Nei romanzi di Maigret scopriamo l’eterna fragilità delle relazioni umane

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Nei romanzi di Maigret scopriamo l’eterna fragilità delle relazioni umane

22 Novembre 2009

La vita familiare e matrimoniale di Simenon certamente non si rivelò felice. Fin dall’infanzia, la famiglia d’origine gli riservò una precoce consapevolezza della complessità dei rapporti tra marito e moglie e della possibile sofferenza nelle relazioni tra genitori e figli. La madre mal sopportava il marito; lo disprezzava al punto da farne oggetto di derisione ed umiliazione persino davanti ai figli. Egli stesso, che oltre a nutrire grande affetto per il padre, amava condividere con lui momenti di grande complicità e sintonia (straordinarie sono le pagine in cui ci descrive le sue sensazioni allorquando, in una piovosa e plumbea domenica pomeriggio, fuma con lui la pipa nella cucina silenziosa e a luci spente), aveva, invece, con la madre un rapporto tormentato.

Ella gli rinfacciava di essere uno scrittore fallito e gli rimproverava finanche di non essere morto in vece dell’adorato primogenito. Solo negli ultimi istanti della vita della ormai vecchia genitrice (Lettre à ma mère), Simenon riesce ad elaborare tutta la sua profonda amarezza per non essere riuscito mai a conoscere veramente la cara mammina e a parlarle in modo profondo e sincero.  I suoi due matrimoni fallirono inesorabilmente e con i figli non riuscì mai a coltivare percorsi di genuina condivisione ed autentica complicità. La difficoltà dei rapporti coltivati con la figlia adorata (tormentata anche a causa dei singolari comportamenti che il padre intratteneva con le donne), condusse quest’ultima al suicidio, dopo anni di inenarrabili sofferenze trascorsi tra ospedali e cliniche psichiatriche.

Egli, quindi, conosceva perfettamente la capacità di riuscire a sopravvivere schiacciato dagli insopportabili confini dell’incomunicabilità e dell’incomprensione, nonché quanto difficile fosse liberarsi dai vincoli dell’astio e del rancore. Sapeva come fosse impossibile abbandonare proprio quei comportamenti errati assunti per abitudine o per cattivo esempio. Simenon era conscio di come un tentativo di cambiamento o il cosiddetto “salto nel buio” potesse, infine,  condurre al dramma o, addirittura, alla tragedia. Egli sapeva orientarsi agevolmente e con disinvoltura nei labirinti della mente umana, ne conosceva la assoluta incapacità di riuscire ad esprimere stati d’animo e sentimenti e sapeva rappresentare l’estrema drammaticità di tale condizione; egli era consapevole dell’impossibilità, da parte di taluni, di cogliere l’intima essenza dei rapporti familiari, impossibilità che si traduceva in un’assoluta inabilità a condurre una vita serena e tranquilla all’interno delle mura domestiche.

Simenon ha conosciuto e narrato esistenze fatte di odio, di rancori mai sopiti e di affetto mai espresso, se non in maniera goffa e maldestra. Nei romanzi in cui compare come protagonista il Commissario Maigret, Simenon, tuttavia, sembra descrivere un rapporto matrimoniale perfetto. Il romanziere è incline a rappresentare un esempio di moglie assolutamente dedita al marito; casalinga dalle doti innate, cuoca superba, dotata di pazienza infinita, premurosa, previdente al punto da renderla al lettore quasi insopportabile. Il Commissario e la moglie condividono molto e la loro vita coniugale è scandita da riti e consuetudini collaudatissimi: la colazione, il pranzo e la cena costituiscono eventi quasi “sacrali”. La  preparazione dei piatti da parte della donna non è mai improvvisata; il menu è vario, mai ripetitivo. Louise è ossessionata dal fatto che al marito possa non piacere qualche sua pietanza: anche una semplice “cena fredda” a base di prosciutto e formaggio viene preparata ed offerta come si farebbe per il più raffinato dei gourmet.

