Negli Usa i colossi dell’auto chiedono di nuovo soldi
03 Dicembre 2008
General Motors, Ford e Chrysler chiedono soldi. Tanti, per giunta. Sono infatti 34 i miliardi di dollari richiesti dai Big Three di Detroit per far fronte alle perdite. Senza di essi, i vertici di GM e Chrysler prevedono il fallimento entro la fine del mese. Prontamente, nel Congresso è scoppiata la querelle se aiutare o no un mercato che mostra sempre più i segni di un cedimento profondo.
Dopo una prima richiesta di 25 miliardi di dollari, complessivamente, le tre sorelle dell’automotive statunitense hanno deciso di andare avanti e chiedere di più. General Motors, tramite il suo amministratore delegato Richard Wagoner, ha fatto domanda per l’apertura di una linea di credito con valore immediato di 4 mld, per poi proseguire con un prestito agevolato di 14 mld, per un totale di 18 miliardi. Sulla stessa linea d’onda Ford che ha richiesto 9 miliardi di dollari al Congresso, più circa 5 miliardi che si otterrebbero dal programma del Dipartimento Energia per la promozione dei veicoli a basso consumo ed alta efficienza. Analoga situazione per il gruppo di Robert Nardelli, Chrysler. Infatti, il prestito agevolato desiderato dall’ex partner di Daimler si aggira intorno a 7 miliardi, da stanziare necessariamente entro il 31 dicembre. A questi se ne aggiungono ulteriori 6, ricavati sempre dal programma di efficienza energetica per il mercato automobilistico. Il totale, escludendo il piano ambientale, è di 34 miliardi di dollari, 9 miliardi in più rispetto a due settimane fa. Il rischio concreto, specie secondo GM e Chrysler, è quello di non arrivare all’Epifania, senza gli aiuti: la riduzione degli ordinativi e la chiusura straordinaria di numerosi stabilimenti durante il periodo natalizio sono il preludio al fallimento. Contribuisce alla causa anche la flessione del mercato europeo, considerato stabile fino a sei mesi fa, mentre ora ha registrato pesanti contrazioni della domanda, fattore che ha costretto case come Fiat o PSA Group a serrare i propri stabilimenti per il Natale e ridurre i volumi produttivi per l’anno in corso e per il prossimo, anche oltre il 20%.
Numerosi analisti di Miller Buckfire & Co, studio specializzato in fallimenti, hanno stimato in 40 miliardi la cifra necessaria per evitare l’iscrizione al Chapter 11 del Bankruptcy US Code, le procedure fallimentari, delle tre società. I veri problemi sono due: i costi per i contribuenti e l’estrema voracità di GM, Ford e Chrysler. Sul primo si sono già espressi numerosi esponenti del Congresso, fra cui la presidente della Camera Nancy Pelosi, la quale ha ricordato che, nonostante sia favorevole ad un aiuto, a questo deve seguire un modello industriale differente da quelli visti finora. Si, perché nell’occhio del ciclone vi sono proprie le gestioni amministrative e finanziarie dei Big Three. Fra tutte, Ford sembra quella messa meglio, con un bilancio non in rosso spaventoso come le sue sorelle. Questo perché ha ipotecato assets per quasi 25 miliardi di dollari lo scorso anno. Anche su fronte delle vendite di auto in novembre, calate fino al 47% di Chrysler, Il gruppo di Alan Mullaly ha perso solo il 30%, contro una media di mercato del 37%. Anche per questo, Ford non ha richiesto immediatamente l’apertura del credito nei confronti del governo, ma ha parlato di piano di sostegno in caso di una recessione peggiore delle aspettative.
Ma se c’è un attore che, tutto sommato, sembra non aver urgenza di liquidità, ve ne sono altri due che invece la cercano disperatamente. I debiti di GM, secondo le stime di Moody’s, ammontano a 30 miliardi di dollari, sta pensando di vendere o chiudere marchi come Saab e Pontiac. Il piano di rientro prevede il pareggio di bilancio solamente nel 2012, sempre che non viri verso lidi peggiori la congiuntura. Chrysler, invece, ha estremo bisogno di liquidità, ma non è in una situazione pari a quella della casa condotta da Wagoner.
Dopo le incessanti richieste al Congresso, per ora non accolte, si sta prospettando una nuova fase, quella dell’elemosina. Wagoner su tutti, sta cercando di raccogliere fondi, soldi, spiccioli, per evitar un fallimento che potrebbe costare milioni di posti di lavoro. Da una parte, quindi, un settore che ha fatto sberleffi dei concetti di economicità e produttività, incuranti di aprire posizioni borderline. Dall’altra parte v’è tuttavia un sistema governativo le cui casse non sembrano essere in grado di sostenere un ennesimo esborso di denaro. Dopo il piano Paulson, dopo il piano Fed per il credito al consumo, un altro salvataggio del mercato automotive quanto graverebbe sulla testa degli americani?