NATO: l’Occidentale lo diceva due anni fa

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NATO: l’Occidentale lo diceva due anni fa

NATO: l’Occidentale lo diceva due anni fa

20 Novembre 2010

Rileggete l’articolo pubblicato su queste pagine il 30 novembre 2008 e ci troverete tutti i contenuti del nuovo Concetto Strategico che l’Alleanza Atlantica ha appena approvato, oggi 20 novembre 2010, nello storico Summit di Lisbona: pirateria e cyberattacks, difesa missilistica ed energy security, relazioni con la Russia, allargamento della NATO, capacità nucleari. In un solo motto: nuove minacce, nuove capacità e nuove partnership.

Fin dalla prefazione del documento si riafferma l’imperativo di “difendersi l’un l’altro contro qualsiasi attacco, incluse le nuove minacce” che il moderno scenario internazionale riserva alla NATO. Queste sono prevalentemente non convenzionali: terrorismo, stati canaglia dotati di armi di distruzione di massa, pirateria e attacchi alle linee di rifornimento energetico, attacchi informatici da parte di hacker ispirati da stati nazionali. A Washington nel 1949 si diceva (e lo si scriveva nell’articolo 5 del Patto Atlantico) che un attacco contro un paese membro sarebbe stato considerato come un attacco contro l’Alleanza nel suo complesso. Allora si pensava ad attacchi militari convenzionali. D’ora in poi anche gli attacchi cibernetici contro un paese della NATO potranno essere considerati come offese a tutta l’Alleanza: gli ispiratori degli hacker che hanno violato i sistemi informatici del Pentagono e dell’Estonia sono avvisati.

La NATO si impegna altresì in un processo di continuo rinnovamento per essere un’Alleanza moderna, sempre più efficace, efficiente e flessibile, in modo tale che “i nostri contribuenti possano ricavare la massima sicurezza possibile dal denaro che essi investono nella difesa”. Questa attenzione verso i taxpayers non va sottovalutata: è l’unico esempio del genere fra tutti i concetti strategici delle varie organizzazioni internazionali (e anche quelli degli stati nazionali).

In quanto alla difesa missilistica, è normale se non obbligatorio che un’Alleanza difensiva come la NATO possa disporre di uno scudo territoriale contro l’offesa missilistica. Ora che la Russia non è più un nemico, la provenienza della minaccia è prevalentemente iraniana. Tutti lo sanno ma nessuno lo dice, per non irritare né Mosca che ha fornito know how (e non solo) a Teheran né Ankara, membro della NATO che intende mantenere buoni rapporti con tutti i suoi vicini, Iran compreso. La soluzione consiste nel dichiarare (para. 16) che “la NATO non considera alcun paese in particolare come un proprio avversario” e nel permettere a Mosca di collaborare alla nuova difesa missilistica (para. 19).

Le relazioni con la Russia (menzionata ben 12 volte nel nuovo concetto a fronte delle 8 citazioni del precedente) saranno di fondamentale importanza, cosa sottolineata dal fatto che il presidente Medvedev ha accettato l’invito a partecipare al summit di Lisbona e anche dal fatto che l’opinione pubblica russa vede con crescente favore l’Alleanza Atlantica: dal misero 24% di favorevoli durante il 2009 siamo passati al 40% nel 2010. Significativo anche il fatto che Mosca potrà rendersi utile in Afghanistan, non solo mettendo a disposizione della NATO le linee di comunicazione terrestri che si sviluppano sul proprio territorio ma anche fornendo elicotteri e istruttori per le forze di sicurezza afgane. La portata storica dell’evento non sfugge, se si pensa che è come se gli USA addestrassero l’esercito vietnamita.

