NATO-Russia, lo spirito di Pratica di Mare è solo un ricordo
09 Maggio 2009
I recenti scontri diplomatici tra la Russia e la NATO, con la tensione generata dalle esercitazioni militari alleate in Georgia, sono solo l’ultimo episodio di un rapporto giocoforza difficile tra due campi che percepiscono i propri interessi strategico in modo molto diverso.
Le prospettive di fondo della complessa relazione NATO-Russia possono essere colte, dal punto di vista occidentale, analizzando i documenti finali del vertice dell’Alleanza Atlantica svoltosi lo scorso aprile a Strasburgo-Kehl, in occasione delle celebrazioni per i sessant’anni della NATO. In particolare, i 28 paesi membri hanno approvato una “Dichiarazione sulla Sicurezza Alleata” che avvia la fase di realizzazione del nuovo Concetto Strategico volto a definire ragion d’essere, obiettivi, priorità e grand strategy della NATO nei prossimi anni.
Dopo aver riaffermato l’adesione ai valori espressi dal Trattato fondativo dell’Alleanza, e dalla Carta delle Nazioni Unite, gli stati membri ribadiscono che il principio di difesa collettiva espresso nell’Articolo 5 rimane la pietra miliare su cui poggia l’Alleanza. Un messaggio in continuità con la funzione di protezione esercitata dalla NATO nei decenni scorsi, e decisamente rassicurante verso i paesi dell’Europa orientale che si sentono vulnerabili rispetto al vicino russo. Coerentemente con questi capisaldi, la Dichiarazione coniuga l’impegno per la non proliferazione e il disarmo nucleare con la deterrenza, nucleare e convenzionale, considerata un “core element” della strategia complessiva alleata. Sebbene bilanciato dall’apertura verso la riduzione degli arsenali atomici, viene quindi mantenuto uno dei pilastri della sicurezza atlantica eretti durante la Guerra Fredda.
Inoltre, l’inclusione nella NATO dei paesi dell’Europa orientale viene considerato un “successo storico”, e viene chiaramente ribadito che “le porte della NATO rimarranno aperte verso tutte le democrazie europee che condividono i valori dell’Alleanza, e sono desiderose e capaci di farsi carico delle responsabilità e degli oneri che spettano ai membri”. La politica dell’ “open door” dunque continua, e sebbene le prospettive di adesione di Georgia e Ucraina siano di fatto congelate sine die non si rinuncia all’obiettivo di un’Europa completamente “libera e unita”.
Dopo aver dedicato importanti parole alla minaccia del terrorismo, alla sicurezza energetica, alla trasformazione delle forze militari alleate, alla cooperazione strategica con l’Unione Europea, al rapporto con le Nazioni Unite e le altre organizzazioni internazioni, alle missioni in Afghanistan e nei Balcani, e ai partner non europei, alla fine della Dichiarazione si trova il paragrafo dedicato alla Russia. Vi si afferma che “una forte e cooperativa partnership tra NATO e Russia”, basata sul rispetto dei principi dell’accordo del 1997 e della Dichiarazione di Roma del 2002, “serve al meglio la sicurezza dell’area Euro-Atlantica. Noi siamo pronti a lavorare con la Russia per rispondere alle sfide comuni che dobbiamo fronteggiare”. Si ribadisce dunque, ma senza troppa enfasi, la volontà di cooperazione e si indica implicitamente nel Consiglio NATO-Russia, istituito nel 2002 con il vertice di Pratica di Mare, il principale canale di dialogo.
Le direttrici strategiche della NATO, però, sono in larga parte divergenti rispetto a quelle russe. Infatti, l’attuale leadership di Mosca, con il sostegno di larga parte della popolazione, coltiva una visione del recente passato e della situazione attuale che pone inevitabilmente in contrapposizione la Russia con la NATO. Gli ultimi allargamenti della NATO sono visti come la pura e semplice sottrazione di stati satellite – o nel caso dei paesi Baltici di ex Repubbliche dell’URSS – ingiustamente annessi alla sfera di influenza occidentale, che per di più oggi si fanno forti delle garanzie di difesa collettiva assicurate dall’Art. 5. Di conseguenza, il mantenimento della “open door policy” viene percepito a Mosca come un’ulteriore minaccia all’influenza e agli interessi russi in Ucraina e in Georgia, già compromessi dalle “rivoluzioni colorate” sostenute dall’Occidente negli anni scorsi. La guerra contro la Georgia nell’agosto 2008 era chiaramente volta, tra le altre cose, a dimostrare alla NATO che il Cremlino è disposto a ricorrere alle maniere forti per impedire l’ingresso delle due ex repubbliche sovietiche nell’Alleanza Atlantica. Anche la riaffermazione della deterrenza nucleare contenuta nella Dichiarazione di Strasburgo-Kehl, nonché l’accenno sulla sicurezza energetica, toccano i nervi scoperti dell’auto-percezione strategica russa.
Come nota un recente studio dell’International Institute of Strategic Studies di Londra, la cultura strategica dominante a Mosca è profondamente caratterizzata da tre principi divergenti da quelli alleati. In primo luogo, la sicurezza nell’area Euro-Asiatica è considerata come un classico gioco a somma zero: ogni guadagno di sicurezza per il campo occidentale costituisce una perdita per il campo russo, e una cooperazione “win-win” in cui entrambi i partner guadagnano in sicurezza è giudicata irrealistica. Sono perciò guardate con un misto di scetticismo e diffidenza le proposte della NATO quanto a “approccio multilaterale” e “sicurezza regionale”. In secondo luogo, Mosca attribuisce grande importanza alla geopolitica classica: mentre i membri della NATO sono più preoccupati di minacce de-territorializzate come il terrorismo, la Russia sente i propri confine militarmente vulnerabili, vuoi dalle istallazioni missilistiche in Polonia, dalla flotta alleata nel Mar Nero, dal secessionismo ceceno o dall’instabilità in Asia centrale. In questa ottica, il “vicino estero” è considerato una necessaria zona cuscinetto in cui l’unica influenza militare che conta deve essere quella di Mosca. In tal senso va intesa la recente pressione esercitata sugli stati dell’Asia Centrale per far chiudere le basi militari americane nella regione.
In un quadro simile, è difficile trovare del terreno comune per migliorare i rapporti tra NATO e Russia, e ancora più difficile diventa bilanciare interessi contrastanti in una vera partnership. Il dialogo avviato dall’amministrazione Obama sulla non proliferazione e il disarmo nucleare può rappresentare un buon punto di partenza, un campo dove è possibile ottenere benefici reciproci. Sempre che le tensioni di questi giorni in Georgia non inneschino una spirale destabilizzante per Tbilisi, per il Caucaso, e per i già travagliati rapporti tra NATO e Russia.