Ogni giovedì i coniugi Maigret si recano a cena a casa dei Pardon o ricevono gli stessi nell’appartamento di Boulevard Richard Lenoir; spesso si recano al cinema, talvolta cenano serenamente al ristorante. Le vacanze le trascorrono nella casetta nelle campagne della Loira, dove la signora Maigret, tra l’altro, provvede a cucinare in vario modo le grosse trote pescate dal marito nel vicino torrente. La moglie del Commissario, sempre accanto al marito anche nel corso delle sue inchieste, è disposta ad attenderlo (a volte inutilmente) fino ad orari impossibili, con il pranzo e la cena sempre in caldo;  è pronta ad ascoltarlo (spesso muta per non innervosirlo) e talvolta diventa finanche inconsapevole protagonista delle sue indagini (L’amoureux de madame Maigret) assumendo anch’ella il ruolo di detective. Ciononostante Simenon non ha voluto regalare a Louise e Jules un matrimonio completamente felice.

Lo scrittore li ha privati del figlio tanto desiderato; non ha quindi inteso narrarci, quasi per il pudore di non riuscire a descrivere una famiglia perfetta, quali sentimenti, una coppia così affiatata, fosse capace di trasmettere ad un figlio. La signora Maigret non si è mai arresa alla circostanza di non essere madre; non è mai riuscita a superare quella triste e angosciante solitudine in cui la mancanza di un figlio l’aveva precipitata. L’assenza di questo evento tanto atteso, pian piano ed inevitabilmente, rovina il rapporto con l’adorato marito; il suo buonumore nel corso degli anni va spegnendosi ed i silenzi (i Maigret tra di loro non parlano mai di questo argomento) si rivelano spesso insopportabili.

Il suo entusiasmo si riaccende solo allorquando (Un Noel de Maigret) ella pensa di intravvedere la possibilità di tenere con sé una bambina della quale il marito si è interessato, con commovente disponibilità, nel corso di una delle sue inchieste; ripiomberà drammaticamente nel dolore quando il suo sogno si trasformerà in un’inutile illusione (<<…E la bambina?…>><< Starà bene!>>). Nel romanzo Le chat, Emile e Marguerite appaiono legati solo da antichi rancori mai metabolizzati; ciononostante sono assolutamente incapaci di separarsi. La loro vita è completamente svuotata ed essi sono riusciti a trasformarla in una lenta ed implacabile agonia: non si rivolgono la parola, non condividono nulla e comunicano solo attraverso bigliettini, sui quali scrivono sterili ed aridi pensieri, illudendosi che la sola convivenza, sia pur difficilmente sopportabile, possa reciprocamente aiutarli a tollerare il peso di un mondo che, attorno a loro, va sfaldandosi sempre più.

Essi sono angosciati da preoccupazioni inconsistenti, ossessionati da problemi miseri: hanno trasformato la loro vita in un’inutile attesa della morte. La scomparsa di un gatto sconvolgerà viepiù la loro squallida esistenza, portandoli, inevitabilmente, alla tragedia finale. La vita apparentemente tranquilla di una famiglia di ricchi possidenti di provincia  (Les soeurs Lacroix) maschera una sordida doppia vita, caratterizzata da un feroce odio reciproco, da una insuperabile mancanza di rispetto e da pregiudizi invincibili ed assurdi.

Anche in questo romanzo i componenti della famiglia Vernes convivono con la angosciante sensazione della tragedia imminente; anche qui Emanuele e Matilde coltivano un rapporto matrimoniale fatto di nulla e colmo di vecchi rancori e livori mai superati. Non si parlano, condividono solo l’unica camera da letto, in cui, peraltro, dormono separati, e dove una sera, dopo aver spento la luce, Emanuele “scarica” sulla moglie tutto il suo disprezzo; la accusa del fallimento del matrimonio, le addebita la responsabilità di un rapporto disastroso con la figlia Genoveffa, le attribuisce la capacità di ispirarsi solo a sentimenti di odio, le rimprovera di essere unita alla sorella solo dalla comune cattiveria.   

Come può un uomo, dotato di una così raffinata sensibilità da essere riuscito a comprendere gli oscuri meccanismi della mente e dell’animo umano, e di un talento letterario tale da consentirgli di rappresentarne con inaudita semplicità le relative elaborazioni più profonde e sofisticate, essere invece del tutto restio a narrare la felicità? Forse perché troppo forte e dominante era in lui la consapevolezza che nulla è più devastante ed inesorabilmente fragile delle relazioni umane.