Napolitano, diciotto mesi bastano per le Riforme. Tra speranza e realismo
03 Giugno 2013
di redazione
Diciotto mesi sono il tempo appropriato per le riforme, ma questo è un governo a termine. Napolitano oscilla tra speranza e realismo, crede al processo riformatore innescato dalle forze politiche, dallo loro "laboriosità", dalla capacità di aver trovato un compromesso, ma al tempo stesso sa quell’accordo è qualcosa di temporaneo, che le larghe intese si reggono comunque su un terreno debole determinato dalle differenze identitarie dei partiti che formano la strana maggioranza. "Il processo è complesso, si tratta di tenere il ritmo", spiega nel giorno della festa della Repubblica. Lo schema è quello che conosciamo: la Commissione dei 40 che propone le leggi di riforma al Parlamento, sulla base del lavoro svolto dai "saggi" nell’ultima settimana del primo settennato. Napolitano parla mente a Bologna la sinistra "critica", conservatrice, annuncia che farà opposizione dura contro qualsiasi tentativo di cambiare la Costituzione, una idea che per Vendola è espressione di uno "sbandamento culturale". Mentre invece è Alfano a rilanciare sul presidenzialismo e la elezione diretta del Capo dello Stato, proprio durante la parata del 2 giugno. Il Pdl è compatto, vede spiragli aprirsi nel Pd, pensa alle dichiarazioni di Renzi sul "Sindaco d’Italia". "Non ne parlo", preferisce dire Napolitano a proposito del presidenzialismo, "né ora, né mai". E sulla legge elettorale Napolitano sembra preoccupato: "Temo si possa arrivare alla inconcludenza se ciascuno sventola la sua bandiera". Napolitano ha voluto celebrazioni soft, una parata cheap, perché il Paese soffre la crisi anche se è "determinato" a superarla. Sa che le riforme non sono una passeggiata. Sono decenni che non si riesce a farle, "andatevi a vedere le cose drastiche che chiese Scalfaro", suggerisce il Presidente, nel 1992, che "una revisione della costituzione nell’articolazione dei poteri era indispensabile". Adesso c’è un mandato preciso per il Governo, ma la decisione finale spetta al Parlamento.