Nel 2010 la storia è dalla parte dei Repubblicani

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Nel 2010 la storia è dalla parte dei Repubblicani

18 Novembre 2008

 

Nelle campagne elettorali contano i candidati e i problemi in gioco. Nei risultati delle elezioni, invece, alla fine contano i numeri. Che cosa ci dicono i numeri, ora che il polverone suscitato dalla corsa alla presidenza americana del 2008 sta tornando a depositarsi?

Innanzitutto che la grande corsa alle urne che molti avevano previsto non c’è stata. Il conteggio finale mostrerà probabilmente che meno di 128,5 milioni di persone hanno votato. Rispetto ai 122 milioni del 2004 è un miglioramento, seppure marginale, ma nel 2004 avevano votato 17 milioni di persone in più rispetto al 2000 (cioè tre volte la differenza tra il 2004 e il 2008).

In secondo luogo, la netta vittoria di Obama è il frutto di un aumento nel complesso trascurabile dei voti conquistati dai Democratici. Nel voto popolare Barack Obama ha ottenuto 2,1 punti in più rispetto al vice presidente Al Gore nel 2000, e 4,6 punti in più rispetto a John Kerry nel 2004. Stando alle ultime approssimazioni, Obama avrebbe ottenuto 66,1 milioni di voti, circa 7,1 milioni in più di Kerry.

I quattro quinti di questi voti sono venuti dalle minoranze. Rispetto a Kerry, Obama ha ottenuto quasi 3,3 milioni di voti in più da cittadini afroamericani; di questi 2,9 milioni da giovani cittadini di colore in una fascia di età compresa tra i 18 e i 29 anni. Un quarto di questo surplus di voti ottenuti dalla comunità nera – 811.000 voti – proviene da cittadini afroamericani che avevano votato Repubblicani nel 2004. Rispetto a Kerry, Obama ha inoltre ottenuto 2,5 milioni di voti in più dalla comunità ispanica. Oltre un terzo di questi votanti – 710.000 – aveva dato la sua preferenza ai Repubblicani nel 2004.

Uno dei principali cambiamenti è stato il sostegno ispanico ai Democratici. John McCain ha ottenuto il 32% dei consensi tra i cittadini ispanoamericani, in calo rispetto al 44% ottenuto da Bush quattro anni fa. Se la tendenza continua, il GOP farà fatica a riconquistare la maggioranza.

Rispetto a Kerry, Barack Obama ha ottenuto 4,6 milioni di voti in più nell’ovest del paese e 1,4 milioni nel Midwest. Rispetto a Bush, d’altra parte, McCain ha ottenuto più di 2,6 milioni di voti in meno nel Midwest. In Ohio, per esempio, Obama ha ottenuto 32.000 voti in meno rispetto a Kerry nel 2004, ma McCain ne ha ottenuti 360.000 in meno rispetto a Bush. È bastato questo a trasformare una vittoria del GOP con un margine di 119.000 voti nel 2004 in una vittoria democratica per 206,000 voti quest’anno.

Ci sono poi gli astenuti. Rispetto al 2004 hanno votato 4,1 milioni di Repubblicani in meno. Alcuni di questi hanno assunto posizioni indipendenti o hanno votato Democratici in occasione delle elezioni. O più semplicemente sono rimasti a casa. Risultato piuttosto ironico per una campagna che ha probabilmente visto l’ultima corsa alla presidenza di un veterano del Vietnam, hanno votato 2.7 milioni di veterani in meno. Sono calati di 4,1 milioni anche i voti dei cittadini che frequentano funzioni religiose più di una volta alla settimana. Il fatto non è che improvvisamente gli Americani vanno meno in chiesa: alla campagna elettorale è mancato un elemento capace di attirare i cittadini più osservanti.

Un segno del fatto che la vittoria di Obama potrebbe essere stata una vittoria personale piuttosto che una vittoria di parte o di idee è il fatto che i Democratici hanno conquistato solo 10 seggi statali in più al senato (su 1971) e 94 seggi statali  alla camera (su 5411). Quanto Ronald Reagan sconfisse Jimmy Carter nel 1980, per fare un confronto, i Repubblicati conquistarono 112 seggi in più al senato (su 1981) e 190 seggi alla camera (su 5501).

Quanto ai singoli stati, quest’anno cinque seggi alla camera sono passate ai Democratici e quattro ai Repubblicani. Nel sud Obama è risultato penalizzato. In tutta la regione i Repubblicani hanno conquistato seggi legislativi. In Tennessee sia la camera che il senato godono ora di una maggioranza repubblicana, per la prima volta dai tempi della guerra civile.

È un dato importante, perché il censimento del 2010 potrebbe assegnare addirittura quattro distretti in più al Texas, due all’Arizona e alla Florida rispettivamente e un distretto a ognuno degli stati a prevalenza rossa, riducendo il numero dei seggi in stati a prevalenza blu come Michigan, New York, Ohio, Pennsylvania e, per la prima volta, California. La revisione dei distretti e delle proporzioni potrebbe contribuire ad avvantaggiare il GOP nel Congresso e nella corsa alla Casa Bianca spostando sette seggi alla camera da stati a maggioranza blu a stati a maggioranza rossa.

Nel 2010 la storia sarà dalla parte dei Repubblicani. A partire dalla seconda Guerra Mondiale il partito uscente ha ottenuto in media 23 seggi in più nella camera e due nel Senato in occasione delle prime elezioni di metà mandato di un nuovo presidente. A parte F. D. Roosevelt e George W. Bush nessun presidente ha ottenuto seggi in più in entrambe le camere in occasione delle prime elezioni di metà mandato. Dal 1996 il partito in carica ha perso in media 63 seggi al senato e 262 seggi alla camera e sei governatorati nelle prime elezioni di metà mandato. Il fatto che il 2010 sia probabilmente destinato a vedere la rimonta dei Repubblicani nell’imminenza di una redistribuzione dei distretti è l’unico aspetto positivo in un anno per il resto drammatico per il GOP.

In politica i buoni giorni succedono ai cattivi. Sia i Repubblicani che i Democratici sono passati per gli uni e per gli altri nel corso degli ultimi 15 anni. Un ritorno repubblicano è senz’altro possibile, ma non verrà da solo né sarà automatico. Il partito repubblicano dovrà mostrarsi abile sia in difesa (contrastando Obama su alcune questioni) sia in attacco (elaborando un programma convincente capace di parlare agli elettori). Ci sarà bisogno di nuovi leader capaci di dare al GOP la giusta fisionomia pubblica. Niente di questo sarà facile, ma sarà in ogni caso indispensabile.

 Karl Rove è stato consigliere di George W. Bush e suo vice-capo di gabinetto

Dal Wall Street Journal del 13 novembre 2008