Nel Nobel alla Letteratura c’è sempre più politica e meno qualità letterarie
11 Ottobre 2009
Giovedì 8 ottobre, l’attesa è alle stelle: chi vincerà il Nobel per la letteratura? I bookmakers, scatenati, puntano su Amos Oz e Philip Roth; altri, scambiando i Nobel per i Grammy Awards, dicono Bob Dylan; l’Italia, come ogni anno, sogna Claudio Magris. A mezzogiorno in punto, il Segretario Permanente dell’Accademia Svedese Peter Englund apre la porta e annuncia che il premio è stato assegnato alla scrittrice Herta Müller, la quale “con la concentrazione della poesia e la franchezza della prosa, rappresenta il panorama dei diseredati”. Niente Oz, niente Roth: dopo il francese Le Clézio, ad essere premiato è un altro nome pressoché sconosciuto al grande pubblico.
La domanda sorge spontanea: chi è Herta Müller? Nata in Romania nel 1953, la scrittrice cresce nella cittadina di Nitchidorf, dove tutti parlano tedesco. Nel corso della seconda guerra mondiale, il padre ha servito nelle SS; la madre invece, nel 1945, è stata deportata in un campo di lavoro sovietico. Sin dalla giovinezza, letteratura e politica sono le stelle polari del futuro Nobel: negli anni settanta, Herta studia letteratura tedesca e romena, associandosi ad un gruppo di giovani autori che difendono la libertà d’espressione in opposizione alla dittatura di Ceausescu. Dopo la laurea, la Müller trova lavoro come traduttrice in un’industria meccanica: lavora per due anni, fino al 1979, poi viene cacciata per essersi rifiutata di collaborare con la polizia segreta della dittatura.
Il licenziamento segna un svolta nella vita della scrittrice. Negli anni ottanta si mantiene facendo la maestra d’asilo e dando lezioni private di tedesco, ma nello stesso tempo scrive libri: le sue opere, censurate in Romania, attirano ulteriormente su di lei l’attenzione della polizia segreta. Anni dopo, l’autrice riuscirà a mettere le mani sul fascicolo a lei intestato dalla temibile Securitate: si tratta di 914 pagine, in cui la Müller viene definita “un pericoloso nemico dello Stato da combattere”. A fronte delle crescenti pressioni, la scrittrice e il marito fuggono in Germania e Berlino diventa la sua casa: qui, divenuta membro dell’Accademia tedesca di letteratura, Herta continua a scrivere e arrivano premi sempre più prestigiosi. Fino all’8 ottobre 2009, giorno della consacrazione definitiva.
La nomina della Müller, l’abbiamo scritto, ha colto tutti di sorpresa. Il giorno prima dell’assegnazione però, basandosi su alcuni indizi, il blog “The Literary Saloon” – legato al sito “The Complete Review” – aveva indicato la romena come possibile vincitrice. A favorire la Müller, secondo “Saloon”, sarebbero state l’appartenenza ad una minoranza linguistica (“Una ragione non letteraria, ma nazionalità e linguaggio importano sempre”), le tematiche antitotalitarie, la scrittura sia in prosa che in poesia, i molti premi vinti in passato e, nei Paesi in cui l’autrice è più affermata, il generale favore della critica. Tra i possibili ostacoli alla vittoria, il blog citava la vicinanza ideale dell’autrice a Nobel recenti (Jelinek e Kertész su tutti), la limitatezza numerica delle sue opere e la loro difficoltà: limiti trascurabili, visto l’esito finale.
Ciò che ha più colpito l’Accademia è il tema portante della poetica della Müller: la sua stessa vita. Sin dal libro d’esordio, la raccolta di racconti “Niederungen” (1982), la scrittrice ha rappresentato i drammi delle minoranze e le violenze delle dittature, scrivendo di ciò che conosceva meglio: la Romania sotto il giogo di Ceausescu. Il suo libro più famoso – vincitore del prestigioso Impact Dublin Literary Award e tradotto in 15 lingue – è forse “Il paese delle prugne verdi” (1994): al centro del romanzo vi è la vita di quattro ragazzi nella Romania degli anni ottanta, tra dittatura ed aneliti di libertà fatti di libri e idee proibite. In Italia, Il paese delle prugne verdi è pubblicato da un piccolo editore di Rovereto, Roberto Keller: “Ci abbiamo sempre sperato” ha commentato a caldo, “lei è sempre stata apprezzata in Europa, anche se in Italia è poco conosciuta”.
Poco conosciuta è dire poco. A parte l’edizione di Keller – che ha portato l’autrice al Festival della Letteratura di Mantova, dove ha riscosso grande successo – per leggere un’opera della Müller tradotta in italiano bisogna tornare indietro nel tempo, almeno al 1987, anno in cui Editori Riuniti stampa Bassure, o al 1992 di In viaggio con una gamba sola di Marsilio. E proprio il fatto che una scrittrice poco nota sia stata preferita a “mostri sacri” della letteratura è fonte di polemiche. Secondo D’Orrico, critico del “Corriere della Sera”, la vittoria della Müller è la prova che “non va dato più nessun valore a questo premio”: “Se penso ai primi 5000 autori contemporanei al mondo” continua il critico “lei non c’è”.
Sono in molti a pensarla come D’Orrico. La verità è che nell’assegnazione del Nobel la qualità letteraria conta fino a un certo punto: l’Accademia, negli ultimi anni, ha prediletto altri criteri. Politici, per alcuni, umanitari, per altri: resta il fatto che i premi puntualmente negati ad autori israeliani (Grossman, Oz) e americani (McCarthy, Roth) iniziano a pesare. L’ultimo Nobel per la letteratura americano risale al 1993: a vincerlo fu la scrittrice Toni Morrison, 78 anni, oggi docente all’Università di Princeton. Intervistata da Maurizio Molinari de “La Stampa” a fine settembre, l’autrice ha detto al sua: “Dentro la giuria del Nobel c’è qualcuno a cui gli Stati Uniti non piacciono, ma credo che il tempo sia oramai maturo per assegnare a un americano il premio per la letteratura”.
Niente da fare, invece. Se qualcuno pensava che la presidenza Obama avrebbe spalancato le porte a Philip Roth o Cormac McCarthy, ha fatto male i suoi calcoli: il premio Nobel (per la pace, però) è stato conferito direttamente al presidente, con buona pace degli scrittori americani. D’Orrico, innamorato dell’autore di “Pastorale americana”, se la cava con una vecchia battuta di Giuseppe Pontiggia: “Ogni anno ci sono due premi Nobel per la letteratura: quello dato al vincitore e quello non dato a Jorge Luis Borges”. Sostituite Borges con Roth, e il gioco è fatto. Mentre le case editrici italiane si butteranno sulla Müller, completamente da scoprire, l’appuntamento è tra dodici mesi. Un pronostico? Tra i favoriti ci saranno Roth, McCarthy, Oz, Magris. Il vincitore sarà uno sconosciuto.