Napul’è mare, pizza, rifiuti e soprattutto libri

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Napul’è mare, pizza, rifiuti e soprattutto libri

28 Febbraio 2009

Nel 1849 quattro fratelli emigrati, originari della Calabria, aprirono una libreria nel centro di Napoli. Stravagante iniziativa, si potrebbe supporre, in un’epoca in cui nel Meridione il livello di analfabetismo sfiorava l’80 per cento della popolazione. Era un periodo in cui non esisteva nemmeno l’obbligo dell’istruzione elementare, che invece comincerà nel 1877. Eppure Vincenzo (l’intellettuale del gruppo, visto che era professore di liceo), Antonio, Francesco e Domenico Morano non risalirono la Penisola fermandosi all’ombra del Vesuvio  per fare i muratori, i calzolai o i braccianti.  La loro vita nuova  cominciò maneggiando carta. E parole.

Da lì a diventare editori, il passo fu breve. Del resto, la distinzione fra tipografo, libraio ed editore allora non era ben definita. In un vocabolario della lingua italiana del 1861, infatti, alla voce editore spiegava: “Quel tipografo o libraio che stampa o fa stampare le opere altrui”. Morano non faceva eccezione. Ma i fratelli dovevano avere il gusto dell’eresia, dell’eccentricità, dell’andare controcorrente, se all’inizio della loro avventura diffusero sempre libri che davano fastidio al potere, e ai Borboni in particolare. Legato allo spirito risorgimentale, il marchio Morano dopo l’Unità d’Italia si impegnò molto nella pubblicazioni di sillabari e libri per la scuola. Ma si cimentò anche con testi più impegnativi: dalla Crestomazia italiana di Leopardi alle edizioni complete di Gioberti, dalle Ricordanze della mia vita di Settembrini alla Storia civile del regno di Napoli di Giannone. Resta un fatto storico, “un blasone di nobiltà editoriale”, la pubblicazione della Storia della letteratura italiana (1870-71) di De Sanctis. Con la casa editrice collaborarono poi anche Croce e Gentile. Ancora in attività, Morano è oggi uno dei più longevi marchi editoriali italiani. Ha mantenuto la sua fisionomia di editore rivolto soprattutto ai testi scolastici e universitari: dalla grammatica latina alla psicologia forense, dai trattati di balistica ai manuali di scienze delle comunicazioni. Analoga parabola quella di Eugenio Jovene, che fondò la casa editrice a Napoli l’anno prima dell’Unità d’Italia. Inizialmente si occupò di scolastica, medicina, diritto. Oggi si occupa esclusivamente di economia e diritto.

Dagli editori le cui radici affondano nell’epoca risorgimentale, a quelli nati da poco ma che in qualche modo danno segni di estrema vitalità. Da Napoli a Cava de’ Tirreni, provincia di Salerno, il viaggio non è lungo. Qui comincia la seconda vita di Tommaso e Sante Avagliano. I quali, congedatisi dalla casa editrice che porta il loro nome, hanno fondato neanche quattro anni fa Marlin, dal sapore esplicitamente hemingwayano perché preso di peso dal nome del pescespada ne “Il vecchio e il mare”. Narrativa italiana e straniera, saggistica, storia, arte. Del resto gli Avagliano sono esperti nella difficile e tormentosa navigazione nelle acque editoriali italiane. Scorrendo il catalogo si capisce che danno molto credito alle nuove leve di scrittori non sempre con esiti indiscutibili, ma nel loro catalogo c’è anche Piero Chiara.

Da un tipo strano a un altro. Ma questo personaggio meriterebbe una puntata a parte. Si chiama Tullio Pironti. Prima di diventare editore è stato scugnizzo, pugile (50 incontri da peso welter) e libraio, e la sua vita è ora narrata nell’autobiografia dal titolo eloquente Libri e cazzotti. La sua attività editoriale risale al 1972, il primo libro che pubblica è un reportage del giornalista Domenico Carratelli, La lunga notte dei sulla strage di atleti israeliani e sequestratori palestinesi durante le Olimpiadi a Monaco di Baviera. Di fatto Pironti riprende però una tradizione di famiglia. Con una predilezione per la letteratura americana (recente è il libro di Fernanda Pivano, Dopo Hemingway, una serie di saggi sulla letteratura nordamericana) ha fatto conoscere in Italia scrittori divenuti di culto da Don DeLillo a Bret Easton Ellis, da Raymond Carver all’ egiziano Naghib Mahfuz.