Negli Usa l’università è una cosa seria. Basta vedere come trattano gli studenti

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Negli Usa l’università è una cosa seria. Basta vedere come trattano gli studenti

31 Agosto 2009

Caro Diego,

sono stato negli USA. Che spettacolo! La terra più affascinante che io abbia mai visto (esclusa l’Italia, ovviamente) e New York la città più affascinante che io abbia mai visto (escluse le città Italiane, ovviamente). Di tante cose che potrei raccontare, una mi sta a cuore più delle altre. Sto parlando dell’università.

Due episodi per riflettere.

1) Prima di partire per gli USA ho mandato una e-mail all’allenatore della squadra di calcio della Boston University. Gli ho scritto che sono un buon calciatore e l’idea di passare un periodo dei miei studi a Boston non mi dispiacerebbe. Della serie “tentare non costa niente”. Roba da matti, mi ha risposto e mi ha organizzato un incontro, facendomi visitare per giunta tutti gli impianti sportivi dell’Università (una cosa dell’altro mondo: spogliatoi, infermeria, stadio del ghiaccio, stadio per l’atletica, palestra).

2) New York, Columbia University; sono con mio padre e sto cercando un bagno. Si avvicina un signore distinto(secondo me un professore) e chiede se sono interessato ad iscrivermi alla Columbia. Se voglio, è disposto a farmi visitare le strutture.

Episodi che si commentano da soli. Un’altra università. Un altro mondo.

Hai la sensazione che l’università cerchi il suo prestigio valorizzando i talenti degli studenti. Ti danno sempre una possibilità e, se sei all’altezza, sono ben contenti di aiutarti perché il vantaggio è reciproco. La competizione da quelle parti pare che sia molto alta; avere uno studente bravo non è uguale ad averne uno meno bravo. Mi è sembrato di essermi accostato a un sistema in cui le potenzialità di ognuno vengono guardate come un possibile vantaggio per tutti. Basterebbe leggere le lapidi di cui sono piene le università, tutte inneggianti all’importanza della conoscenza, dello studio e della responsabilità civile.

Poi penso all’Italia. Che depressione! Per i nostri professori, molto spesso, gli studenti rappresentano più una rottura di coglioni che altro, una faccenda da sbrigare, se possibile, alla svelta. Lo studio una faccenda privata per avere un pezzo di carta e uno stipendio fisso.

Poi penso alla Gelmini. Un po’ mi ringalluzzisco. Ce n’è di lavoro da fare. La strada che ha preso il Ministro è quella giusta. Speriamo che acceleri a percorrerla, perché ancora non ci siamo.