“Nel caso dei due marò si attacca l’Italia forse per colpire Sonia Gandhi”

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“Nel caso dei due marò si attacca l’Italia forse per colpire Sonia Gandhi”

21 Febbraio 2012

La diplomazia italiana è ancora all’opera e lo sarà finantoché i due marò, tenuti in custodia in India e accusati di aver ucciso due pescatori, non saranno liberi. Una vicenda che ieri il presidente della Repubblica ha definito "ingarbugliata". Intanto ci si chiede come sia stato possibile che la petroliera ‘Enrica Lexiè’ abbia dato assenso all’entrata nel porto indiano di Kochi.

Sulla dinamica dello scontro a fuoco , della strategia diplomatica italiana di fronte all’arresto dei due militari e sul fenomeno della pirateria abbiamo voluto parlarne con il Gen. Carlo Jean, stratega e scrittore italiano. A ‘l’Occidentale’ Carlo Jean dice che "forse dietro all’arresto dei due militari italiani c’è la politica interna indiana".

Quanto all’entrata nel porto di Kochi della ‘Enrica Lexiè’ e sulla ‘trasgressione’  – tutta da dimostrare – del comandante della petroliera agli ufficiali della Marina italiana che pare avessero sconsigliato l’entrata in porto, Jean ne dà un’interpretazione di buon senso: "Probabilmente il comandante non volesse fare atto di sfiducia nei confronti della guardia costiera indiana".

Che idea si è fatto di quel sta accadendo in India nel caso ‘Enrica Lexiè’? Come siamo arrivati a questa situazione?

Si è arrivato a questo perché in India si è sotto elezioni e a capo del partito del Congresso c’è un’italiana, Sonia Gandhi, e questo avrà potuto giocare un ruolo. Fino a che punto non si sa. Nello stato del Kerala il prossimo 18 Marzo ci saranno le elezioni. Anche nelle manifestazioni anti-italiane, la maggior parte è costituita da sostenitori del partito nazionalista indù. Ovviamente l’obiettivo più che l’Italia sembra essere Sonia Gandhi.

Secondo lei per quale motivo il comandante della petroliera Enrica Lexiè, contravvenendo ai consigli della Marina militare italiana, ha deciso di entrare nel porto di Kochi? Da molte parti si giudica tale gesto un errore. Cosa ne pensa? 

Verosimilmente il comandante della Lexiè era tranquillo quanto alla responsabilità. Viene da pensare che abbiano accettato l’entrata in porto per non fare atto di sfiducia nelle autorità della guardia costiera indiana. Probabilmente – ma sa il problema di tutta questa vicenda è proprio la ricostruzione dei fatti – il comando della Lexiè riteneva che avrebbero potuto spiegare tutto l’accaduto.

Qualcosa però è andato storto? 

Ci sono due possibilità: o la polizia è stata mossa da ragioni politiche, oppure c’è stata la volontà di mostrarsi efficiente nella tutela della sovranità indiana. Anche se dal punto di vista del diritto internazionale del mare, l’incidente è avvenuto in acque extra-territoriali. Come ha fatto notare uno dei massimi esperti di diritto internazionale italiano, il prof. Natalino Ronzitti, l’azione indiana è stata una vera e propria violazione della buona fede italiana. Ripeto però la faccenda è ancora molto ingarbugliata.

Per il momento la strategia del governo italiano sembra essere quella di un’azione su due fronti: agire diplomaticamente e sul governo centrale indiano di New Delhi e sulle autorità giudiziarie del Kerala. E’ la strategia adeguata a suo avviso? 

