Nei frammenti di Joseph Roth la borghesia aveva un sapore di fragole

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Nei frammenti di Joseph Roth la borghesia aveva un sapore di fragole

25 Luglio 2010

Ai lettori italiani si presentò presto la possibilità di godere degli scritti dell’ebreo galiziano di lingua tedesca Joseph Roth (1894-1939). Negli anni Trenta vennero pubblicati in rapida sequenza alcuni tra i suoi titoli più importanti: Giobbe, La marcia di Radetzky, Tarabas, I cento giorni. È stato tuttavia l’editore Adelphi ad intraprendere la progressiva pubblicazione dell’opera rothiana. Ultimo nato, ora, questo Fragole (trad. di Rosella Carpinelli Guarneri, 2010, p. 178, € 14,00), che contiene due frammenti narrativi inediti, scritti negli anni 1928-1930.

Da ebreo dell’Europa orientale quale era, Roth si formò respirando l’aria di quel mondo talmudico e profetico nel quale si attingeva alla poesia dei Salmi, alle narrazioni bibliche e si condivideva il senso eterno del dolore e della promessa. Dopo aver attraversato drammaticamente il finis austriae e la prima immensa distruzione bellica, negli anni Venti, in particolare tra il 1924 e il 1929, prestò grande attenzione ai temi sociali, alle lotte politiche, ai primi esiti della rivoluzione sovietica e non a caso proprio in quegli anni, oltre che di vari libri, fu autore di numerosi e grandi reportage (dall’URSS, da Albania e Jugoslavia, dalla Polonia e dall’Italia).

E proprio a quegli anni risalgono questi due frammenti e tuttavia in entrambi il contesto è quello tipico delle cittadine dell’Europa orientale della sua infanzia: in Perlefter. Storia di un borghese, dei millecinquecento abitanti mille sono commercianti ebrei, mentre in Fragole, su diecimila, tremila sono matti, “anche se innocui”. Come nel romanzo Hotel Savoy, pubblicato nel 1924, a Roth piace immaginare in entrambi gli inediti la paradossale edificazione di un grande albergo di lusso in quelle regioni, così sperdute, così lontane dalle grandi vie di traffico e dalle metropoli di allora. Mentre in Hotel Savoy l’apocalittico incendio finale dell’albergo ne rivela la natura simbolica di luogo dove persone di vari ceti e con varie qualità attendono l’approssimarsi di una disgrazia che li disperda, qui l’edificio realizzato dal grande avvocato Wolf Burdach, “alto, bianco, solitario sul mondo”, ricorda ai vecchi “arrabbiati” del paese l’immagine della Torre di Babele.

Particolarmente riuscita e tipica tra le figure disegnate da Roth è Perlefter, il grande commerciante di legname, il “borghese”. Tracciandone il ritratto, il galiziano rivela uno stile che ricalca ancora, in parte, ma molto originalmente, certe forme dell’espressionismo: stridore di colori, alternanza di tenero e lacerante, linea narrativa spezzata.

Sinteticamente, Perlefter è di “natura prudente”, è il “beniamino del padre”, stima la polizia e odia i criminali, non possiede “sentimenti netti”, riesce a “piangere come un attore”, non ama gli animali, prova per la moglie “una specie di amore”, non beve. In Roth è spesso magistrale l’uso delle metafore. Così è qui, per esempio, nella descrizione della testa di Perlefter, che è “rotonda e calva”, con sopra la nuca “una piccola gibbosità lucente, come se il cervello, non avendo trovato posto nella sede naturale, si fosse creato da solo una sorta di stanzino”. E le orecchie, “a sventola ma piccole e femminee […], parevano sentinelle di scorta in posti molto avanzati”.

Un mondo, questo di Roth, di cui vengono smascherate con sottile ironia le più eclatanti contraddizioni. Leo Budak, che era partito per Los Angeles per arricchirsi e finisce col tornare da mendicante, seppur definito “socialista radicale” e con “idee rivoluzionarie”, nel momento in cui acquisisce un’eredità sogna di sviluppare un’azienda “secondo criteri grandiosi e americani”. E tuttavia in quel mondo, così in Fragole, la pazzia poteva essere descritta da Roth come “soave” e avvolgente “come un nembo nuovo”, “i partiti politici non venivano tollerati” e le persone di diversa nazionalità non si distinguevano le une dalle altre, “perché ognuno parlava in tutte le lingue”, i mendicanti venivano sfamati da un ricco conte, gli abitanti sentivano “il bisogno di bellezza” e infine, “regnava la pace”.