Né laicisti né tradizionalisti, la terza via dei liberali sui temi etici

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Né laicisti né tradizionalisti, la terza via dei liberali sui temi etici

28 Settembre 2007

Le recenti
posizioni della Chiesa cattolica in campo bioetico e le reazioni che hanno
suscitato costituiscono l’ennesima riprova delle profonde divisioni ideologiche
in atto nel nostro paese non tra cultura cattolica e cultura laica ma tra
cultura liberale (laica e cattolica), cultura laicista (radicale) e cultura
tradizionalista (cattolica e agnostica). Come hanno riportato i giornali, una
recente sentenza del Tribunale di Cagliari ‘ha riconosciuto a una coppia sarda
che ha fatto ricorso alla fecondazione assistita il diritto di fare esaminare
il loro embrione congelato’. I genitori, portatori sani di talassemia, hanno il
50% di probabilità di mettere al mondo un bambino affetto da tale malattia e,
pertanto, al fine di evitare un possibile aborto (consentito dalla legge 194) hanno
preteso una diagnosi pre–impianto atta a “scoprire la presenza della malattia
nell’embrione prima del trasferimento nel grembo materno” (non consentita dalla
legge 40).

Le gerarchie
cattoliche – v. Mons. Giuseppe Betori – e i vari movimenti per la vita si sono
mobilitati contro la sentenza. Eugenia Roccella, portavoce del Family Day, ha dichiarato al Corriere della Sera: “E’ un atto
eugenetico. La diagnosi sull’embrione significa fare una scelta. Tu sei buono,
tu sei cattivo. Tu sei abile, tu sei disabile”. Ed ha aggiunto: “Un conto è
abortire per scelte legate alla salute personale, un altro è decidere per un
bambino non nato”. Par di capire che, per la cattolica tradizionalista, handicap e disabilità non hanno nulla di “oggettivo”, non sono “giudizi di fatto” ma “giudizi di valore”. E’ la logica
buonista, diffusa tra i pronipoti di De Maistre e i discendenti – per la verità
un po’ degeneri, considerata l’ispirazione illuministica del fondatore del
‘socialismo scientifico – di Karl Marx : quella che chiama i ciechi ‘non
vedenti’ e i prigionieri della carrozzella e del polmone artificiale
‘diversamente abili’. Dietro questa filosofia c’è l’attacco concentrico – le
convergenze parallele, si sarebbe tentati di dire nel fumoso linguaggio moroteo
– della destra e della sinistra contro il concetto di ‘normalità’ messo in
conto al vecchio positivismo ottocentesco e considerato, sulla scia della
Scuola di Francoforte e di Michel Foucault, alle origini di tutti i genocidi
novecenteschi. Per queste correnti di pensiero è la provetta dello scienziato,
non gli atavismi tribali, la causa di tutte le violenze del secolo breve.

Sull’altro
versante, la sentenza di Cagliari, invece, ha suscitato il plauso
incondizionato dei laicisti anche se, oggettivamente, contravviene a una legge
dello Stato – la 40, appunto, che a scanso di equivoci reputo una legge pessima
e liberticida. Evidentemente i dialoghi socratici dell’allievo infedele del
figlio della levatrice ateniese non hanno insegnato nulla. Il dovere del
cittadino democratico – si insegna nel ‘Fedone’ – è quello di battersi per
cambiare le leggi ma, insieme, di obbedire ad esse finché restano in vigore. Ma
si tratta di una filosofa ‘astratta’ e ‘formale’ sempre più lontana dal nostro
sano senso della giustizia ‘sostanziale’, ‘mediterraneo– meridionale’, che il
grande Max Weber chiamava ‘giustizia del cadì’. Non è su questo, però, che
intendo richiamare l’attenzione del lettore bensì su un atteggiamento sempre
più diffuso in una parte consistente dell’intellighenzia italiana – Piergiorgio
Odifreddi, Marco Cappato, Luciano Pellicani e simil genia di atei razionalisti,
di neopagani, di anticristiani – per la quale il principio della ‘sacralità
della vita sempre e comunque’, non dovrebbe trovare posto in una società civile
e responsabile. I critici della Chiesa, talora, per sostenere tale tesi, non
esitano a rifarsi ai testi sacri e ai grandi dottori medievali – Umberto
Veronesi, ad esempio, cita Tommaso d’Aquino “che fissa al terzo mese di vita la
comparsa dell’anima”, a differenza dell’ebraismo per il quale “il momento
chiave è il quarto mese” – come se un pontefice che parla ex cathedra fosse vincolato da una sorta di common law !

In realtà
che la vita, qualsiasi vita, anche quella dell’ovulo fecondato, abbia un valore,
per così dire, ‘metafisico’, è un assioma che non può essere sottoposto ai
parametri della scienza. Ritenere che il miracolo del venire alla luce sia tale
da compensare tutte le sofferenze possibili e immaginabili riservate al nuovo
nato e alla sua famiglia e che, comunque, in
hac lacrimarum valle
, non ci troviamo solo per godere delle bellezze del
creato ma, altresì, per sperimentare il dolore e l’angoscia conseguenti al
peccato originale, rinvia a una visione del mondo che, in ogni caso, è degna di
rispetto.