Il governo italiano fa bene a perseguire, non già un rigido approccio giuridico, bensì uno più morbido di natura politico – diplomatico, tenendo conto anche delle difficoltà politiche indiane interne. Come noto, l’India è una federazione di 28 Stati i quali sono fortemente indipendenti dal centro e spesso anche il colore del governo locale è molto diverso da quello del centro. Attualmente lo stato del Kerala ha il partito del Congresso al potere, ma sembra che il partito nazionalista indù sia in buono stato nei sondaggi per le prossime elezioni locali. Ciò spiega gli accenni polemici sulla faccenda della Enrica Lexiè. Il sottosegretario Staffan De Mistura, esperto diplomatico, saprà fare bene in questa situazione. Si parla di foto satellitari in circolazione che scagionerebbe la Lexiè rispetto alla ricostruzione accusatoria delle autorità indiane. Lo stesso De Mistura credo che chiederà una autopsia per verificare che le pallottole non siano italiane. Tanto per fugare ogni rischio di travisamento della realtà, come invece hanno fatto alcuni giornali indiani, spero non qualcuno non creda davvero che si sia trattato di un atto di aggressione dell’Italia nei confronti dell’India.

Secondo lei c’è il rischio che la ‘cristianofobia’ dei nazionalisti indù giochi un ruolo in tutta questa faccenda. Simbolicamente l’Italia è un paese cristiano. E’ forzato? 

A quanto pare i due pescatori morti sarebbero due cristiani. E poi si dice – purtroppo siamo alle indiscrezioni – che un Cardinale locale stia tentando una mediazione con le autorità locali per fare in modo che prevalga la ragione in tutto questa vicenda. A parte questo, non mi sento di dire che vi siano visibili indizi che possano lasciar pensare che le identità religiose giochino un qualsivoglia ruolo nella vicenda. La questione – ripeto – è piuttosto voler attaccare in ogni modo il partito del Congresso guidato da Sonia Gandhi.

Parliamo di pirateria. Oggi nell’Oceano Indiano ci sono le forze navali europee della EU Navfor, le forze della Marina statunitense, cinese, indiana, addirittura sud coreana. Eppure il fenomeno piratesco non accenna a diminuire. L’impiego di quelle forze deve essere ripensata?

Una sorveglianza marittima su un mare così vasto è quasi impossibile. Due dozzine di unità navali militari sono in condizione di fare ben poco. In più la strategia dei pirati è negli ultimi tempi cambiata: ormai utilizzano delle navi madri, che poi smistano i barchini che attaccano gli obiettivi. La verità è che bisognerebbe andare a colpire i pirati nei propri rifugi e basi a terra. Per il momento nessuno lo ha fatto, salvo gli americani recentemente che hanno mandato i Navy Seals a salvare quel cittadino statunitense e quel danese, partendo da Gibouti.

In un articolo apparso sul Corriere della Sera Lunedì scorso, si parla di “metodo russo” antipirateria: i pirati catturati non vengono imprigionati e prodotti davanti le autorità competenti, bensì verrebbero abbandonati in mare. Pare che gli attacchi alle navi russe siano diminuiti. E’ una soluzione estrema?

Non si può. Sarebbe rispondere a atto di pirateria con un atto di pirateria. Assolutamente da escludere che i paesi occidentali possano fare una cosa simile. Il problema è questo: la pirateria è assimilabile al terrorismo o alla criminalità? E’ questione irrisolta. Le dico soltanto però che l’Associazione mondiale armatori si è mostrata piuttosto contraria ad azioni di forza contro i pirati, visto che esse non eliminerebbero il fenomeno. La pirateria, queste le stime, costerebbe all’economia mondiale circa 7 miliardi di dollari all’anno. Di tale somma, solamente 160 milioni di dollari andrebbero in riscatti per le navi. Peraltro quest’anno il numero di attacchi è diminuito sensibilmente, non tanto per il pattugliamento navale – doveroso nelle zone più pericolose del Golfo di Aden e delle Seychelles – quanto per l’adozione a bordo di misure di protezione passive e attive. Per quanto riguarda quelle passive, per esempio sono state create delle plance blindate. I pirati sarebbero sono dissuasi ad attaccare la plancia perché hanno bisogno di poter controllare la nave per poterla tenere in ostaggio. Attaccando con esplosivi la plancia, c’è il rischio di rendere il naviglio ingovernabile. Quanto a quelle attive, c’è ovviamente tenere personale militare a bordo o contractor.