In quanto alla gestione delle crisi, l’Alleanza continuerà a sviluppare le proprie capacità basandosi sugli ammaestramenti ricavati dagli interventi nei Balcani e in Afghanistan (citato en passant una volta sola, forse per non enfatizzare troppo quel delicato impegno in cui quest’anno la NATO ha lamentato 600 perdite e da cui si avverte la necessità di sganciarsi quanto prima). A tale scopo -e questa è una novità- la NATO si doterà (para. 25) di una “adeguata ma modesta capacità civile di gestione delle crisi”. Evidentemente è stato superato il parere finora contrario della Francia, che aveva sempre ritenuto che una simile capacità dovesse essere prerogativa della sola Unione Europea.
Quest’ultima viene citata otto volte nel nuovo concetto, contro le tre volte del precedente. Per la cronaca, l’ONU viene menzionata 4 volte (il vecchio concetto la considerava 7 volte) e l’OSCE mai, contro le cinque citazioni del precedente documento. Anche questi dettagli sono significativi perché rendono l’idea di chi “sale” e di chi “scende”.

Circa l’allargamento a nuovi paesi membri, il nuovo Concetto Strategico ribadisce la politica dell’open door, anche se -per non far dispiacere a Mosca- non si fanno nomi e si ammette sottobanco che molto tempo dovrà passare prima che Ucraina e Georgia possano entrare nel club. In altre parole: la porta è aperta, ma guai a chi entra!

Il discorso sulle capacità nucleari è complesso e delicato, vista la diffidenza che l’argomento scatena. Obama a Praga nell’aprile 2009 auspicò un mondo libero dagli ordigni nucleari, ammettendo che ciò non accadrà durante la sua vita e che nel frattempo gli USA dovranno mantenere un credibile armamento atomico. Il ministro tedesco Guido Westerwelle sposò immediatamente la prima parte (ma solo quella) della dichiarazione obamiana e ottenne dal suo governo la decisione di disfarsi quanto prima delle armi nucleari situate in territorio tedesco. La NATO, che dalla caduta del Muro a oggi ha eliminato l’85% degli ordigni nucleari schierati in Europa, ne ha ancora 200, sparsi fra Germania, Italia, Turchia, Belgio e Olanda. Troppi? Forse, ma la Russia ne ha ancora 5.400, di cui 2.000 pronti all’uso, ed ha recentemente ribadito, nella sua dottrina, l’importanza dell’armamento nucleare.
L’Alleanza sembra riprendere le parole di Obama di un anno e mezzo fa e si impegna nel suo nuovo concetto strategico a “creare le condizioni per un mondo privo di armi nucleari” pur senza dimenticare che (para. 17) “fintantoché le armi nucleari esisteranno, la NATO resterà un’Alleanza nucleare”.

Interessante è poi l’impegno dell’Alleanza sui vari fronti di partnership locali e globali. Fra le iniziative regionali, si auspica (para. 35) che il Dialogo Mediterraneo, che raggruppa i paesi della sponda nordafricana e del vicino Oriente dalla Mauritania a Israele, possa ampliarsi ai paesi tuttora esclusi. Costoro non vengono nominati, ma si sa benissimo che si tratta di Libia, Siria e Libano. Anche per l’Iniziativa di cooperazione di Istanbul che raggruppa i paesi del Golfo si auspica un allargamento, ed escludendo l’unico paese impossibile (l’Iran) non si può fare a meno di pensare all’unico candidato possibile: l’Iraq.

Esiste anche una partnership globale con paesi non alleati ma che condividono gli stessi valori atlantici. Nemmeno questi vengono esplicitamente citati, ma basta pensare a coloro che già stanno contribuendo con proprie truppe alle operazioni dell’Alleanza per individuare Australia, Nuova Zelanda, Giappone, Corea del Sud e in prospettiva anche India, Argentina, Brasile. Un’iniziativa che fa della NATO un’organizzazione sempre meno regionale e sempre più globale.
Ora il vecchio concetto strategico approvato a Washington nel 1999 è definitivamente superato e la NATO resta al passo coi tempi, alla faccia di tutti coloro che, sbagliando, negli ultimi vent’anni ne scrissero patetici e prematuri necrologi.

Infine, il nuovo concetto strategico della “alleanza militare di maggior successo al mondo”, come la NATO stessa si definisce con un pizzico di autocompiacimento, auspica (al para. 37, il penultimo) l’ottimizzazione delle proprie capacità “riducendo le duplicazioni non necessarie, sviluppando capacità comuni per ragioni di costo/efficacia e ottimizzando le modalità di pagamento delle operazioni”. Tutte novità, ma anche queste erano state auspicate da “L’Occidentale” due anni fa.