Ma lo è
altrettanto la filosofia di quanti subordinano alla “sacralità della vita” la “dignità
della vita”. Per essi, su questa terra, di sofferenze ce ne sono già così tante
che diventa un dovere civico evitare quelle inutili e assai probabili. I costi
umani e sociali di un portatore di handicap, affetto da gravissime
malformazioni, sono tali da porre il problema se sia lecito e giusto ridurre le
già limitate risorse sociali destinate alla cura di individui vivi e vegeti per
sovvenire ai bisogni di chi avrebbe potuto benissimo non nascere.

I
fondamentalisti laicisti e cattolico– tradizionalisti hanno un elemento in
comune: non sono disposti a riconoscere il senso etico delle scelte degli
avversari per sopravvenuta insensibilità a quello che costituiva il senso più
profondo della tragedia sofoclea: il fatto che nel mondo ci siano valori
incompatibili e tutti armati di ‘buone ragioni’. Nel lungo evo
ideologico, in cui siamo sprofondati da secoli, se due avversari scendono in
campo, il ‘buon diritto’ o sta da una parte o dall’altra. In tal modo i
paladini della sacralità della vita, per i laicisti, diventano neo– oscurantisti;
i difensori del principio –opposto – della dignità della vita, per i cattolici
tradizionalisti (neo– con o teo– dem che siano) vanno riguardati
come impenitenti edonisti che nell’allegro e perenne festino della vita non
tollerano di essere disturbati dal dolore altrui.

E i liberali, laici e cattolici? Per loro, come per ‘il vecchio Mill’, il mondo continua ad
essere ‘pieno di dei’. In genere, militano, con moderazione di toni ovvero
senza alcun disprezzo per gli avversari, nel campo della ‘dignità della vita’,
convinti come sono, che l’esistenza di un aldilà ‘compensatorio’ è quanto mai
problematica e che la partita dell’esistenza si giochi tutta nel piccolo
frammento di esistenza tra due nulla che ci è stato concesso con la nascita. Ma
non mancano, tra loro, anche quanti aderiscono, credenti o non credenti, alla
bioetica cattolica (anche se più alla bioetica di Papa Pacelli che non a quella
di Papa Ratzinger).

Sennonché,
ed è il punto decisivo, a distinguere gli uni e gli altri dai tradizionalisti e
dagli scientismi è che i primi non intendono imporre all’intera collettività la
visione del mondo di una sua parte per quanto rispettabile. Nascano pure i
bimbi talassemici, se questa è la volontà dei genitori – nessuna legge vieta di
costituire associazioni solidali e volontarie, nuovi grandi e piccoli
cottolenghi incaricati di occuparsi di tutti quegli infelici ai quali si è
deciso di concedere il ‘beneficio della vita’ – ma non si pretenda, col ricatto
del ‘pietà l’è morta’, che se ne assumano la cura, indirettamente coll’esazione
fiscale, anche quanti non li avrebbero messi al mondo, dopo il responso della
diagnosi prenatale.

In fondo, è lo stesso problema che si è posto,
che si pone, per altre questioni di etica sociale, come il divorzio, l’aborto
etc. Un cattolico non divorzia ma se è liberale, come la vecchia guardia
democristiana d’antan, non obbliga i
suoi concittadini a unioni coatte.

Meraviglia
non poco, pertanto, vedere sedicenti liberali che trovano il pelo nell’uovo nel
liberalismo di Benedetto Croce, accusato di insensibilità nei confronti degli
istituti concreti di una società libera (com’è noto, don Benedetto pensava che
le istituzioni stessero alla Libertà, come la grammatica stava al linguaggio:
un puro fatto tecnico che lo spirito liberale avrebbe, di volta in volta,
conservato o mutato a seconda dei tempi e delle convenienze) e che poi, in
fatto di bioetica, sposano in toto le
posizioni delle gerarchie vaticane e non esiterebbero a tradurre in leggi dello
Stato italiano i loro insegnamenti morali e teologici, impedendo a tutti di
divorziare, di abortire, di ricorrere alla diagnostica prenatale.

Essere
liberali non è obbligatorio e la teoria liberale è solo una delle tante che
descrivono il sistema politico e propongono qualche ricetta per renderlo il
meno peggio possibile. Mi si consenta, però, di ritenere non liberali quanti,
indipendentemente dalla loro filosofia, cattolica o laica, intendono farla
valere urbi et orbi col ricorso – sempre
più frequente – all’argomento della “china pericolosa”. Quell’argomento – lo
ricorda Luisella Battaglia in Etica e
diritti degli animali
, ed. Laterza 1997 – servì al neoplatonico Thomas Taylor
per sostenere che la concessione della parità di diritti alle donne avrebbe
comportato anche quella dell’eguaglianza tra uomini e animali!