Napolitano affida un pre-incarico a orologeria

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Napolitano affida un pre-incarico a orologeria

Napolitano affida un pre-incarico a orologeria

30 Gennaio 2008

“Si può formare un governo elettorale? No, non si può
formarlo. Un leader politico che vuol formare un governo non per governare ma
per fare le elezioni, sciogliendo il Parlamento, è un piccolo Mussolini
istituzionalizzato…”.

A parlare non è un dirigente del centrodestra dei nostri
giorni alle prese con la crisi di governo e con le consultazioni di rito al
Quirinale, preoccupato che il Presidente Napolitano potesse compiere uno
strappo e conferire ad una personalità istituzionale, seppur autorevole come
Franco Marini, un mandato pieno per la formazione di un nuovo esecutivo “a
termine” in vista dell’ineludibile consultazione elettorale. La citazione è
tratta da un editoriale comparso sul Manifesto oltre trent’anni fa. Un testo
che Franco Bassanini, all’epoca giovane ma già affermato giurista, deve aver
preso davvero sul serio, al punto da citarlo in calce ad un illuminante scritto
comparso nel 1972 sulla “Rivista trimestrale di diritto pubblico”.

Ed è proprio al saggio di Bassanini che Silvio Berlusconi e
Renato Schifani hanno inteso riferirsi rammentando al Capo dello Stato che nel
nostro ordinamento non è prevista la costituzione di un esecutivo formato
esclusivamente per condurre il Paese alle elezioni (per questo, basta e avanza
il relitto del governo Prodi) e che tale indicazione è ampiamente supportata da
giuristi del calibro di Onida, Cheli e Bassanini, non certo sospettabili di tramare
per il ritorno della Cdl alla guida del Paese.

La situazione contingente dalla quale l’ex ministro Ds
prendeva le mosse trentasei anni orsono nel suo illuminante scritto è la crisi
di governo del gennaio – febbario ’72. A tal proposito, Bassanini si
interrogava sull’ampiezza e sulla natura dei poteri conferiti dalla
Costituzione al presidente della Repubblica, sulla disciplina dello
scioglimento delle Camere e, giù per li rami, sulla legittimità di un “governo
elettorale”.

“Il nostro ordinamento costituzionale – scriveva allora
Bassanini – se prevede l’ipotesi di un governo fatto per governare, non prevede
invece quella di un governo esclusivamente elettorale: accertata
l’inevitabilità dello scioglimento e la necessità del ricorso a nuove
elezioni”, per il Capo dello Stato – e qui Bassanini cita Enzo Cheli e Valerio
Onida – subentra il dovere di “preservare fino alla data delle elezioni le
condizioni politiche esistenti al momento in cui la decisione dello
scioglimento matura”, procedendo allo scioglimento con “quel governo che
occasionalmente risulti in carica al momento in cui le condizioni obiettive
dello scioglimento si vengono a delineare”.

Una soluzione diversa, osserva ancora l’ex ministro della
Quercia, “oltre che incompatibile con il principio costituzionale per cui il
governo deve essere formato per ottenere la fiducia delle Camera, costituisce
anche (…) un precedente assai pericoloso, nella misura in cui tende a
legittimare interventi del Capo dello Stato nella formazione dell’indirizzo
politico sui quali non appare possibile o comunque agevole l’esercizio in forma
tempestiva dei normali strumenti di controllo democratico (…). La possibilità
di un abuso, o comunque di un ‘uso non imparziale dei poteri presidenziali’, si
estende notevolmente se si ammette la possibilità di formare (e quindi di
affidare l’incarico per formare) un governo intenzionalmente minoritario, ma
cionondimeno destinato a governare il Paese per diversi mesi”.

La “dottrina Bassanini” è dunque chiarissima. Netta,
inequivocabile, al di là di ogni interpretazione. Lo era in un contesto
istituzionale nel quale era il Parlamento, proporzionalmente eletto, a
determinare le maggioranze che sostenevano i governi. Lo è ancor di più nel
momento in cui l’introduzione del premio di maggioranza nella legge elettorale
ha modificato la Costituzione di fatto attribuendo al popolo sovrano la scelta
della coalizione e del premier.

A Napolitano difficilmente questo poteva sfuggire, tanto è
vero che dall’impasse istituzionale è uscito cavandosela con un “fallo
laterale”: attribuendo a Marini qualcosa in più di un incarico esplorativo, e
meno di un mandato pieno. Vale a dire quello che con linguaggio bizantino
d’altri tempi sarebbe stato definito un “pre-incarico”.

Il nesso pare invece essere sfuggito all’autore –
Bassanini, per l’appunto – che, messo di fronte all’evidente significato del
suo scritto, e alle possibili ripercussioni sull’evoluzione della crisi che ha
investito la sua parte politica, ha accusato Schifani d’aver tratto dalla
monografia del ’72 “conclusioni arbitrarie”. Obietta, l’ex ministro, che “quella opinione dottrinale non fu seguita
dalla prassi”, e che “riguardava una fattispecie del tutto diversa da quella
attuale. Tutte le forze politiche, di maggioranza e di opposizione (con la sola
eccezione della pattuglia radicale) – spiega -, concordavano allora sulla
opportunità di sciogliere le Camere. Questa convergenza oggi non c’è. Numerosi
partiti ritengono che prima di sciogliere le Camere si debba tentare di
approvare una buona legge elettorale, sostituendo il famigerato porcellum”. E
conclude sostenendo che le sue tesi del ’72 non hanno attinenza con il tentativo
di varare un governo “di scopo” o “a termine” per fare la riforma elettorale “ed
eventualmente per portare a termine la riforma costituzionale o per gestire le
crisi in atto”.

A Bassanini replica il senatore di
Forza Italia Gaetano Quagliariello: “Nella polemica sulla
legittimità del governo elettorale che oppone il senatore Schifani al professor
Franco Bassanini – afferma – è vero, come sostiene quest’ultimo, che rispetto
al 1972 il contesto istituzionale è cambiato. In particolare, oggi esiste una
dinamica bipolare rafforzata da un sistema elettorale con premio di maggioranza
che vincola con più forza di allora l’esecutivo all’espressione della sovranità
popolare. Per questa ragione alcune delle argomentazioni avanzate nel 1972 sono
più pregnanti oggi di allora. Ma Bassanini, evidentemente, più che al contesto
istituzionale dà peso alle contingenze politiche e, tra queste, alla
convenienza della sua parte che oggi, invece, sono di segno inverso rispetto ad
allora”.