Napolitano detta la “road map”, commosso ma senza indulgenza
22 Aprile 2013
Il Cav. è il primo ad avvicinarsi al presidente repubblicano dopo la fine del commovente discorso di Napolitano, con una rabbia trattenuta in certi passaggi a stento. Inflessibile, il viso tirato della signora Clio osserva e ascolta senza un’incrinatura. In più di un passaggio invece la voce di Napolitano si rompe, quando dice di "identificarsi con le sorti del Paese" o ricorda i suoi 28 anni e la prima volta in parlamento. I grillini si alzano per educazione ma non applaudono, il resto del parlamento scroscia proprio nei momenti in cui il presidente bastona di più la cattiva politica e invoca un accordo.
"No all’autoindulgenza", scandisce bene il Presidente. Sui temi delle riforme "ho speso tanta forza" durante il primo settennato, "nonostante la sordità di quelle forze politiche che ora mi hanno richiamato", ma se stavolta le riforme non si faranno Napolitano promette di arrivare alle "estreme conseguenze" davanti al Paese. "Non c’è coalizione che può governare da sola", qualsiasi patto stretto con gli elettori è saltato dopo le elezioni, serve una intesa subito per governare e una più larga e ampia per le riforme sistemiche. Il presidente rimarrà nei limiti dei suoi poteri ma si offre ai partiti come "fattore di coagulazione" per trovare delle risposte.
In "tempi eccezionali", di crisi politica ed economica, Napolitano sferza sia la classe dirigente che tra "omissioni e guasti", succube delle partigianerie, è stata incapace di riformare il Paese (il nulla di fatto della legge elettorale è ancora più grave degli episodi di corruzione politica), sia la "leggerezza" di chi demolendo la politica ha dato una "rappresentazione distruttiva delle istituzioni". I 5 Stelle, dice Napolitano, sono apprezzabili quando usano tutto il loro peso e la loro influenza per impegnarsi nella vita e nel funzionamento delle istituzioni, meno quando cedono alla contrapposizione. La rete è fantastica, il web permette "accessi preziosi alla politica", ma "non c’è partecipazione democratica alla formazione delle decisioni politiche senza partiti capaci di rinnovarsi o movimenti politici che non siano vincolati all’imperativo costituzionale del metodo democratico".
Da qui lo sprone a mettersi al lavoro ("dovere della proposta", "linguaggio della verità", "soluzioni praticabili"), partendo da quella norma della legge elettorale sul premio di maggioranza che il Presidente definisce "abnorme", la causa di una "sovrarappresentaza politica" che poi coincide con la ingovernabilità. Il risultato delle elezioni, in questo senso, "non era imprevedibile". Così come va riformata la seconda parte della Costituzione, un processo affossato negli anni scorsi, rompendo "il tabù del bicameralismo perfetto". Il fulcro sono le due relazioni consegnate dai gruppi di lavoro nell’ultima settimana del primo mandato. Proposte "serie e concrete" che hanno alle spalle l’esperieza di chi lavora nelle istituzioni ma anche di chi non fa direttamente politica muovendosi nella società.
Bisogna "passare ai fatti", trovare "scelte conclusive", ridare forza ai poteri dello Stato, non cedere alla disinformazione sullo "strumento militare" e la nostra partecipazione alle missioni internazionali, sfruttare le occasioni della programmazione di Europa 2020. La roadmap di Napolitano resta quella anticipata e Re Giorgio pensava di lasciare in eredità al suo successore: usare le relazioni dei "saggi" come schema generale del programma di governo, sottoporlo al Parlamento, trasformarlo in comportamenti delle persone e dei cittadini, far uscire gli italiani da quella sorta di disagio che provano di fronte alla modernità.