Nel pasticcio della manovra il Pdl deve rimettere al centro la politica
01 Settembre 2011
C’era da aspettarselo. La manovra finanziaria non ha padri, né madri. È figlia di nessuno. Anonima. Dunque, priva d’identità. Perciò è confusa, contraddittoria, incoerente.
Insomma, un assemblaggio di materiali privo di una filosofia ispiratrice. Dispiace a tutti nella stessa maggioranza dove si stanno adoperando (chi?) per cercare di tenerla insieme con il mastice. Non è detto che l’operazione riesca. E si paventano danni economico- finanziari e politici a breve termine. L’ultima risorsa è affidarsi al Parlamento dove si spera ci sia gente dotata di maggiore buon senso e quindi capace di formulare una legge finanziaria appena appena accettabile.
Il Pdl, se non si appiattisce sul governo, ma svolge fino in fondo la sua funzione di partito politico di maggioranza – che non vuol dire servo dell’esecutivo anche se lo sostiene – credo possa dare un contributo decisivo a superare l’impasse. E, nello stesso tempo, determinare un possibile percorso politico per un centrodestra che ha il disperato bisogno di ritrovarsi.
Del resto, come ampiamente documentato dagli interventi del Maldestro in questo ultimo anno, non deve sorprendere la crisi che attanaglia la coalizione governativa evidenziata dal pasticcio della manovra. Lo schieramento berlusconiano, ed in particolare il Pdl, non avendo mai ritenuto di dotarsi di una cultura quale fonte ispiratrice dell’azione politica, si è affidato all’occasionalismo dal quale, è evidente, non ha tratto alcun beneficio. Insomma, rappresentandosi come integralmente post-ideologico, ha pensato di dover rinunciare conseguentemente ad un suo programma di fondo al quale far risalire il progetto di ricostruzione nazionale e sociale, di modernizzazione delle istituzioni, di rinnovamento economico soprattutto a fronte della deflagrazione globale dei mercati e della finanza pubblica.
Non so se c’è ancora tempo per rimediare. Certo è che il centrodestra può sopravvivere al governo che esprime, mentre non è immaginabile il contrario, a patto che faccia valere le idee, le istanze, gli umori che della composita coalizione costituiscono il tessuto connettivo, senza – ovviamente – lasciarsi ingabbiare dalle logiche politiciste che stanno logorando la compagine governativa.
Insomma, la travagliata composizione della manovra – la quale non contiene nessun elemento strutturale volto alla crescita dell’economia nazionale – è la dimostrazione più eloquente (ma anche drammatica) dell’implosione di un disegno che non è stato portato a compimento. Vale a dire la trasformazione culturale di un Paese che già agli inizi degli anni Novanta mostrava vistose crepe che tanti immaginarono di poter sanare con robuste iniezioni di realismo politico e di fattiva partecipazione da parte dei cittadini e delle forze più dinamiche votate alla costruzione di una Nuova Repubblica. Ci voleva coraggio culturale ed un ancoraggio valoriale da parte di chi si assumeva l’onere di guidare il cambiamento per raggiungere l’obiettivo. Non è andata così. L’occasione è stata sprecata e chi poteva dare una mano non è neppure stato ammesso nell’anticamera degli oligarchi. Abbiamo quindi visto svanire culture politiche che, amalgamandosi, avrebbero dovuto dare vita ad un nuovo soggetto, mentre simboli estranei alle stesse, effimeri e banali, si sono affermati per un breve lasso di tempo.
Non è lo "spirito del 1994" che manca, ma la volontà di intraprendere un cammino diverso a questo punto.
Post scriptum. Se qualcuno mi sa dire dove è finita in questo allucinante bailamme la destra italiana me lo faccia sapere. Forse dal suo smarrimento dipende anche la crisi che lamentiamo.