Negoziare: questa la via per la pace tra Israele e Palestinesi
03 Ottobre 2011
Negoziare. Questa è stata la parola chiave del convegno “Israele e palestinesi: la battaglia dell’ONU e il processo di pace”, organizzato ieri dall’Associazione Summit e dalla Fondazione Magna Carta presso la Sala delle Colonne della Camera dei Deputati.
Sul tavolo la questione, al centro del dibattito negli scorsi giorni all’Assemblea annuale dell’Onu, della presentazione da parte di Mahmud Abbas di una risoluzione per il riconoscimento unilaterale dello Stato Palestinese. Quali conseguenze potrebbe per Israele e tutto il Medio Oriente avere la nascita di questo stato? Come si è comportata la comunità internazionale rispetto all’annosa questione? Che ruolo hanno giocato le Nazioni Unite? Il ministro degli Esteri Franco Frattini, il presidente della Comunità Ebraica di Roma Riccardo Pacifici, il direttore del Global Research in International Affairs (GLORIA) Center Barry Rubin, il direttore de l’Occidentale Giancarlo Loquenzi, il direttore de Il Tempo Mario Sechi e la vicepresidente della Commissione Affari Esteri e Comunitari Fiamma Nirenstein hanno tentato di sciogliere questi nodi.
Ad aprire i lavori è stato proprio Frattini, reduce dalla settimana ministeriale a New York, che ha lanciato il monito “non vogliamo né vinti né vincitori. Nessuna della due parti può permettersi una sconfitta di sostanza”. Per il capo della Farnesina la strada “maestra” da seguire per la soluzione del conflitto sulla creazione di uno stato palestinese sono i negoziati che portino a “due popoli e due Stati”. Dello stesso avviso è Barry Rubin che, però, ha ribadito come Israele sia consapevole e convinta del fatto che il partner non sia in grado di giungere a questa soluzione condivisa perché la leadership palestinese non è disposta ad accettare neppure concessioni cospicue. Frattini ha riaffermato, poi, l’importanza dell’unità mostrata dall’Europa sulla necessità di rilanciare i colloqui diretti e il ruolo strategico che il nostro Paese ha avuto nell’affermare che nessuna posizione nazionale dovesse prendere il sopravvento sulla questione ma che si raggiungesse a una comunione d’intenti.
Uno dei punti dell’intervento del ministro degli Esteri che ha diviso gli altri partecipanti al panel è stato il giudizio sul ruolo del presidente palestinese Mahmoud Abbas che secondo Frattini “è il migliore interlocutore per Israele per fare la pace”. Sull’argomento ha scosso la testa Riccardo Pacifici che ha ribadito come Abu Mazen abbia sempre rifiutato un processo di pace e come ci si trovi sempre al cospetto del medesimo show durante il quale il presidente dell’Anp rinnega la presenza di ebrei sul territorio.
Dello stesso parere Fiamma Nirenstein, che ha affermato come Abbas abbia “negato la legalità d’Israele, sconfessando non solo la guerra del ’67 ma anche il trattato di Sanremo perché per i leader palestinesi Israele è una mera invenzione coloniale”. Sulla stessa linea anche Giancarlo Loquenzi, che ha sottolineato come nella recente 66esima Assemblea dell’Onu Abu Mazen si sia posto in maniera aggressiva nei confronti della questione e abbia riconfermato con il suo atteggiamento “una storia – quella palestinese – fatta di rifiuti e di retorica”.
Paure e dubbi sono stati espresse dai relatori della tavola rotonda sul potenziale “giorno dopo” della nascita dello stato palestinese. La minaccia del sopravvento di Hamas, il terrore che possa aumentare la violenza nei confronti di Israele, la possibile reazione dell’Egitto e, come rilevato da Pacifici, la fine che potrà fare la vicina Giordania. Per tutte queste ragioni i partecipanti al convegno hanno riaffermato l’importanza del dialogo e hanno coralmente condannato la scelta dell’unilateralismo e il fatto che, come ha sottolineato Mario Sechi, uno stato non lo si costituisce “in un Palazzo di Vetro ma deve essere il frutto di negoziati e della volontà da parte dei Palestinesi di dire ‘no’ alla violenza contro Israele”.
Per poter arrivare a questo per la Nirenstein, più che “lavorare su un compromesso territoriale bisogna lavorare sulla questione delle propaganda e della narrativa” che alimenta l’odio nei confronti di Israele – ne sono un esempio, come sottolineato dal presidente della Comunità ebraica di Roma, le accuse che le Nazioni Unite le rivolgono. È quindi necessario per la vicepresidente della Commissione Affari Esteri lavorare sull’ideologia e sull’accettazione dell’interlocutore perché “una pace vera si fa guardandosi negli occhi tra nemici”.