Ncd non balla più
07 Giugno 2016
Dunque il “partito della nazione” di Renzi alle elezioni comunali di domenica scorsa ha fatto un bel flop. Fallisce l’obiettivo di un Pd che si allarga al centro e verso un elettorato tradizionalmente più incline a votare a destra. L’obiettivo fallisce sia nelle urne che in parlamento. Nelle urne perché l’alleanza con i centristi di vario genere, verdiniani inclusi, non porta voti nel sacco di Renzi, mostrando tutto il suo volto strumentale; fallisce nel “Palazzo” dove l’operazione di rafforzare la maggioranza con l’appoggio di Ala è tattica senza una vera strategia di lungo respiro. Tanto più che verdiniani in Toscana ed ex cosentiniani in Campania, nelle urne non funzionano come portatori d’acqua al progetto renziano.
Dall’altra parte degli schieramenti, fallisce anche la scalata al cielo della destra radicale e populista. La performance romana di Giorgia Meloni – che non arriva al ballottaggio – e quella di Salvini – che a sua volta nella capitale si ferma al 3 per cento e non scende al Sud – dimostrano che quella destra, che pure voleva mettere un’ipoteca sulla leadership, non è in grado di sfondare. I risultati della Meloni non sono paragonabili a quelli raggiunti a suo tempo da Alleanza Nazionale, così come il risultato di Salvini non è paragonabile a quello di Bossi all’epoca del suo fulgore.
Tutto ciò accade proprio in un momento che paradossalmente avrebbe dovuto essere propizio alla coppia Meloni-Salvini, con Forza Italia indebolita, frammentata, disorientata. Ma attenzione a dire che Forza Italia è sparita. Proprio i risultati di Milano e Napoli, con Parisi e Lettieri, stanno lì a dimostrare che – per usare una frase fatta, ma vera – quando il centrodestra è unito con un candidato spendibile, è anche competitivo. Berlusconi ha perso smalto, non è più l’unico punto di riferimento del centrodestra, ma questo non significa che Fi sia morta. Il sorpasso sperato e annunciato da Salvini, insomma, non avviene, anzi, la mezza affermazione di Meloni a Roma rischia di essere un boomerang per la Lega: più che smobilitare Berlusconi può insidiare lo stesso Salvini, come leader dell’area radical-populista del centrodestra.
C’è poi il movimento 5 Stelle. Tutti dicono che siamo entrati stabilmente nell’era del tripolarismo, ma, complice forse il caos e i grandi cambiamenti che stanno avvenendo a livello globale, è un tripolarismo strano, che guardando ai 5 Stelle appare come sfilacciato. I grillini sembrano sul punto di prendersi Roma dopo l’inenarrabile esperienza Marino, e vanno al ballottaggio a Torino dove evidentemente ormai c’è un blocco di potere politico-economico cristallizzato da troppo tempo, dalla quale la città sembra essersi distaccata. M5S sfonda, soprattutto tra chi non ha o non sente di avere rappresentanza politica, ma all’azione di sfondamento a Roma e Torino non corrisponde un radicamento diffuso, e a livello nazionale non rappresenta ancora una alternativa davvero strutturata.
Se questo è il quadro d’insieme, il governo Renzi continua a reggere solo perché manca ancora una alternativa. Da qui l’invito rivolto al Centrodestra, ieri, sulle pagine dell’Occidentale, da Quagliariello, che sottolineando il successo del nuovo civismo (quando autentico), sprona lo schieramento moderato a organizzarsi rapidamente, cercando l’unità. Ma Renzi, e veniamo al dunque, regge per un altro motivo, che non dovrebbe essere dato per scontato: l’appoggio al governo del Nuovo Centrodestra di Alfano.
L’Ncd esce logorato dal voto delle comunali, dopo aver trascorso più di un anno accanto a un premier che si è intestato qualsiasi battaglia e non ha lasciato agli alleati nemmeno gli spiccioli, preferendo liquidarli (e silenziarli) con poltrone di governo. Il voto in questo senso è stato impietoso per Ncd. Un partito che esprime un numero abnorme di ministri, viceministri e sottosegretari, che ha quasi più incarichi che parlamentari, non riesce a capitalizzare tutto questo nelle urne. Basterebbe ricordare come Mariastella Gelmini, che ormai da quasi 5 anni non è più ministro, ha fatto il pieno di preferenze, battendo Salvini e polverizzando Maurizio Lupi, che fino a tempi recenti è stato autorevole ministro di un decisivo dicastero come quello delle infrastrutture. 11mila preferenze la Gelmini a Milano, solo millecinquecento per Lupi. E potremmo fare altri esempi.
Non si tratta di infierire, ma di capire che questi risultati sono estremamente significativi nella loro negatività, e producono una domanda: cosa vuole fare da grande il Nuovo Centrodestra? Vuole prendere atto del fallimento dell’alleanza con Renzi, vuole rendersi conto che le poltrone e l’azione di governo non hanno prodotto consenso, oppure si preferisce continuare così, squagliarsi lentamente, fino a quando poi, con il liberi tutti delle prossime elezioni nazionali, ognuno degli alfaniani prenderà la sua strada? Non è il caso di interrogarsi sul proprio nome e sul progetto politico? Sono domande che sarà necessario porsi, soprattutto se l’esperienza di Parisi avrà un seguito.