace e dello sviluppo dello Stato, prima della conclusione
della missione”. L’incontro, stando alle ultime notizie provenienti dalla
giunta militare, dovrebbe avere luogo domani mattina a Naypydaw, la nuova
capitale dell’ex-Birmania situata nel mezzo della giungla.

A supportare Gambari, una forte carica diplomatica che vede
in prima linea tanto i paesi occidentali quanto la Santa Sede. L’ambasciatore
britannico Mark Canning ha espresso tutto il suo appoggio alla missione
dell’inviato dell’Onu, auspicando che “resti il tempo sufficiente per dare il
via ad un processo di riconciliazione nazionale. Dovrebbe essergli garantito
tutto il tempo di cui ci sarà bisogno”. Ma perché la missione sia un successo,
ha continuato l’ambasciatore, “sarà necessario incontrare i più alti livelli
governativi”. Esplicito anche il sostegno di Papa Benedetto XVI, che nel corso
dell’Angelus ha espresso seria preoccupazione per la situazione
nell’ex-Birmania e vicinanza spirituale alla “cara popolazione”.

La repressione, intanto, non accenna a diminuire. Mentre
appelli, petizioni ed iniziative a sostegno della protesta dei monaci
continuano a moltiplicarsi in tutto il mondo, la giunta prosegue imperterrita
sulla sua strada. Dopo l’oscuramento di internet e la caccia ai giornalisti
stranieri, è diventato più complicato ottenere notizie e testimonianze fresche
e veritiere.  L’“Associated Press” parla
di 20.000 truppe governative schierate a Yangoon nella giornata di ieri:
notevoli rinforzi, in quella che è la maggior città del Myanmar, sarebbero
giunti nel corso della notte di sabato. La stessa agenzia di stampa ha poi
citato un diplomatico asiatico, che ha chiesto di restare anonimo, secondo il
quale le possibilità che i protestanti invadano le strade e mobilitino un
numero di persone sufficiente a scalzare la giunta sia “pari a zero”. Un monaco
avrebbe invece affermato che le proteste pacifiche non smetteranno: “Noi
Buddisti crediamo che il Dhamma (gli insegnamenti di Buddha, ndr) alla fine
vincerà contro il male”.

Le manifestazioni di dissenso potrebbero presto trovare un
nuovo sbocco nella forma della sciopero generale. Cecilia Brighi, responsabile
della Cisl per le relazioni internazionali, ha riferito infatti che “il
sindacato birmano ha lanciato una mobilitazione generale per paralizzare
formalmente il paese”. I primi frutti si sono già potuti osservare a Yangoon,
dove “2000 persone stanno già manifestando e 1500 si sono radunate nell’area
dei centri commerciali”. Nuovi fronti di rivolta si stanno aprendo intanto nel
mondo delle etnie minoritarie, emarginate per decenni dalla giunta militare:
gli eserciti shan, karen, mon e karenny sarebbero sul punto di “scendere in
campo contro la giunta militare”, sempre secondo quanto riporta la Brighi.

La sensazione, sempre più diffusa, è che la giunta stia
cercando in ogni modo di nascondere le prove della repressione attuata nei
giorni scorsi. “Democratic Voice of Burma” ha riferito infatti che il monastero
di Ngway Kyar Yan, rastrellato dalle truppe governative a metà della scorsa
settimana, è stato velocemente ripulito e restaurato dal Ministero degli Affari
Religiosi, giusto in tempo per l’arrivo dell’inviato Gambari. Un residente
della zona ha testimoniato che “tutto il disordine lasciato durante il
rastrellamento militare è stato ripulito da ufficiali del Ministero degli
Affari Religiosi. Il monastero è stato poi sistemato, ed ora sembra nuovo”.
Dopo il restauro, portato a termine in poche ore, il monastero è stato riempito
con nuovi monaci – in seguito all’arresto di tutti i precedenti abitanti –. Una
maschera di trucco di fronte alle Nazioni Unite: il residente interpellato da
“Democratic Voice of Burma” ha denunciato chiaramente come i militari al potere
“stiano semplicemente cerando di nascondere la verità. Hanno mentito in questo
modo molte altre volte in passato. Stanno mentendo anche ora. E continueranno a
mentire anche in futuro”.
La partita resta aperta. Mentre cresce l’apprensione per il
trattamento al quale saranno sottoposti gli arrestati delle scorse settimane –
organizzazioni per la difesa dei diritti umani parlano di oltre mille
“scomparsi” –, notizie apparentemente confortanti giungono da Russia e Cina. I
due paesi, che nei giorni scorsi si erano limitati ad un appello alla
“moderazione”, mostrano ora maggiore apertura all’ipotesi di un inasprimento
delle sanzioni contro il regime birmano. E Han Thu, rappresentante degli affari
birmani alle Nazioni Unite, è stato convocato da Helga Schmidt, vice di Javier
Solana: il diplomatico birmano è stato ufficialmente avvertito della
possibilità di nuove sanzioni contro il governo che rappresenta.