Nel ‘nuovo’ Egitto Fratellanza e salafiti presto detteranno legge
10 Dicembre 2011
Come alcuni analisti prevedevano, anche l’Egitto è caduto in mano agli estremisti islamici. Infausto effetto della “primavera araba”, ciò era già avvenuto alla Tunisia con le elezioni tenutesi poco più di un mese fa, è avvenuto più recentemente al Marocco e quasi certamente lo stesso avverrà alla Libia. Nelle prime elezioni “libere” dopo la caduta del regime di Mubarak i Fratelli musulmani rivendicano il 36% dei seggi (su 54) al secondo turno delle legislative (ovvero il 66%) e i salafiti hanno raggiunto il 25%.
Ora percentuali a parte, l’altro ieri si sono svolte i ballottaggi e i risultati sono un po’ cambiati: non hanno fatto bene ai leader salafiti i proclami urlati dopo le elezioni del 28 novembre sull’intenzione di imporre rigide regole di "condotta islamica" alla società egiziana. I ballottaggi se da un lato hanno confermato il successo registrato al primo turno dalla lista del partito Giustizia e Libertà (Fratelli Musulmani), dall’altro ha fatto segnare una parziale battuta d’arresto per il partito salafita Nour (Luce). Dei 56 seggi in palio in questa tornata per la quota uninominale, i Fratelli Musulmani ne hanno portati a casa 36. I salafiti invece solo cinque.
Rimane comunque intatta il problema dell’avanzata islamista in Egitto. Come ha dichiarato Magdi Cristiano Allam, di origine egiziana, europarlamentare e presidente del Movimento politico “Io amo l’Italia” in recenti interviste sulla situazione del suo Paese natale, “noi stiamo scontando la nostra ignoranza e ingenuità nel migliore dei casi. Abbiamo raffigurato tutto fin dall’inizio come se si trattasse di una rivolta popolare per la libertà e per la democrazia”. In realtà, ha spiegato, in Egitto “c’è la povertà, la miseria, la disoccupazione, la necessità di certezza, soprattutto da parte dei giovani”, c’è la corruzione: queste sono le principali questioni sollevate dalla maggior parte di coloro che sono scesi in piazza.
“Il 70% della popolazione egiziana ha meno di 30 anni”, ha spiegato l’on. Allam, “ed il 40% degli oltre 82.000.000 di egiziani vivono al di sotto della soglia di povertà, con meno di 2 dollari al giorno”. Quindi Allam ha ammonito: “dobbiamo smetterla di leggere i fatti egiziani con i nostri parametri, immaginando che tutto, automaticamente e acriticamente, corrisponda alla nostra realtà”, poiché tra i manifestanti di piazza Tahrir solo un’esigua minoranza è portatrice di istanze liberali e democratiche. In realtà “è una guerra di tutti contro tutti” quella vissuta in Egitto.
Una guerra il cui esito, per gli estremisti islamici sostenuti dal regime militare ora al potere, dev’essere l’instaurazione di una repubblica islamica, gravitante attorno alle moschee. Come accade in Iran, ma di fatto anche nella Turchia sempre più islamizzata del presidente Abdullah Gül e del primo ministro Recep Tayyip Erdoğan. E’ quest’ultimo il modello dei Fratelli musulmani, considerati “moderati” da una parte dell’Occidente, proprio come vengono ritenuti il presidente e il premier turchi. Ciò perché una parte dell’Occidente non ha ancora compreso che questi fanno abbondante uso del precetto coranico della taqiya, della dissimulazione per difendere l’islam e imporre la sharia, la legge islamica.
In questo quadro va letto persino il cambio di denominazione dei Fratelli musulmani egiziani: da “Società dei fratelli musulmani” (Jamīʿat al-Ikhwān al-muslimīn) o Fratelli musulmani (Ikhwān al-Muslimūn) o semplicemente Fratelli (al-Ikhwān), essi si sono organizzati nel partito Libertà e Giustizia (Plj), guarda caso un nome simile a quello di “Giustizia e Sviluppo” che accomuna i partiti maggioritari in Turchia e in Marocco. Gli effetti della vittoria degli estremisti in Egitto non hanno tardato a manifestarsi.
Gli stessi che accusano i Fratelli musulmani di essere troppo blandi nell’applicazione della sharia, i salafiti, ora che sono arrivati “secondi” alle elezioni con il partito “El-Nour” (“La Luce”), per bocca di Nabil Kadry Ahmed, direttore del loro quotidiano, rilanciano: “Siamo musulmani molto vicini ai testi fondanti dell’islam: il Corano e la Sunna. Quando ci sono i testi non c’è bisogno né di interpretazioni né di consigli”. “Ci distinguiamo dai Fratelli musulmani perché loro accettano di buon grado l’interpretazione dei testi sacri (Fatwa), noi no”. E ha proseguito: “Le elezioni dimostrano chiaramente che il popolo egiziano vuole l’Islam: hanno votato per l’Islam. Vogliono più religione, questo emerge in modo netto dalle consultazioni elettorali”.
“In Turchia – ha aggiunto Nabil Kadry Ahmed – hanno perso i valori basati sulla morale. Hanno anteposto al sentimento religioso una maggiore libertà economica nella vita di tutti i giorni. In Arabia Saudita, all’altro estremo, i cittadini sono religiosi ma chiedono maggiori diritti. Non applicano la legge islamica in modo puro e onesto, ci sono troppi interessi economici legati alle banche”. Il direttore del quotidiano salafita non ha mancato di fare riferimento al trattato di pace tra Egitto ed Israele, che, a suo parere, “presenta alcuni punti che vanno rivisti, come ad esempio la questione che riguarda l’esportazione dei gas naturali. L’Egitto li esporta ad un prezzo troppo economico, non è giusto. Non seguiremo questi aspetti del trattato perché fanno parte di accordi presi sotto-banco con il vecchio regime”.
Mossa decisamente inquietante dei salafiti è stato lanciare una fatwa per vietare la diffusione delle opere di Nagib Mahfuz, padre della letteratura araba e unico Nobel tra gli scrittori del Medio Oriente. Morto nel 2006, Mahfuz era già finito nel mirino dei fondamentalisti, rimanendo quasi ucciso da uno di loro nel 1994. Durante un’intervista tv il salafita Abdel Moneim Al-Shahat ha tuonato che le opere del grande scrittore egiziano “incitano alla promiscuità, all’ateismo e alla prostituzione. I suoi romanzi sono ambientati tra droga e bordelli”. Al-Shahat è un personaggio già noto per aver lanciato una campagna per coprire le statue dell’Antico Egitto, in quanto le considera prodotto “di una civiltà corrotta e infedele”.
In seguito il sindacato dei medici egiziani ha deciso che il cuore di un cristiano non potrà mai più essere trapiantato nel petto di un musulmano e viceversa. Hamdi El Sayed, direttore del sindacato, ha motivato tale decisione con l’intenzione di “tutelare le persone, senza guardare alla loro fede, per evitare che il traffico di organi crei ulteriori tensioni tra le due comunità. In realtà ci sarebbe sul sindacato una forte pressione dei vincitori delle elezioni, i Fratelli musulmani: lo ha denunciato Nagib Gibrael, avvocato dell’Unione egiziana per i diritti umani (Uedh). Egli ha accusato il movimento integralista di violare, con questa “norma fortemente discriminatoria”, “i diritti umani e la Costituzione” e di minare “all’unità nazionale”. Ebbene, questo più che un “nuovo Egitto” sembra il preludio di una nuova Kandahar.