Nel libro del male di Breivik c’è una “cultura” da non sottovalutare
25 Luglio 2011
Fosse stata la trama di un film, avremmo detto che era di basso livello, e poco verosimile: ma quando mai una persona sola riesce a fare un attentato in una grande capitale e subito dopo quella strage infinita nell’isoletta vicina?
E invece pare proprio sia andata così in Norvegia. Si accerterà se quanto è successo si può attribuire alla follia del killer, il trentaduenne Breivik, e quanto dei suoi comportamenti sia dovuto a paranoia o a chissà cos’altro. Ma sarebbe ingenuo spiegare tutto questo orrore solamente chiamando in causa la mente malata di un uomo. Una tragedia simile non nasce dal nulla, non si materializza casualmente in un paese, ma si nutre in qualche modo dell’aria intorno e non può essere estranea al tempo in cui avviene.
Ieri è stato pubblicato in rete “2083 – A European Declaration of Independence”, un libro di 1500 pagine scritto per metà da Breivik, (“il mio regalo e contributo personale a tutti gli europei”) e per il resto da altri “coraggiosi” da tutto il mondo, ai quali non è stata fatta una richiesta diretta di partecipare alla stesura dell’opera: semplicemente alcuni loro scritti sono stati raccolti dal killer norvegese nei tre anni impiegati a mettere insieme tutto il materiale, e man mano inseriti nel testo. E’ in inglese, proprio per poterne favorire la diffusione, e Breivik, nell’introduzione, ne caldeggia la traduzione in altre lingue.
E’ senza dubbio un delirante manifesto politico, un incredibile compendio sull’identità europea messa in pericolo soprattutto – ma non solo – dall’Islam che avanza.
La strage norvegese si è nutrita di un’ideologia partorita da una mente malata, con tratti che non possono essere ricondotti grossolanamente a vecchi schemi come quello neonazista o fondamentalista religioso (se da un lato gli ebrei si devono proteggere, dall’altro Breivik si definisce non religioso, e dedica un intero paragrafo a rispondere alla domanda se la Chiesa sia parte del problema o della soluzione).
Già scorrendo l’indice (8 pagine) si può vedere quanto il killer sia immerso nei tempi che vive, e spulciando il testo si può toccare con mano l’accurata ricerca di fatti e notizie sull’identità europea perduta.
Breivik inizia la sua storia a partire dagli anni ’50, visti come un tempo idilliaco: ma già nel 2000 la società occidentale è in disfacimento, per via dell’ideologia che l’ha corrotta. Un’ideologia con un nome preciso: la “correttezza politica”, che “altera le regole, formali e informali, che governano le relazioni fra le persone e le istituzioni”e che coincide con il “marxismo culturale”. Il politicamente corretto, acquisendo le categorie marxiste, è quindi un’ideologia totalitaria che nega tutte le libertà e che ha investito la politica, sia a destra che a sinistra.
E’ da questa premessa che poi si svolge l’analisi della situazione europea, vista soprattutto in funzione del pericolo islamico. Si va da una rivisitazione storica a considerazioni demografiche, sulla globalizzazione dell’economia, sulla moderna jihad, fino alla descrizione di tecniche di costruzione di armi. “Non una guerra fra capitalismo e socialismo ma una guerra culturale fra nazionalismo e internazionalismo”. Il tutto sostenuto da una documentazione incredibile: si cita persino la conversione del nostro Magdi Allam, si propone il premio Nobel a Ayaan Hirsi Ali, si ricordano Theo Van Gogh e Pym Fortuyn, ma si ipotizza pure la deportazione di musulmani al di fuori dell’Europa. Il cristianesimo è visto come baluardo culturale all’islam, simbolo unificante per tutti i conservatori anche se atei o agnostici, non interessa la dimensione della fede. Si suggerisce di legalizzare tutte le tecnologie riproduttive che permettano di creare una prole migliorata geneticamente, perché “cercare la perfezione biologica è un concetto logico e non vedo perché dovremmo abbandonarlo”.
Non sappiamo ancora quanto tutto questo sia opera di un singolo o se veramente Breivik abbia seguaci in qualche parte del mondo. Ma sarà bene non sottovalutare questa ondata di male che ha investito uno degli angoli più tranquilli d’Europa. Perché pure se il killer avesse agito totalmente da solo, in qualche modo la terribile strage non è estranea al vaso di Pandora che l’attentato a New York ha scoperchiato dieci anni fa.