Nel Pd Bersani fa il pompiere e Walter attizza il fuoco

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Nel Pd Bersani fa il pompiere e Walter attizza il fuoco

16 Settembre 2010

E’ una navigazione sempre più travagliata quella di Pier Luigi Bersani chiamato ogni giorno a vestire i panni del pompiere, oppure del portiere di calcio assediato dai tiri mancini dei suoi stessi giocatori.

Tensioni e malumori si moltiplicano e si rincorrono e il segretario fa fatica a tessere il filo dell’unità interna e richiamare tutti all’ordine al grido di “Non facciamo regali a Berlusconi proprio adesso”. Un riferimento alle difficoltà della maggioranza che nasconde la speranza neanche tanto segreta che il governo regga e non ci siano accelerazioni impreviste verso possibili primarie del Pd o addirittura di coalizione. Uno scenario, quello della crisi, che rischierebbe di far aumentare esponenzialmente la temperatura e balcanizzerebbe ancor di più il partito di Via del Nazareno.

Il segretario, per il momento, si muove nella burrasca predicando calma. Getta secchiate d’acqua sui fuochi di una polemica interna sempre più rovente. Frena sulle proposte di nuove leggi elettorali care ai dalemiani. Dribbla le divisioni sul caso Fiat. Evita di soffermarsi troppo sull’eterno derby con l’Italia dei Valori. E sfuma i contorni del dibattito sulle alleanze, cercando di tenere aperte tutte le porte e neutralizzando gli spifferi più gelidi e velenosi.

Un ruolo da stopper non sufficiente, però, ad arginare i mille rivoli della polemica interna. Uno scontro destinato ad acquistare ulteriore forza alla luce del documento ispirato da Walter Veltroni che sarà diffuso nelle prossime ore. Un testo scritto a “sei mani”: con i veltroniani ci sono infatti ex-popolari ed ex-rutelliani. Una formula che dovrebbe assicurare al testo tra le 60 e 70 firme di parlamentari. Nel merito, vi sarà un richiamo allo spirito originario del Pd, non si chiederà un cambio di segreteria, si insisterà su bipolarismo e vocazione maggioritaria – vera ragione sociale del partito – e si ribadirà l’ambizione di governo che i democratici sono chiamati a coltivare. Nessun riferimento ai gruppi, né alla nascita di un movimento, come era stato paventato nei giorni scorsi.

Il documento – grazie anche al buon esito della riunione di martedì del coordinamento del partito che attraverso il richiamo alla centralità del programma piuttosto che delle alleanze ha reso possibile un clima più disteso – non assume dunque fattezze laceranti ma mantiene l’identità del “contributo”. Una sorta di memento che non verrà sottoposto al voto negli organismi dirigenti e che sarebbe stato opportunamente ammorbidito (non ci sarebbe alcun riferimento alla leadership e alle primarie) per non offrire il fianco ad attacchi e per raccogliere il più ampio consenso.

Non c’è dubbio, però, che il documento veltroniano viene visto in questo momento come il tentativo di riaprire il congresso da cui è uscita una chiara linea maggioritaria. “E’ un documento politico – spiega l’ex segretario in Transatlantico – che esprime una posizione come altre espresse in queste settimane con interviste, documenti e dichiarazioni. Un partito è un partito per fortuna con tante culture e punti di vista e in questo momento c’è bisogno di ritrovare il dialogo tra il partito e il Paese, abbandonando una discussione prevalentemente sulle tattiche, sulle alleanze, che ha distolto l’attenzione dalle questioni fondamentali: dare al partito forza, apertura, capacità di innovazione”. “Non è per dividere, non è contro qualcuno, non è per contarsi, ma è un contributo per parlare al Paese, conferma l’ex Ppi Beppe Fioroni, secondo il quale “chi si agita non ha compreso lo spirito di questa iniziativa”. Nonostante le rassicurazioni, però, e pur avendo incontrato sia Veltroni che Fioroni per un chiarimento, Dario Franceschini – che la prossima settimana riunirà la propria componente per fare il punto della situazione – rimane convinto che il documento sia un errore. “Di fronte alla destra spaccata – osserva – e ai rischi per la democrazia, nel Pd deve prevalere la ricerca di unità, non il protagonismo che divide”. Una linea molto simile a quella di Bersani che, parlando delle esigenze di “ringiovanimento” della classe dirigente del partito non rinuncia ad assestare una stoccata a Veltroni: non servono i “personalismi, che hanno portato al Paese solo guai”.

Il vero confronto, a questo punto, si avrà con la direzione del partito prevista per il 22 e 23 settembre. Così come fondamentale per misurare le forze in campo sarà l’assemblea nazionale fissata per l’8 e il 9 ottobre a Varese. Un incontro in cui le diverse anime del partito si confronteranno sui temi caldi dell’immigrazione, della riforma fiscale, della scuola e della sanità ma in cui anche il dibattito sulla legge elettorale potrebbe tornare d’attualità.

Il punto di fondo del confronto interno è comunque quello sul posizionamento politico del Pd e delle alleanze. Se Veltroni, Fioroni e Paolo Gentiloni appaiono sempre più preoccupati per una sterzata a sinistra che di fatto alienerebbe ai democratici le simpatie dei moderati, Bersani ma anche Franceschini e Fassino non fanno mistero della necessità di allargare il campo. Un’ombra sempre più scura si allunga però sul bipolarismo. Il nuovo Ulivo rischia di affossarlo attraverso una politica delle alleanze che potrebbe trasformarlo in qualcosa di molto simile alla nefasta Unione. Una prospettiva che i veltroniani vedono come un incubo da scacciare via, anche per sventare il rischio di una possibile diaspora degli ex popolari verso nuovi lidi parlamentari.