Negli scontri di Genova con i serbi c’è l’agonia di un sistema da rifondare
13 Ottobre 2010
Il leit motiv delle ultime ore è tutt’altro che rassicurante: è stata evitata un’altra Heysel perchè gli ultras che hanno messo a ferro e fuoco la zona di Marassi fino alle due di notte erano dei veri e propri criminali.
Questo il mantra dei responsabili dell’ordine pubblico genovese che ieri hanno assistito ad alcune ore di lucida follia degli ultras serbi che dal tardo pomeriggio hanno iniziato un tour di distruzione, dentro lo stadio e in giro per Genova, del tutto immotivato. Oggi, il day after, si contano i danni, anche quelli diplomatici. Il bilancio della Questura di Genova parla di 17 arresti e 16 feriti, di cui 2 carabinieri e mentre gli altri tutti di nazionalità serba. Sono 35 gli hooligan denunciati, 138 quelli identificati. Per cercare di capire si può raccontare la storia dell’uomo incappucciato.
Ivan Bogdanov, questo il nome dell’uomo tatuato e incappucciato che tronchesi alla mano ha tagliato la rete della gabbia all’interno della quale, dentro lo stadio, erano stati confinati i 2mila hooligan di Belgrado, è un simbolo. Lo hanno trovato le forze dell’ordine dopo le perquisizioni andate avanti tutta la notte: era nascosto nel vano motore di uno dei pullman che avrebbero dovuto riportare a casa gli ultras. A tradirlo un tatuaggio: sul suo braccio è impressa la data 1389, che ricorda la battaglia della Piana dei Merli contro i Turchi, mito fondante dello spirito ultranazionalista serbo. Niente a che vedere con il calcio quindi, ma un piano studiato a tavolino per un uso, diciamo così, politico del match.
Politica che è dovuta entrare poi ufficialmente nei fatti. Sono arrivate oggi le scuse della Serbia al popolo italiano per bocca dell’ambasciatrice serba a Roma, Sanda Raskovic-Ivic, “quanto accaduto a Genova – ha dichiarato – è una disgrazia, un vero incubo. Io e tutti noi serbi ci vergognamo molto. Colgo l’occasione per inviare al popolo italiano le scuse dell’ambasciata, del governo e del popolo di Serbia per quanto accaduto”.
C’è poi un altro fronte su cui riflettere, quello della sicurezza. Alla domanda su come sia stato possibile che questi facinorosi siano arrivati fino a Genova, Raskovic-Ivic è rimasta cauta. “Certo, è un lungo viaggio da Belgrado, non so proprio come sia stato possibile. Ma questa è una questione che riguarda le polizie dei due paesi”. Responsabilità che hanno già scatenato le polemiche a distanza tra responsabili italiani e serbi.
“Tutta Europa ha visto, è una vergogna”, ha detto a caldo il presidente della federcalcio serba, Tomislav Karadzic. La scriteriata serata si è conclusa con guerriglia, saluti nazisti e bandiere del Kosovo bruciate. Senza dimenticare le accuse finali: “Dalla polizia serba non era arrivata alcuna segnalazione che il livello di pericolosità dei tifosi al seguito fosse così alto: gente così non sarebbe mai dovuta arrivare fino a Genova”, ha attaccato Roberto Massucci, responsabile della sicurezza inviato dal Viminale. In giorni di tolleranza zero e tessere del tifoso, il dirigente ha dovuto anche anche difendere le forze dell’ordine dalle critiche per i petardi entrati al Ferraris del ministro dell’interno e vicepremier serbo, Ivica Dacic, che ha detto oggi come i preparativi per la partita Serbia-Italia di Genova non stati fatti bene, e che un gruppo non eccessivamente numeroso di tifosi è riuscito a far sospendere l’incontro.
Parlando a Belgrado, Dacic ha osservato che l’intervento della polizia italiana avrebbe potuto essere molto più efficace, e che non si doveva permettere l’ingresso allo stadio a tifosi in possesso di oggetti vari, cosa questa che a Belgrado non sarebbe mai avvenuta.Un capitolo (ma ben inserito nella storia generale) a parte merita Stojkovic, il portiere della nazionale serba.
