Nel giorno del voto sul ddl sicurezza Fini deve decidere da che parte stare
13 Maggio 2009
C’è un quesito che ha aperto la tre-giorni a Montecitorio sul ddl sicurezza e che, paradossalmente, rischia di diventare il tema nel tema. “Cosa farà Gianfranco Fini, dirà sì o no al voto segreto richiesto dalla sinistra?”. Se lo sono domandati molti deputati pidiellini, ieri, nei tradizionali capannelli in Transatlantico e nel giorno del voto ai tre maxi-emendamenti sui quali il governo ha posto la fiducia. Quel quesito può infatti diventare la cifra politica della prova che attende la maggioranza.
Dopo essersi esposto ripetutamente prendendo posizione contro alcune norme (poi sparite dal testo), come quella sui medici e i presidi-spia, il presidente della Camera ha difeso la legittimità degli emendamenti presentati dalla maggioranza, sostenendo che la questione di fiducia non viola la ratio del voto segreto prevista per alcuni provvedimenti. E’ su questo che l’asse Pd-Udc strumentalizza la questione, battendo in particolare sul tasto del voto segreto. Tattica finalizzata ad aprire un varco di dissenso nelle file della maggioranza (visti i precedenti alla Camera e al Senato) e al tempo stesso punta ad evidenziare una sorta di contraddizione, che a questo punto investirebbe direttamente il ruolo della terza carica dello Stato se i parlamentari – come rivendica la minoranza – non avessero l’opportunità di potersi esprimere secondo coscienza e a scrutinio segreto su temi così delicati. Non è un caso se la capogruppo Pd in Commissione Giustizia Donatella Ferranti ieri ha ricordato a Fini come la battaglia di principio che ha portato avanti nei giorni scorsi “sulle pagine dei giornali sia rimasta sulla carta stampata” e non si sia “concretizzata in veri interventi parlamentari”.
Quello del voto a scrutinio segreto, dunque, è il primo nodo che Fini dovrà sciogliere nelle prossime ore. E sulla base della decisione presa, si capirà un po’ meglio da che parte vuole stare il Presidente della Camera. Se il voto segreto dovesse essere accordato, infatti, Fini manterrebbe integro il profilo che la carica gli impone ma probabilmente esporrebbe la maggioranza a possibili tiri mancini da parte del malpancisti di turno (o degli stessi finiani doc?) che digeriscono a fatica alcuni articoli del ddl, a cominciare da quello che introduce il reato di clandestinità sul quale pure lo stesso Fini – dicono alcuni suoi fedelissimi – non fa certo i salti di gioia.
C’è poi il rapporto con la maggioranza. Il movimentismo dell’inquilino di Montecitorio ha creato non pochi problemi e imbarazzi dentro il Pdl e nel rapporto con la Lega. Il Carroccio ha dovuto fare passi indietro anche per i veti finiani ma ha fortemente voluto il ricorso alla fiducia e adesso intende incassare il sì finale sul pacchetto sicurezza, come del resto lo stesso Pdl, consapevole che sul terreno della sicurezza e dell’immigrazione c’è in ballo una larga fetta di consenso elettorale. Correre il rischio di offrirlo su un piatto d’argento al Senatur sarebbe un prezzo troppo alto. In quest’ottica, si osserva nei ranghi del Pdl, il premier non avrebbe gradito l’ultimo distinguo in ordine temporale del presidente della Camera a proposito della polemica sui respingimenti di immigrati clandestini intercettati in acque internazionali e le critiche mosse all’Italia dal Consiglio europeo. Fini ha detto che sì, la linea del governo è giusta e legittima, tuttavia bisogna verificare chi ha diritto all’asilo perché immigrazione non è solo questione di sicurezza. Parole legittime, ma che alla vigilia del voto alla Camera rischiano di creare nuove tensioni nella maggioranza e per questo considerate inopportune sul piano politico.
Alle accuse dell’Onu che all’Italia chiede di riammettere i clandestini respinti , Berlusconi replica sottolineando che nella maggior parte dei casi i barconi che salpano verso l’Italia non sono fatti occasionali ma il prodotto di organizzazioni criminali e gli immigrati costretti a pagare il viaggio “spesso non sarebbero spinte da una loro speciale situazione” all’interno dei paesi di provenienza, rivendicando al tempo stesso l’accoglienza che il nostro paese garantisce a coloro che hanno i requisiti per l’asilo politico. Ma è sui distinguo di Fini che il Cav ieri ha glissato, lasciando intendere la sua insofferenza per il tempismo di certe esternazioni. “Non mi va di entrare in questo discorso”, ha tagliato corto.
E da stamani a Montecitorio si ragiona sui numeri.