Napolitano non tradisce la Costituzione ma forse è la Carta a tradire lo spirito dei tempi

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Napolitano non tradisce la Costituzione ma forse è la Carta a tradire lo spirito dei tempi

17 Agosto 2010

Il 15 scorso Eugenio Scalfari ha indicato il riferimento normativo del ribaltone: l’assenza di vincolo di mandato a carico dei parlamentari. Come a dire che la delega politica affidata dagli elettori agli eletti è tutt’ora “in bianco” come ai tempi della DC del Pentapartito e del Compromesso storico. E dunque che il Governo “tecnico” trae legittimità dall’articolo 67 della Costituzione. Il quale guarda caso è lo stesso che nella Prima Repubblica consentiva alle oligarchie dei partiti di decidere, dopo le elezioni, in successione: quale governo fare, con chi farlo, a chi affidarlo e con quali obbiettivi.

Il Capo dello Stato nega però la possibilità di governi “tecnici” in quanto -spiega- ogni Governo è sostenuto da una maggioranza politica presente in Parlamento. Con questa precisazione il Capo dello Stato espelle “ribaltone” e “governo tecnico” dal dibattito politico e rivendica la prerogativa di affidare l’incarico di formare il Governo a chi ritenga in grado di raccogliere “in Parlamento” la maggioranza necessaria.

Se non chè negli ultimi dieci anni un referendum e due riforme elettorali hanno compresso questa prerogativa presidenziale sino a far dubitare che gli competa ancora. Come un’altra: la nomina dei Ministri, sua prerogativa formale non più politica. Se non nell’ambito del giudizio di valore od opportunità sulla persona.

Sia chiaro, la Costituzione in vigore attribuisce al Capo dello Stato ambedue queste facoltà ma nuove prassi elettorali, figlie di una ispirazione riformista di rango costituzionale che i partiti hanno voluto ed un referendum validato, le hanno condizionate.

Pongo così una domanda semplice: c’è veramente ancora qualcuno che, in assoluta buona fede, può sostenere l’insindacabile diritto del Capo dello Stato di incaricare qualcuno che non sia Silvio Berlusconi di mettere insieme una maggioranza diversa da quella uscita della elezioni del 2008 per governare ?

Secondo me no, nonostante i proclami e le invocazioni della Carta Costituzionale.

Azzardo che neppure Silvio Berlusconi potrebbe cercare in Parlamento una  maggioranza diversa da quella che lo ha sostenuto ! Perché i Padroni della Bottega lo hanno scelto sulla base di un programma politico che si è impegnato a realizzare con il sostegno di alleati dichiarati. E gli hanno rilasciato la loro delega attraverso il voto espresso su un simbolo che reca il suo nome come candidato premier. In altre parole i vincoli che impedirono al Capo dello Stato di incaricare qualcuno diverso da Silvio Berlusconi di formare il Governo ora ne limitano il margine di manovra politica. Perchè il giudizio del Corpo Elettorale politico dovrà poter essere espresso sul rispetto del programma presentato e delle alleanze dichiarate.

Infine ammettiamolo: quella italiana è una Costituzione figlia di innumerevoli compromessi. E nel 1946 era impossibile fare diversamente. Ma ora ha molti di quei compromessi offendono la crescita culturale e stridono con la pretesa emancipativa del Popolo. Inoltre mortificano le potenzialità che il nostro sistema politico manifesta. La perdita di appeal dei partiti a base ideologica dovrebbe far rilfettere.

Ultimamente il Capo dello Stato ha tentato di energizzare l’affetto per la Costituzione Repubblicana evocando il patriottismo costituzionale come riferimento istituzional-emotivo. Ma l’invenzione di Habermass non ci veste. Siamo privi di una Storia comune condivisa anzi siamo divisi da essa. E non avendo potuto sviluppare una “nostra” Comunità politica, siamo stati costretti ad ancorarci al rispetto ieratico dell’intera lettera costituzionale, anche di quella che esprime principi che pure sappiamo superati.

Ecco così che ritenere “tradimento” la rivendicazione delle proprie prerogative da parte del Capo dello Stato è errato: la lettera della Carta è dalla Sua parte. E’ però lecito interrogarsi sull’attuale “pienezza” di quelle prerogative e sulla perdurante giustificazione di un loro libero esercizio alla luce delle mutazioni di costituzione materiale da cui promanano.