Nel califfato di Birmingham non si balla Rihanna

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Nel califfato di Birmingham non si balla Rihanna

26 Marzo 2017

Quando la diciassettenne musulmana, che se ne andava in giro con l’hijab nel centro di Birmingham, si è fermata a ballare, in pubblico, con un amico, sulle note di un artista di strada, mimando un twerking – parola inglese usata per indicare un tipo di ballo in cui il ballerino, di solito una donna, scuote i fianchi su e giù velocemente, creando così un tremolio delle natiche – non deve essere stata in grado, in quel momento, di calcolare la portata che quel gesto avrebbe avuto da lì a poco. Il richiamo R&B di un brano di Rihanna è stato più forte del sentimento di angoscia che avrebbe dovuto indurla a contenersi, ad abbassare il capo e a non mischiarsi con quegli sporchi prodotti culturali occidentali. La stessa angoscia che la sua religione le impone, adesso non smette di percuoterla. Un tormento che dura da una ventina di giorni.  

Da quando lo spettacolo, ripreso dai passanti, è diventato virale, l’adolescente si è assunta un rischio che sta pagando a caro prezzo. Attacchi, insulti, minacce di morte di musulmani inviperiti per un comportamento giudicato irriguardoso. “T***ia disgustosa”, “p***ana che va ammazzata”, sono alcune delle frasi, neanche le peggiori, che si possono leggere in giro. In lacrime, lei ha persino provato a giustificarsi in una intervista su youtube in cui si scusa per il suo comportamento, e soprattutto, confessa che alcuni disturbi mentali le impediscono di pensare in maniera corretta e coerente con il suo credo.

La comunità islamica di Birmingham è balzata agli onori della cronaca nelle scorse ore dopo gli otto arresti seguiti all’attentato a Westminster. Ma è già nota almeno per chi è abituato a grattare sotto la superficie patinata di certi media, che continuano a mistificare la verità rimuovendo la parola ‘islam’ proprio là dove gioca un ruolo da protagonista. Birmingham, la seconda città per popolazione del Regno Unito, torna, infatti, spesso sulle prime pagine dei quotidiani inglesi quando si parla dei musulmani in Gran Bretagna. È la città inglese con la percentuale più alta di musulmani, ben il 22% – percentuale che in alcuni quartieri raggiunge il picco del 70% -, e che vanta la moschea più grande d’Europa. Per molti si tratta addirittura di un vero e proprio “piccolo califfato” al centro dell’Inghilterra.

Qui, le le scuole si sono lentamente islamizzate. Non solo nelle discipline: i posti in fondo alle classi sibi destinati alle ragazze; queste ultime vengono scoraggiate a rivolgere la parola ai ragazzini; imposizione del velo alle docenti; insegnamento della religione islamica per tutti; divieto di tombole o altri giochi natalizi perché “un-islamic”; denaro prelevato dal budget scolastico per finanziare un viaggio in Arabia Saudita di alcuni ragazzi di fede musulmana. Per dirla in breve quello che la polizia battezzò come “Trojan Horse Operation”, trasformare le scuole in questione in un cavallo di Troia per sfondare il muro delle leggi di Londra e far entrare i precetti islamici nel sistema educativo inglese. Come pensate che si islamizzino le società? Ce lo ha insegnato il comunismo: rieducando nelle scuole.

È per questo che un ballo volgare, ma non osceno, da parte di una ragazzina può essere processato dall’opinione pubblica che ha imparato a privare di dignità la donna come vuole la legge islamica. L’Occidente a comando pudico e moralista quando si tratta di difendere qualsiasi diritto, e che, al contrario condanna chi osa mortificare un cane, sa che schierarsi dalla parte della ragazzina di turno, e provare a difenderla, significherebbe ‘offendere’ i musulmani o, più in generale, uno dei simboli dell’islam – l’hijab – e si tiene ben alla larga dal cadere in un ‘errore’ simile. E allora diventa coerenza tacere, come avviene con i matrimoni forzati, le mutilazioni genitali femminili, i tribunali della sharia in Gran Bretagna, gli abusi e le violenze ai danni di donne e giovani ragazze, migliaia, molestate e stuprate a Rotherham.

Al contempo non si può guardare ad episodi del genere e pensare che il pubblico ludibrio a cui è stata esposta la giovane, e il pericolo che corre forse la diciassettenne di essere assassinata da qualche fondamentalista offeso dal suo comportamento, siano episodi isolati nella multietnica Inghilterra. Giusto per citarne un altro, a Darmstadt, in Germania, la diciannovenne Lareeb Khan è stata uccisa nel 2015 direttamente dai suoi genitori quando ha deciso di togliersi il hijab. Suo padre, Asadullah Khan, ha commentato senza farsi troppi scrupoli di aver ucciso la figlia per salvare l’onore della famiglia: i valori occidentali che si erano impossessati della figlia gli stavano rovinando la vita. Ma se il giornalista collettivo continua a giocare con il fuoco e ad imputare esclusivamente al presidente degli Stati Uniti Trump la responsabilità di promuovere “una grande narrazione che contrappone il mondo musulmano contro l’occidente”, che speranza abbiamo di capire cosa sta accadendo e soprattutto di salvare la nostra identità?