“Quando siamo arrivati allo stadio, siamo entrati nello spogliatoio e abbiamo trovato Vladimir Stojkovic, il loro portiere titolare, seduto sulle nostre panche, tremante – le parole del ct azzurro Cesare Prandelli, quando da poco l’arbitro Thomson ha ufficializzato il definitivo stop – Non capivamo, poi l’interprete ci ha spiegato: aveva subito minacce e un tentativo d’aggressione sul pullman, temeva per la sua incolumità”. A quanto pare al gruppo dei ‘Grobari’ (gli ultras serbi la cui traduzione è ‘becchini’ ) di Belgrado il passaggio dalla Stella Rossa al Partizan non andava giù: Vladimir Stoikovic non avrebbe dovuto cambiare maglia. Purtroppo tanto l’odio per il ‘traditore’ Stojkovic quanto le minacce con l’assalto al bus della squadra erano solo un pretesto degli ultras più violenti d’Europa per imporre la violenza delle frange estreme della tifoseria filo-nazista in tutto Europa.
Per dovere riportiamo la mera cronaca della serata – di cui avremmo fatto volentieri a meno – che non riesce comunque a restituire in tutta la sua gravità l’aria pesante che si è respirata al Luigi Ferraris. Duemila ultras serbi, infuriati per la brutta sconfitta per 3-1 rimediata in casa venerdì scorso contro l’Estonia hanno messo la città in stato d’assedio per ore. Hanno assaltato il pullman della loro squadra all’uscita dell’albergo minacciando il portiere titolare Stojkovic, che ha ottenuto di essere esentato dalla gara. Nel centro cittadino hanno imbrattato palazzo Ducale e accennato scontri con la polizia. Quindi raggiunto lo stadio si sono sistemati nei posti a loro riservati e poco prima dell’inizio della partita hanno lanciato fumogeni sui tifosi azzurri e in campo. Da qui in poi la situazione, se possibile, precipita. Mentre lo speaker annunciava le formazioni, si è scatenato il panico: disordini sempre più violenti fino al culmine, quando con una spranga di ferro i serbi hanno rotto il vetro di protezione che li divideva dai tifosi azzurri. la polizia è accorsa in assetto antisommossa ma 1200 bambini delle scuole calcio genovesi, terrorizzati, hanno lasciato lo stadio con i loro accompagnatori. Fischi da tutto lo stadio e slittamento dell’inizio della gara. Dopo decine di minuti di tensione, il capitano della nazionale di Belgrado, Dejan Stankovic, si decide ad andare a parlamentare con i suoi tifosi, che sembrano mollare. La banda esegue gli inni (ricoperto di fischi quello serbo) e l’arbitro scozzese Thompson fischia l’inizio della gara. Dopo soli 6 minuti, quando la partita dovrebbe decollare, tornano a piovere i fumogeni. Il direttore di gara e il delegato Uefa si vedono costretti a sospendere l’incontro ma la furia dei tifosi serbi esplode quando tentano di forzare il cancello della recinzione dove erano confinati in attesa del deflusso. A quel punto le forze dell’ordine hanno lanciato fumogeni ed effettuato cariche. Nel frattempo, gli ultras hanno di nuovo tentato di fare irruzione dentro lo stadio, verso la tribuna stampa dove erano ancora al lavoro gli inviati di giornali italiani e serbi, senza successo. Nel piazzale antistante lo stadio intanto erano accorsi ultras di Genoa e Samp intenzionati a ingaggiare una battaglia con i serbi. Quando verso le due della notte la tensione è calata, la polizia ha fatto scendere gli hooligan già saliti sui bus per ulteriori perquisizioni, da cui sono emersi bastoni, spranghe, coltelli e uno zainetto con all’interno dei grossi petardi o bombe carta.
Di ieri, a mente fredda, si possono ricordare gli scontri, la paura, le implicazioni geopolitiche, le responsabilità delle forze dell’ordine e l’imbarazzo di uno spettacolo offerto in mondovisione. Nessuna traccia del motivo per cui gli occhi erano puntati su Genova: una partita di calcio. Quando in situazioni simili si perde di vista l’unico valido motivo di attenzione i facinorosi hanno già ottenuto il loro scopo, soprattutto se si richiamano analogie al G8 del 2001 e alla tragedia dell’Heysel.
Da oggi, come accade sempre, si litigherà e si scriverà molto quando invece basterebbero poche parole: si ricomincia da zero, con più attenzione.